Steatosi epatica non alcoolica nei normopeso: ‘non è una malattia benigna’.
(Reuters Health) – Gli adulti normopeso e con steatosi epatica non alcoolica (NAFLD) sono più esposti alle malattie cardiovascolari rispetto ai coetanei con NAFLD che sono sovrappeso o che soffrono di obesità. È quanto emerge da uno studio presentato alla Digestive Disease Week da Karn Wijarnpreecha, dell’Università del Michigan di Ann Arbor (USA).
Il team di Wijarnpreecha ha condotto uno studio retrospettivo su quasi 18.600 adulti con diagnosi di NAFLD. In particolare, Wijarnpreecha e colleghi hanno confrontato la prevalenza di cirrosi, malattie cardiache, malattie metaboliche e malattie renali croniche in base al peso corporeo, distinguendo le persone in quattro tipologie: normale, con BMI tra 18,5 e 24,9, sovrappeso, con BMI tra 25 e 29,9, obesità di classe I, con BMI tra 30 e 34,9, e obesità di classe 2-3, con BMI da 35 a sotto 40.
Il team ha evidenziato che, rispetto ai pazienti non magri, i normopeso avevano una minore prevalenza di cirrosi, diabete mellito, ipertensione e dislipidemia, ma una maggiore prevalenza di malattie vascolari periferiche, malattie cerebrovascolari e qualsiasi malattia cardiovascolare.
Per qualsiasi malattia cardiovascolare, l’odds ratio era 0,8, mentre per i pazienti in sovrappeso era 0,7. Inoltre, i pazienti normopeso con NAFLD avevano una prevalenza significativamente più alta di malattie cardiovascolari, indipendentemente da età, sesso, etnia, dipendenza dal fumo, diabete, ipertensione e dislipidemia.
“La NAFLD nelle persone magre non è una malattia benigna”, afferma Wijarnpreecha, “Il nostro team si aspettava di osservare una minore prevalenza di qualsiasi condizione metabolica cardiovascolare, quindi siamo rimasti sorpresi nell’evidenziare questo collegamento con le malattie cardiovascolari”.
“Troppo spesso trascuriamo i pazienti normopeso con NAFLD perché presumiamo che il loro rischio per malattie più gravi sia inferiore rispetto alle persone in sovrappeso, ma questo modo di agire potrebbe metterli a rischio”, conclude il ricercatore
Fonte: Digestive Disease Week
Megan Brooks
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)