Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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giovedì 25 gennaio 2018

Batteri dell'intestino e geni per la prevenzione oncologica

I batteri intestinali provenienti dalla digestione di frutta e verdura possono produrre un segnale chimico che colpisce il genoma umano, innescando cambiamenti che aiutano a prevenire il cancro. A far luce sul meccanismo con cui i batteri "buoni" nell'intestino possono controllare l'espressione dei geni nelle nostre cellule, e di conseguenza sul meccanismo protettivo innescato da una dieta sana, è uno studio pubblicato su Nature Communications, a cui hanno collaborato anche ricercatori italiani. Scienziati del Babraham Institute, vicino a Cambridge, in collaborazione con colleghi dell'Università statale di Campinas a San Paolo e dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, hanno dimostrato che le sostanze chimiche prodotte dai batteri nell'intestino dalla digestione di frutta e verdura, chiamate acidi grassi a catena corta, possono influenzare la composizione del genoma delle cellule che compongono il rivestimento intestinale e quindi influenzarne il comportamento.
Aumentano infatti il numero di marcatori chimici (crotonilazioni) su alcune regioni del genoma, bloccando una classe di proteine chiamate HDAC, tra cui HDAC2, implicata nello sviluppo delle neoplasie. Comunicando in questo modo, i batteri possono influire sulla risposta dell'organismo al tumore e aiutare a prevenire così alcuni tipi di cancro. Studiando i topi che avevano perso la maggior parte dei batteri nel loro intestino, i ricercatori hanno infatti mostrato che le loro cellule contenevano più proteina HDAC2 rispetto al normale, caratteristica che altri studi hanno collegato ad un aumentato rischio di cancro del colon-retto. "Il nostro studio offre un nuovo interessante target di farmaci da studiare ulteriormente", ha dichiarato il primo autore della ricerca, Rachel Fellows.

Fonte: Nature Communications