Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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venerdì 7 febbraio 2014

Dipendenza da cibo

Neuroscienze e Nutrizione: Tra le dipendenze comportamentali c’è anche la dipendenza da cibo.

Una dipendenza caratterizzata da un appetito sempre più arrabbiato e sempre più associato ad un umore burrascoso e insoddisfatto. La dipendenza da cibo è ciò che trasforma un elemento scontato e piacevole, quale il cibo, in una schiavitù affliggente. Ma, dipendenti da cibo, si nasce o si diventa?
Dipendenza significa sostanzialmente esser legati a un desiderio di qualcosa e quindi essere coinvolti nel procurarselo e nel consumarlo ma allo stesso tempo, lottare inutilmente per far uscire quella stessa cosa dalla propria vita. In un certo senso i dipendenti sono condannati a volere. Ledipendenza da droghe e da alcol sono note da tempo… Solo da poco ci si è accorti che il cibo, ha tutte le caratteristiche per diventare oggetto di abuso e fonte di dipendenza.
Oggi si parla di “nuove dipendenze” o “dipendenze comportamentali”, per indicare situazioni in cui si è legati a un comportamento e non a una sostanza: sesso, gioco, shopping, comunicazioni virtuali. Tra queste dipendenze comportamentali c’è la dipendenza da cibo: una sorta di “impazzimento dell’appetito” in cui non si avrà mai abbastanza per poter esser soddisfatti. Il circolo “desiderio-consumazione-disagio” si ripete all’infinito lasciando senza parole e senza risorse chi ne è affetto. Puntualmente alla vergogna, legati all’ingrassare o al non essersi saputi controllare, segue di nuovo il desiderio di cibo. La sensazione è che la ruota della dipendenza è una ruota che non si ferma più: non è strano in sé che giri, ma è strano che il freno non funzioni.
Non si nasce dipendenti da cibo. La dipendenza da cibo si sviluppa attraverso vari stadi. In un primo momento si consuma cibo abitualmente e con piacere, in quantità maggiori del necessario e quindi si tende a prendere peso, ma con una lenta ascesa. Generalmente in questa fase definita “luna di miele”, la persona non soffre, non è a disagio e tende ad essere sempre più coinvolta nel piacere generato dal cibo stesso, con il timore nascosto di dover a un certo punto correre ai ripari. L’unica spia dall’allarme è il peso. Questa è la fase in cui, teoricamente, è facile tornare indietro.
Nella fase successiva si aggiunge la tolleranza al cibo, ovvero l’aumento delle quantità e della voracità, in questo stadio l’aumento del peso è sempre maggiore. Nella fase avanzata, il problema è visibile e la persona cerca aiuto per risolverlo. Tipicamente non ci si sofferma sul movente, cioè l’appetito, ma sul peso e si ritiene che sia l’aumento del peso, non l’appetito, il punto sul quale agire. Per questo motivo si risponde a strategie di dimagrimento con il risultato del “su e giù” tra ingrassamento e dimagrimento. Nella dipendenza da cibo il soggetto si ritrova a progettare diete, a compiacersi di non mangiare tra un pasto e l’altro, a scacciare l’appetito mangiando come se questo fosse un modo per mangiare meno per il resto del giorno. Nella dipendenza da cibo la persona, non desidera tanto il cibo quanto l’atto di mangiare, ci si abbuffa senza gustare. Si finisce per mangiare cibo anche non preparato, direttamente dalla confezione, a temperature non adatte (freddo), con le mani, mescolando sapori che non vanno d’accordo tra loro. Il cibo diventa qualcosa senza particolari distinzioni o connotati, diventa lo strumento per rispondere all’istinto di “buttar giù” roba.
Spesso le persone dipendenti da cibo chiedono aiuto ma poi negano di averne bisogno, assumono l’atteggiamento di chi difende il suo sintomo, lo nascondono, lo occultano.
Gli unici momenti in cui si ha la forza di rinunciare al cibo è quando si è sazi. A stomaco pieno si pensa “In fondo, del cibo posso fare a meno” e la dieta sembra non solo accettabile ma perfino naturale. Il mangiare è percepito e pensato come la cosa più gratificante della giornata. Ladipendenza da cibo, attiva nelle persone che ne sono affette, atteggiamenti furtivi e necessità di fingere, come se magiare fosse qualcosa di losco. Questi meccanismi si attivano perché in realtà la persona non sta semplicemente mangiando, lo sta facendo senza controllo. Mangiare senza controllo non è mangiare. Si comincia a vivere giorno per giorno nel sogno della dieta possibile e il sogno si nutre di cibo reale. Questo è il meccanismo che impedisce spesso di iniziare, spesso di continuare e quasi sempre di mantenere un regime dietetico. Esistono forme eclatanti didipendenza da cibo, che inducono la persona a comprare cibo di nascosto, a tenerlo nascosto e portarlo con sé sempre, a consumarlo di nascosto. Vi sono però anche forme subdole, dominate da una lotta quotidiana tra appetito e intenzione di controllare il comportamento.
La cura per questo tipo di dipendenza, molto spesso, comincia con un errore sostanziale, ovvero quello di trattare questi casi come patologia nutrizionale come se il tutto derivasse semplicemente da un appetito anomalo. Quasi sempre vengono somministrate diete, seguiti approccio farmacologici con l’obiettivo di placare l’appetito e la voracità fino ad arrivare alla chirurgia correttiva dell’obesità. Queste soluzioni portano solo a successi temporali.
In realtà la dipendenza da cibo prevede un approccio integrato di tipo psicologico-nutrizionale che miri a modulare fattori affettivi e cognitivi con l’obiettivo di riportare l’appetito in linea con la fame. Il dipendente da cibo mangia per gestire emozioni, mangia per colmare un vuoto, non potrà mai un semplice regime dietetico risolvere questi tipi di problemi.