Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


Studio Borgo Roma - Via Santa Teresa 47 (ingresso Via Bozzini 3/A), 37135, Verona.

Info. e prenotazioni - Segreteria: 349.6674360

e-mail: info@tedesconutrizionista.it

e-mail pec: vincenzo.tedesco@pec.enpab.it

web: www.tedesconutrizionista.it

giovedì 20 febbraio 2014

Supplementazione di DHA migliora la memoria nei soggetti sani

Tra gli acidi grassi omega-3, l'acido docosaesaenoico (DHA)

è il più diffuso nei tessuti del cervello. La sua presenza è indispensabile in quanto ha funzioni strutturali ed influenza numerosi processi neuronali e delle cellule gliali. In particolare, è noto che il DHA si accumula nelle aree del cervello coinvolte nella memoria e nell'attenzione, come la corteccia cerebrale e l'ippocampo. Studi condotti su animali hanno mostrato che un deficit di DHA ha effetti critici sullo sviluppo neuronale e sul comportamento, con conseguenti cambiamenti in fase di apprendimento e memorizzazione, nonché sulle risposte di tipo uditivo e olfattivo.

Lo studio di seguito riportato analizza l'effetto di una supplementazione a base di DHA in 176 soggetti adulti di giovane età, sani e con una dieta carente in acidi grassi omega-3 e valuta l'influenza del sesso nella risposta all'assunzione di DHA. In particolare sono state analizzate le capacità cognitive, quali la memoria episodica e di lavoro, i corrispondenti tempi di reazione e la velocità nella capacità di attenzione e di elaborazione dei compiti assegnati. Tali abilità sono state valutate attraverso una serie di test cognitivi computerizzati accettati dalla comunità scientifica e confrontati con pazienti a cui è stato somministrato un placebo.

Va ricordato che l'incorporazione del DHA nel doppio strato lipidico della membrana neuronale è essenziale per la neuroplasticità, la neurogenesi e il mantenimento della fluidità di membrana e delle funzioni proteiche che influenzano la velocità di trasmissione dei segnali, la neurotrasmissione e la regolazione dell'uptake di glucosio dal cervello. Un significativo aumento nei livelli di DHA degli eritrociti è stato riscontrato nei pazienti sottoposti a supplementazione rispetto al placebo (pari al 2.7%). E' stato inoltre verificato che una supplementazione a base di capsule di DHA (che forniscono 1.16 g DHA/g e 0.17 g di EPA/g) diminuisce in maniera significativa i tempi di reazione della memoria episodica, indipendentemente dal sesso. Inoltre l'accuratezza della memoria episodica è migliorata nelle donne rispetto agli uomini; in questi ultimi è stata invece riscontrata una diminuzione dei tempi di reazione della memoria di lavoro. Lo studio riportato mostra quindi che la supplementazione a base di DHA migliora le abilità cognitive quali la memoria e i suoi tempi di reazione in individui adulti sani di età compresa tra i 18 e i 45 anni. Inoltre i domini cognitivi correlati alla memoria e a funzioni cognitive più complesse e quindi a comportamenti comuni nella vita di tutti i giorni, sono influenzati nella risposta all'assunzione di DHA in maniera differente a seconda del sesso. Si può quindi concludere che individui adulti sani possono trarre beneficio, a livello di abilità cognitive, da un maggior consumo di DHA.



Bibliografia

W. Stonehouse, C.A. Conlon, J. Podd, S.R. Hill, A.M. Minihane, C. Haskell and D. Kennedy Am. J. Clin. Nutr 2013, 97, 1134-1143.

venerdì 7 febbraio 2014

Dipendenza da cibo

Neuroscienze e Nutrizione: Tra le dipendenze comportamentali c’è anche la dipendenza da cibo.

Una dipendenza caratterizzata da un appetito sempre più arrabbiato e sempre più associato ad un umore burrascoso e insoddisfatto. La dipendenza da cibo è ciò che trasforma un elemento scontato e piacevole, quale il cibo, in una schiavitù affliggente. Ma, dipendenti da cibo, si nasce o si diventa?
Dipendenza significa sostanzialmente esser legati a un desiderio di qualcosa e quindi essere coinvolti nel procurarselo e nel consumarlo ma allo stesso tempo, lottare inutilmente per far uscire quella stessa cosa dalla propria vita. In un certo senso i dipendenti sono condannati a volere. Ledipendenza da droghe e da alcol sono note da tempo… Solo da poco ci si è accorti che il cibo, ha tutte le caratteristiche per diventare oggetto di abuso e fonte di dipendenza.
Oggi si parla di “nuove dipendenze” o “dipendenze comportamentali”, per indicare situazioni in cui si è legati a un comportamento e non a una sostanza: sesso, gioco, shopping, comunicazioni virtuali. Tra queste dipendenze comportamentali c’è la dipendenza da cibo: una sorta di “impazzimento dell’appetito” in cui non si avrà mai abbastanza per poter esser soddisfatti. Il circolo “desiderio-consumazione-disagio” si ripete all’infinito lasciando senza parole e senza risorse chi ne è affetto. Puntualmente alla vergogna, legati all’ingrassare o al non essersi saputi controllare, segue di nuovo il desiderio di cibo. La sensazione è che la ruota della dipendenza è una ruota che non si ferma più: non è strano in sé che giri, ma è strano che il freno non funzioni.
Non si nasce dipendenti da cibo. La dipendenza da cibo si sviluppa attraverso vari stadi. In un primo momento si consuma cibo abitualmente e con piacere, in quantità maggiori del necessario e quindi si tende a prendere peso, ma con una lenta ascesa. Generalmente in questa fase definita “luna di miele”, la persona non soffre, non è a disagio e tende ad essere sempre più coinvolta nel piacere generato dal cibo stesso, con il timore nascosto di dover a un certo punto correre ai ripari. L’unica spia dall’allarme è il peso. Questa è la fase in cui, teoricamente, è facile tornare indietro.
Nella fase successiva si aggiunge la tolleranza al cibo, ovvero l’aumento delle quantità e della voracità, in questo stadio l’aumento del peso è sempre maggiore. Nella fase avanzata, il problema è visibile e la persona cerca aiuto per risolverlo. Tipicamente non ci si sofferma sul movente, cioè l’appetito, ma sul peso e si ritiene che sia l’aumento del peso, non l’appetito, il punto sul quale agire. Per questo motivo si risponde a strategie di dimagrimento con il risultato del “su e giù” tra ingrassamento e dimagrimento. Nella dipendenza da cibo il soggetto si ritrova a progettare diete, a compiacersi di non mangiare tra un pasto e l’altro, a scacciare l’appetito mangiando come se questo fosse un modo per mangiare meno per il resto del giorno. Nella dipendenza da cibo la persona, non desidera tanto il cibo quanto l’atto di mangiare, ci si abbuffa senza gustare. Si finisce per mangiare cibo anche non preparato, direttamente dalla confezione, a temperature non adatte (freddo), con le mani, mescolando sapori che non vanno d’accordo tra loro. Il cibo diventa qualcosa senza particolari distinzioni o connotati, diventa lo strumento per rispondere all’istinto di “buttar giù” roba.
Spesso le persone dipendenti da cibo chiedono aiuto ma poi negano di averne bisogno, assumono l’atteggiamento di chi difende il suo sintomo, lo nascondono, lo occultano.
Gli unici momenti in cui si ha la forza di rinunciare al cibo è quando si è sazi. A stomaco pieno si pensa “In fondo, del cibo posso fare a meno” e la dieta sembra non solo accettabile ma perfino naturale. Il mangiare è percepito e pensato come la cosa più gratificante della giornata. Ladipendenza da cibo, attiva nelle persone che ne sono affette, atteggiamenti furtivi e necessità di fingere, come se magiare fosse qualcosa di losco. Questi meccanismi si attivano perché in realtà la persona non sta semplicemente mangiando, lo sta facendo senza controllo. Mangiare senza controllo non è mangiare. Si comincia a vivere giorno per giorno nel sogno della dieta possibile e il sogno si nutre di cibo reale. Questo è il meccanismo che impedisce spesso di iniziare, spesso di continuare e quasi sempre di mantenere un regime dietetico. Esistono forme eclatanti didipendenza da cibo, che inducono la persona a comprare cibo di nascosto, a tenerlo nascosto e portarlo con sé sempre, a consumarlo di nascosto. Vi sono però anche forme subdole, dominate da una lotta quotidiana tra appetito e intenzione di controllare il comportamento.
La cura per questo tipo di dipendenza, molto spesso, comincia con un errore sostanziale, ovvero quello di trattare questi casi come patologia nutrizionale come se il tutto derivasse semplicemente da un appetito anomalo. Quasi sempre vengono somministrate diete, seguiti approccio farmacologici con l’obiettivo di placare l’appetito e la voracità fino ad arrivare alla chirurgia correttiva dell’obesità. Queste soluzioni portano solo a successi temporali.
In realtà la dipendenza da cibo prevede un approccio integrato di tipo psicologico-nutrizionale che miri a modulare fattori affettivi e cognitivi con l’obiettivo di riportare l’appetito in linea con la fame. Il dipendente da cibo mangia per gestire emozioni, mangia per colmare un vuoto, non potrà mai un semplice regime dietetico risolvere questi tipi di problemi.

Ortoressia: quando i cibi sani diventano ossessione

Neuroscienze e Nutrizione: Nuovo disturbo del comportamento alimentare è la fissazione per il mangiar sano.

Ortoressia è apprensione eccessiva per la qualità del cibo. Ortoressia è paura di contaminazione, angoscia che il cibo sia sporco o non sano.“Il burro e la carne rossa aumentano il colesterolo, il pesce contiene mercurio, nelle verdure ci sono i pesticidi”: questi sono solo alcuni dei divieti che, se non controllati, ci trascinano verso un nuovo disordine alimentare definito “ortoressia nervosa”.
Quasi sempre alla base dei disturbi alimentari c’è la preoccupazione per la quantità di cibo; nel caso dell’ortoressia l’attenzione (ossessione) si sposta dalla “quantità” alla “qualità” degli alimenti.
Ciò che rende l’ortoressia particolarmente pericolosa è la sua “buona apparenza” che rende estremamente sottile e inizialmente impercettibile la linea di confine tra un atteggiamento sano e l’atteggiamento patologico. Con l’ortoressia si comincia con l’escludere dalla propria alimentazione cibi trattati con pesticidi, additivi artificiali e tutti quelli percepiti come “cattivi” per la salute e pian piano il criterio di ammissibilità di un cibo nella propria alimentazione diventa sempre più restrittivo. L’ortoressia è un rapporto distorto con il cibo che si stabilisce in maniere graduale, partendo da quella che potrebbe essere considerata una sana attenzione verso una corretta alimentazione fino ad arrivare alla psicosi e al rifiuto del cibo come “piacere”. I soggetti conortoressia in breve tempo cambiano il proprio stile di vita, tendono ad isolarsi, si difendono da chi non la pensa come loro o da chi li contraddice, vivono perennemente in ansia e cercano di sedare tale ansia con il rispetto di regole ferree. Quando l’ortoressia, da patologia diventa poi maniacale il soggetto comincia a credere che tutto dipenda dal cibo facendolo diventare un pensiero fisso: rinuncia al gusto e al profumo delle pietanze per mangiare più sano, controlla tutto per prevenire malattie e contagio e, anche se proverà disgusto per certi cibi, sarà costretto a mangiarli ritenendoli “sani”. In questo modo l’ortoressico diventa ossessivo, fobico, asociale e, fidandosi solo della rigida dieta, potrà arrivare a carenze nutrizionali gravi. L’ortoressia porta il soggetto a non sentirsi mai appagato e confidando solo in se stesso ha difficoltà ad istaurare relazioni amicali e affettive. Quasi sempre l’ortoressico consuma il proprio pasto in solitudine. Tali soggetti sono estremamente sicuri delle loro convinzioni e si sentono superiori alle persone che non hanno, secondo loro, un simile “autocontrollo”.
La diffusione dell’ortoressia potrebbe essere correlata alle “mode alimentari” che iperselezionano alcuni alimenti in nome di filosofie di vita. Tra queste troviamo diete “vegetariane”, “vegane”, “macrobiotiche” , “crudiste”, “fruttariste” etc. che, se esercitate in modo ossessivo, possono portare carenze proteiche e vitaminiche anche molto gravi. La terapia dell’ortoressia rientra fra quelle previste per gli altri disturbi del comportamento alimentare, con l’attuazione di un approccio globale (psicologico + nutrizionistico) da parte di specialisti esperti del settore.

Memoria per cibi grassi, il ruolo dell'OEA

Neuroscienze e Nutrizione: Memoria per cibi grassi, il ruolo dell'OEA

L'assunzione di cibi ricchi di grassi potenzierebbe nel cervello la formazione di memorie a lungo termine specifiche per questa attività. Lo ha scoperto un team internazionale formato da ricercatori di UC Irvine, University Medical Center di Groningen e Utrecht e Università di Roma La Sapienza, il cui studio è pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Campolongo P et al., Fat-induced satiety factor oleoylethanolamide enhances memory consolidation, PNAS 2009).

Come si legge nel comunicato UC Irvine, lo studio si aggiunge ai recenti lavori dei ricercatori guidati da Daniele Piomelli e James McGaugh sul rapporto tra grassi alimentari e controllo dell'appetito, che sembrano promettenti per il trattamento dell'obesità e degli altri disturbi dell'alimentazione.

I precedenti studi di Piomelli avevano già identificato come gli acidi oleici dei cibi grassi vengono trasformati nell'intestino in un composto chiamato oleoiletanolamide (OEA), che invia al cervello stimoli che riducono l'appetito e aumentano il senso di sazietà e, a livelli elevati, può ridurre il peso e abbassare i valori di colesterolo e trigliceridi nel sangue. L'OEA influenzerebbe anche il consolidamento della memoria, attraverso l'attivazione nell'amigdala di segnali di potenziamento mnesico. Studi animali hanno anche dimostrato che la somministrazione di OEA ai ratti ne ha migliorato la memoria, mentre il blocco dei recettori per l'OEA ha diminuito la ritenzione mnesica.

"L'OEA è parte della colla molecolare che rende adesive le memorie: aiutando i mammiferi a ricordare dove e quando hanno assunto un pasto ricco di grassi, l'attività di potenziamento mnesico dell'OEA sembra essere stato un importante strumento evolutivo per le civiltà primitive", ha spiegato Piomelli. "Ricordare la localizzazione e il contesto in cui si è assunto un cibo ricco di grassi è stato probabilmente un importante meccanismo di sopravvivenza per i primi umani. Oggi però questo potenziamento di memoria può non essere così benefico: benchè l'OEA produca sensazioni di sazietà dopo un pasto, allo stesso tempo può generare craving a lungo termine per i cibi grassi che, se assunti in eccesso, possono dar luogo a obesità".

Sono attualmente in corso trial clinici con farmaci che mimano il meccanismo d'azione dell'OEA finalizzati al controllo dei trigliceridi nell'organismo umano.