Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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giovedì 19 febbraio 2015

Il digiuno contro le malattie infiammatorie. Dall'Alzheimer alla sclerosi multipla.

Uno studio dell’Università di Yale pubblicato come ‘lettera’ su Nature Medicine suggerisce che la dieta ipocalorica o il digiuno sono in grado di bloccare un particolare ‘settore’ del sistema immunitario, coinvolto in varie patologie per le quali l’infiammazione gioca un ruolo importante: dall’Alzheimer, al diabete di tipo 2, all’aterosclerosi, alla sclerosi multipla.

Alla base di questo effetto favorevole del digiuno, sarebbe in particolare il beta-idrossibutirrato (BHB). Questo metabolita si comporterebbe come un inibitore diretto dell’NLRP3 (NOD-like receptor (NLR) family, pyrin domain–containing protein 3), parte di un complesso di proteine, chiamato ‘inflammasoma’. Ed è proprio l’inflammasoma a provocare la risposta infiammatoria che si ritrova alla base di tante patologie.

I corpi chetonici come il BHB e l’acetoacetato (AcAc) consentono ai mammiferi di sopravvivere durante stati di carenza energetica, fungendo da fonti alternative di ATP.
E il BHB è appunto un metabolita prodotto dall’organismo in risposta al digiuno, alla restrizione calorica, ad una dieta chetogenica a basso contenuto di carboidrati o all’esercizio fisico ad elevata intensità. Era noto da tempo che digiuno e restrizione calorica riducessero l’infiammazione, ma non era chiaro quale fosse la risposta delle cellule immunitarie ad una ridotta disponibilità di glucosio, né se queste potessero mostrare una risposta a metaboliti prodotti dall’ossidazione dei grassi.

“E’ una scoperta importante - spiega il professor VishwaDeep Dixit, Sezione di Medicina Comparativa presso la Yale School of Medicine (USA) – poiché metaboliti endogeni come il BHB, in grado di bloccare l’inflammasoma NLRP3 potrebbero rivelarsi di grande aiuto in una serie di contesti clinici, quelli delle malattie infiammatorie appunto e laddove vi siano delle mutazioni dei geni NLRP3. I risultati del nostro studio suggeriscono che la dieta chetogenica, il digiuno o l’esercizio fisico ad elevata intensità, portano l’organismo a produrre metaboliti quali il BHB, in grado di ridurre l’inflammasoma NLRP3”.

Lavorando su cellule immunitarie umane e di topo, Dixit e colleghi sono andati a studiare la risposta dei macrofagi (cellule immunitarie specializzate implicate nei processi infiammatori), all’esposizione ai corpi chetonici e hanno analizzato le eventuali ricadute di questa reazione sul complesso dell’inflammasoma.

Somministrando il BHB a modelli animali di malattie infiammatorie causate dall’NLRP3, i ricercatori americani hanno dimostrato che l’infiammazione diminuiva. Ma anche una dieta chetogenica, in grado di elevare i livelli circolanti di BHB, produceva lo stesso effetto. Questo effetto antinfiammatorio è peculiare del BHB; né l’AcAc, né il butirrato o l’acetato, acidi grassi a catena corta strettamente correlati, sono infatti in grado di sopprimere l’attivazione dell’inflammasoma NLRP3, in risposta a stimoli infiammatori.

sabato 14 febbraio 2015

Adolescenti: attenzione al consumo di frutta

Il fruttosio, il cui consumo negli ultimi anni è aumentato al pari di obesità e diabete 2, potrebbe aumentare la sensazione di fame e l’assunzione di cibo in eccesso.

Questo è quanto è stato, in sostanza, dimostrato in uno studio che ha valutato gli effetti dell’ingestione di glucosio e fruttosio negli adolescenti magri e obesi con differenti sensibilità all'insulina. Gli adolescenti reclutati sono stati divisi in magri (n = 14), obesi sensibili all’insulina (n = 12) (OIS), e obesi resistenti all'insulina (n = 15) (OIR).

Tutti i partecipanti bevevano 75 g di glucosio o fruttosio in ordine casuale, e ogni 10 minuti, per 60 minuti, venivano prelevati per determinare i livelli sierici di grelina e PYY (2 ormoni coinvolti nei processi metabolici che si ritrovano alla base della sensazione di fame e sazietà e dell’insulino resistenza degli obesi e dei diabetici obesi). Si è così dimostrato che gli adolescenti OIS rispetto ai magri avevano risposte alterate al fruttosio, ma non glucosio, mentre gli adolescenti OIR avevano risposte attenuate a entrambi.

Gli autori ritengono, quindi, che l’assunzione di fruttosio negli adolescenti obesi, possa aumentare il senso di fame e l’eccessiva assunzione di cibo. Attenzione, dunque, frutta in abbondanza sì, ma non troppa!

Fonte:
Obesity (Silver Spring). 2015 Feb 3. doi: 10.1002/oby.21019. [Epub ahead of print]
Blunted suppression of acyl-ghrelin in response to fructose ingestion in obese adolescents: The role of insulin resistance.

venerdì 6 febbraio 2015

Neuroscienze e Nutrizione: Dieta e salute mentale

L’alimentazione gioca un ruolo cruciale per la salute mentale, tanto che la sua importanza in ambito psichiatrico sembra essere paragonabile a quella che essa riveste nell’ambito della cardiologia, dell’endocrinologia e della gastroenterologia. Ad affermarlo, oggi, è un gruppo di ricerca dell’Università di Melbourne, che ha effettuato un’analisi delle attuali evidenze sull’argomento, prendendo in considerazione studi scientifici in materia. Pubblicata* su The Lancet Psychiatry, la ricerca prende in considerazione studi scientifici in materia, confermando il ruolo dell’alimentazione per il benessere non solo fisico ma anche psichico.
“Noi sosteniamo il riconoscimento della dieta e della nutrizione come determinanti centrali sia di salute fisica e mentale”, scrivono i ricercatori nello studio.

Tale studio è stato condotta dal Dottor Jerome Sarris, dell’Università di Melbourne e membro dell’International Society for Nutritional Psychiatry Research (ISNPR), che ha spiegato quanto segue: “mentre i fattori determinanti della salute mentale sono complessi, le evidenze – che emergono in maniera convincente - che l’alimentazione rappresenti un fattore chiave nell’elevata incidenza e prevalenza dei disturbi mentali suggeriscono che la nutrizione è importante per la psichiatria tanto quanto per la cardiologia, l’endocrinologia e la gastroenterologia”.

“Negli ultimi anni”, prosegue Sarris, “sono stati stabiliti collegamenti significativi tra la qualità dell’alimentazione e la salute mentale. Studi rigorosi dal punto di vista scientifico hanno fornito contributi importanti per la nostra comprensione del ruolo della nutrizione nella salute mentale”.
Inoltre, spiegano i ricercatori, ci sono prove scientifiche che suggeriscono che prescrizioni basate sui nutrienti, oltre al migliorare della dieta, possano fornire un aiuto nella gestione dei disturbi mentali, sia a livello individuale che a livello collettivo per la popolazione. A tal proposito, il Dottor Sarris ritiene importante in ambito psichiatrico sostenere un approccio più integrato, considerando anche la dieta e la nutrizione quali elementi chiave.

Inoltre, il Professore Associato Felice Jacka, Principal Research Fellow della Deakin University e presidente della ISNPR, ha osservato che numerosi studi hanno dimostrato associazioni tra sane abitudini alimentari e una prevalenza della riduzione e di rischio per la depressione e suicidio tra diverse culture e gruppi di età.
Anche "l’alimentazione in gravidanza e nella prima fase della vita sta emergendo come fattore della salute mentale nei bambini”, ha affermato Jacka, “mentre gravi carenze di alcuni nutrienti fondamentali durante periodi essenziali per lo sviluppo risultano da tempo implicati nello sviluppo di disturbi sia depressivi che psicotici”.

In particolare, studi scientifici hanno rivelato un chiaro collegamento tra alcuni nutrienti e il benessere a livello cerebrale. Tra questi elementi, i ricercatori segnalano gli omega-3, vitamine B (in particolare acido folico e B12), colina, ferro, zinco, magnesio, S-adenosyl methionine (SAMe), vitamina D e aminoacidi.
“Mentre sosteniamo che questi nutrienti vengano assunti tramite la dieta laddove possibile, la prescrizione addizionale di questi nutraceutici potrebbe anche essere giustificata", ha affermato il dottor Sarris, che conclude dicendo che “è ora che i medici prendano in considerazione la dieta e le sostanze nutrienti aggiuntivi come parte del ‘pacchetto di trattamento’ per gestire l'enorme onere della malattia mentale".