Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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venerdì 12 ottobre 2018

Dieta. Mai escludere del tutto i carboidrati.

I carboidrati, se esclusi per un lungo periodo dalla dieta, rischiano di essere responsabili di un aumento del rischio di morte prematura per tutte le cause. Un introito pari al 50-55% di tutte le calorie inverte questa tendenza. È quanto emerge da uno studio pubblicato da The Lancet Public Health

Le persone che riducono fortemente i carboidrati nella dieta rischiano di vedere aumentare il loro rischio di morte prematura se riempiono i loro piatti di carne e formaggio invece che di verdute e noci. E, in ogni caso, un introito di carboidrati pari al 50-55 delle calorie non abbassa l’aspettativa di vita. È quanto emerge da uno studio americano pubblicato da The Lancet Public Health.

La premessa. 
Una ricerca precedente a questo studio aveva associato una dieta povera di carboidrati a un maggior successo nella perdita di peso a breve termine e a miglioramenti nei fattori di rischio (come per esempio il diabete) di morte prematura. Si sa ancora poco, invece, sui risultati a lungo periodo dell’esclusione dei carboidrati dalla dieta,

Lo studio
. Per il lavoro pubblicato da Lancet i ricercatori hanno seguito oltre 15.000 adulti tra i 45 e i 65 anni d’età per circa 25 anni. In questo periodo, 6.283 partecipanti sono morti. Chi ha assunto tra il 50 e il 55% delle calorie dai carboidrati ha avuto rischio di morte più basso per tutte le cause durante il periodo dello studio, rispetto alle persone che avevano una dieta molto più povera o molto più ricca di carboidrati.
Le persone che hanno assunto meno carboidrati hanno mangiato, per compensare, cibi molto diversi da cui sono emersi risultati differenti.

“Chi ha sostituito i carboidrati con proteine o grassi animali ha fatto registrare un maggior rischio di mortalità, mentre questa associazione è risultata opposta in chi ha compensato i carboidrati con proteine o grassi vegetali”, sottolinea Sara Seidelmann del Brigham and Women’s Hospital and Harvard Medical School di Boston, autrice dello studio. “Il messaggio chiave di questo studio è che non è sufficiente concentrarsi solo sul taglio dei carboidrati, quanto piuttosto è utile focalizzarsi sui cibi che li sostituiscono”, ha continuato l’esperta.

I ricercatori hanno calcolato che, a partire dai 50 anni, l’aspettativa di vita media era di 33 in chi aveva avuto una dieta con una moderata quantità di carboidrati (che rappresentavano cioè il 50 e il 55% delle calorie complessive assunte). Un’assunzione elevata di carboidrati (oltre il 70% delle calorie) è stata invece associata a un’aspettativa di vita di circa 32 anni. Una dieta povera di carboidrati (meno del 40% dell’apporto calorico complessivo) ha restituito un’aspettativa di vita di 29 anni.

Fonte: Lancet Public Health 2018, Lisa Rapaport

Obesità materna e complicanze dei neonati

I bambini nati da madri obese hanno maggiori probabilità di fronteggiare complicazioni alla nascita, anche se la mamma non ha ipertensione o diabete.
Sono i risultati di un nuovo studio pubblicato da Obstetrics and Gynecology.

Lo studio
Brock Polnaszek e colleghi, del Barnes-Jewish Hospital and Washington University di St. Louis, hanno studiato 3.311 donne obese e 3.147 non obese che hanno avuto parti vaginali a termine. Nessuna di loro aveva diabete o ipertensione. Circa il 9% dei bambini nati da madri obese ha avuto complicanze, rispetto al 7% dei figli nati da donne non obese. In particolare, questi bambini hanno fatto registrare maggiori probabilità di sviluppare sepsi, benché i risultati della coltura batterica mostrassero che i tassi di sepsi effettiva non variavano tra i due gruppi. Inoltre, i nati da madri obese avevano maggiori probabilità di avere un’encefalopatia ipossico-ischemica e necessitavano del trattamento con ipotermia.
Le donne obese, infine, avevano una maggiore probabilità di dover essere indotte al parto, di un cesareo pregresso, di vivere una prima parte del travaglio più lunga. I loro figli hanno fatto registrare un più alto peso alla nascita.

Fonte: Obstet Gynecol 2018

Probiotici bocciati, sarebbero inutili


I tanto millantati probiotici o batteri buoni, come Lactobacillus e Bifidobacteria, non avrebbero nessun effetto particolare sull’intestino e anzi sarebbero quasi inutili. A rivelarlo è uno studio israeliano del Weizmann Institute of Science pubblicato su Cell.

I ricercatori hanno analizzato attentamente cosa accade nell’organismo quando si consumano probiotici, provando un ‘cocktail’ con 11 comuni batteri buoni, tra cui ceppi di Lactobacillus e Bifidobacteria, che poi hanno dato a 25 volontari sani per un mese. Dopo di che li hanno sedati e gli hanno prelevato, chirurgicamente, dei campioni dallo stomaco e dall’intestino per vedere dove i batteri erano riusciti a colonizzare e se avevano prodotto dei cambiamenti nell’attività dell’intestino. Si è così visto che in metà dei casi i batteri buoni erano andati nella bocca e poi direttamente fuori. Nel resto dei casi hanno resistito brevemente prima di essere tolti dai microbi esistenti.

Miliardi di batteri vivono nel nostro intestino, ma “è sbagliato aspettarsi che i probiotici da banco funzionino su tutti – commenta Eran Elinav, uno dei ricercatori – In futuro dovranno essere fatti su misura per i bisogni dei singoli pazienti”. Gli studiosi hanno valutato l’impatto dei probiotici anche dopo un ciclo di antibiotico, che aveva spazzato via batteri buoni e cattivi. Nella sperimentazione su 46 persone hanno visto che ritardavano il ristabilirsi dei normali batteri sani. “Contrariamente a quanto pensano tutti che i probiotici non siano dannosi, c’è invece un nuovo potenziale effetto avverso con gli antibiotici, che può avere conseguenze nel lungo periodo”, continua Elinav. I probiotici hanno invece un effetto positivo dimostrato nel proteggere i bambini prematuri dalla entecolite necrotizzante.

sabato 15 settembre 2018

L'adipe brucia vitamina D e testosterone nei maschi.

La recente scoperta dell'Università di Padova punta i riflettori sui maschi

L'adipe 'mangia' la vitamina D e questo rende più elevato il rischio per le persone affette da obesità di contrarre l'osteoporosi. E' quanto emerge da una ricerca durata tre anni, realizzata da un'equipe specializzata coordinata dal Carlo Foresta, ordinario di Endocrinologia e direttore dell'Uoc di Andrologia e Medicina della Riproduzione dell'Università di Padova. Una scoperta innovativa che aiuterà ad individuare i soggetti a rischio e a riformulare le cure. L'osteoporosi, infatti, non è un problema solo femminile, ma rappresenta un'emergenza clinica anche per il maschio: dopo i 50 anni un uomo su 5 ne risulta esserne affetto. Nelle donne il rischio di osteoporosi è fortemente correlato alla menopausa, pertanto lo screening e la diagnosi per questa patologia sono una pratica clinica consolidata. Nel maschio invece non è stato individuato ancora il fattore di rischio scatenante, pertanto in Italia il 90% delle densitometrie, metodica che studia la densità dello scheletro, è appannaggio delle donne".

Analizzando altre varabili, una patologia molto più frequente nell'uomo che nella donna è l'obesità: secondo l'Istat il 55% degli uomini risulta essere in sovrappeso-obeso. "L'obesità è un fattore di rischio per l'osteoporosi - spiega Foresta - e noi abbiamo dimostrato che l'associazione tra obesità e osteoporosi nell'uomo può essere ricondotta alla riduzione dei livelli di testosterone e di vitamina D, espressione di una alterazione della funzione endocrina del testicolo. Dagli studi sperimentali effettuati è emerso però che la riduzione dei livelli circolanti di questi ormoni è determinata anche dal loro sequestro da parte dell'incrementata massa di cellule adipose nel soggetto obeso". I ricercatori hanno scoperto che il tessuto adiposo nel maschio obeso cattura il testosterone e la vitamina D circolanti nel sangue, che non vengono poi liberati dai comuni meccanismi di rilascio, rendendo di fatto inefficaci questi ormoni. "Questi risultati, oltre a chiarire i meccanismi attraverso i quali l'obesità determina le alterazioni osteoporotiche - precisa Foresta - suggeriscono che gli atteggiamenti terapeutici volti a normalizzare i livelli di testosterone e vitamina D devono mirare ad evitare concentrazioni che aggravino l'accumulo di questi ormoni nel tessuto adiposo".

ENDOCRINOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 13/09/2018 14:30

martedì 11 settembre 2018

Quasi inutili i probiotici: per essere efficaci vanno tarati su singolo paziente


I probiotici o batteri buoni, come il Lactobacillus e Bifidobacteria, tanto reclamizzati per il benessere del corpo e in particolare dell'intestino, sarebbero in realtà quasi inutili. A bocciarli è uno studio israeliano del Weizmann Institute of science pubblicato sulla rivista Cell. I ricercatori hanno analizzato attentamente cosa accade nell'organismo quando si consumano probiotici, provando un 'cocktail' con 11 comuni batteri buoni, tra cui ceppi di Lactobacillus e Bifidobacteria, che poi hanno dato a 25 volontari sani per un mese. Dopo di che li hanno sedati e gli hanno prelevato, chirurgicamente, dei campioni dallo stomaco e dall'intestino per vedere dove i batteri erano riusciti a colonizzare e se avevano prodotto dei cambiamenti nell'attività dell'intestino. Si è così visto che in metà dei casi i batteri buoni erano andati nella bocca e poi direttamente fuori.

Nel resto dei casi hanno resistito brevemente prima di essere tolti dai microbi esistenti. Miliardi di batteri vivono nel nostro intestino, ma "è sbagliato aspettarsi che i probiotici da banco funzionino su tutti - commenta Eran Elinav, uno dei ricercatori - In futuro dovranno essere fatti su misura per i bisogni dei singoli pazienti". Gli studiosi hanno valutato l'impatto dei probiotici anche dopo un ciclo di antibiotico, che aveva spazzato via batteri buoni e cattivi. Nella sperimentazione su 46 persone hanno visto che ritardavano il ristabilirsi dei normali batteri sani. "Contrariamente a quanto pensano tutti che i probiotici non siano dannosi, c'è invece un nuovo potenziale effetto avverso con gli antibiotici, che può avere conseguenze nel lungo periodo", continua Elinav. I probiotici hanno invece un effetto positivo dimostrato nel proteggere i bambini prematuri dalla entecolite necrotizzante.

NUTRIZIONE | REDAZIONE DOTTNET | 08/09/2018 16:31

martedì 7 agosto 2018

Una dieta appropriata cancella il diabete attivando il pancreas

Dimagrendo si recupera la produzione dell'ormone dell'insulina.

Con una dieta efficace (alla portata di molti pazienti, per arrivare a un dimagrimento in media di 10 chili) il diabete regredisce in via definitiva in quasi un caso su due e questo si deve alle cellule del pancreas che producono insulina - le beta cellule - che ricominciano a funzionare grazie alla perdita di peso. Lo rivela una ricerca pubblicata sulla rivista Cell Metabolism e condotta da Roy Taylor della Newcastle University. "I nostri dati - afferma Taylor - suggeriscono che se si interviene tempestivamente alla diagnosi con una dieta sostanziale si possono salvare le beta-cellule". 

"Questo studio - afferma in un'intervista all'ANSA Francesco Purrello, presidente della Società Italiana di Diabetologia e ordinario di Medicina Interna all'Università di Catania - conferma che all'inizio della malattia, subito dopo la diagnosi, bisogna agire prontamente e in maniera efficace sugli stili di vita per cambiare la prognosi della malattia se non addirittura farla regredire del tutto". Lo studio, aggiunge Purrello, dà anche conferma del fatto che non tutti i pazienti con diabete tipo 2 hanno le stesse alterazioni. "In alcuni di essi il difetto di produzione di insulinica è recuperabile. Questi pazienti vanno individuati subito, alla diagnosi, perché hanno le maggiori probabilità di far regredire dalla malattia. Questo lavoro dà un'ulteriore spinta verso la terapia personalizzata e la medicina di precisione del diabete tipo 2, malattia eterogenea e complessa".

Il diabete colpisce nel mondo qualcosa come 422 milioni di persone e nel 90% dei casi si tratta di 'diabete di tipo 2' o insulino-resistente in cui, cioè, il corpo non risponde bene all'insulina (ormone che regola la 'glicemia', ovvero la concentrazione di zucchero nel sangue). Fino alla sperimentazione clinica coordinata da Taylor in cui si è dimostrato che una dieta molto ferrea può portare la malattia in remissione (United-Kingdom-based Diabetes Remission Clinical Trial - DiRECT) il diabete è stato sempre considerato una malattia cronica che peggiora col tempo. In questo nuovo studio Taylor ha riesaminato una parte del campione di individui che aveva partecipato a DiRECT, confrontando i pazienti che perdendo peso erano andati in remissione con quelli che, pur avendo perso peso, continuavano ad avere il diabete.

Ebbene, è emerso che la differenza tra questi due gruppi di pazienti è duplice: in primis gli anni trascorsi dalla diagnosi all'intervento con la dieta (meno sono gli anni, più aumentano le chance di guarigione). Poi il fatto che solo nei pazienti che vanno in remissione si osserva un immediato e duraturo miglioramento della funzione delle beta-cellule in seguito alla perdita di peso. In particolare migliorano produzione e rilascio immediati di insulina, quella, cioè, che viene messa in circolo subito dopo l'inizio di un pasto, se non addirittura al momento in cui si vede il cibo o comunque ai primissimi atti della masticazione. Questo studio arricchisce le conoscenze sui meccanismi che possono portare alla remissione del diabete e potrebbe dunque suggerire come favorire questa remissione su una maggiore percentuale di pazienti.

"Il lavoro - afferma Purrello - ha ricadute cliniche potenzialmente enormi: il diabete è in aumento spaventoso nel mondo perché gli stili di vita stanno via via peggiorando, sia come riduzione di attività fisica, sia come abitudini alimentari che peggiorano soprattutto nelle fasce di popolazione economicamente più svantaggiate, che comprano più cibo spazzatura (più economico di cibi sani come frutta, verdura e pesce)". Non a caso, infatti, il diabete appare sempre più legato allo stato socio-culturale ed economico delle persone; in altri termini, conclude Purrello, se ti puoi permettere una sana alimentazione e l'attività fisica, sei meno a rischio di ammalarti. 


DIABETOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 
fonte: ansa

Colazione sana: può causare picchi di zucchero nel sangue

Persone in buona salute lo metabolizzano in modo diverso.

Anche una colazione "sana e leggera" in alcuni individui che non hanno il diabete, può portare a elevati picchi di zuccheri nel sangue. A metter in guardia è uno studio pubblicato sulla rivista PLOS Biology, che rivela come anche chi pensa di essere "in buona salute" dovrebbe prestare attenzione a ciò che mangia. I picchi glicemici, ovvero alti livelli di zucchero nel sangue, possono contribuire al rischio di malattie cardiovascolari e alle tendenze di una persona a sviluppare insulino-resistenza, che è un precursore del diabete.

La maggior parte delle persone che controlla la propria glicemia lo fa con un prelievo veloce, ma con questo metodo non coglie l'aumento e la diminuzione determinata da ciò che la persona ha mangiato quel giorno, in particolare carboidrati come riso, pane e patate. Per una valutazione più accurata, i ricercatori della Stanford University School of Medicine hanno fornito per due settimane a 57 persone, la maggior parte delle quali in buona salute, un dispositivo per il monitoraggio del glucosio continuo, che prende letture costanti delle concentrazioni di zucchero nel sangue. 

"Abbiamo visto che ci sono molte persone che hanno picchi di livelli di glucosio e non lo sanno nemmeno", ha detto Michael Snyder, professore di genetica a Stanford e autore senior dello studio. Quindi è stato monitorato l'effetto di tre tipi di colazioni diverse: una ciotola di cornflakes con latte, un sandwich al burro di arachidi e una barretta proteica. Più della metà delle persone i cui precedenti test glicemici avevano dato 'valori normali' ha raggiunto gli stessi livelli di zuccheri delle persone prediabetiche o diabetiche. In particolare l'80% dei partecipanti vedeva salire la glicemia dopo aver mangiato cereali e latte.

"Questo studio - spiega Francesco Purrello, presidente della Società Italiana di Diabetologia (Sid) - conferma che il diabete è una malattia molto insidiosa, che negli stadi iniziali è difficile da diagnosticare, seppure anche in questa fase sia molto pericolosa. Conferma, inoltre, che avere la glicemia a digiuno nell'ambito dei valori normali non è garanzia di non essere diabetici o molto prossimi al diabete. Il messaggio finale è che non esistono cibi ideali per tutti e che una serie di variabili, ad esempio differente genetica o differente flora batterica intestinale possono determinare quali sono i cibi più 'iperglicemizzanti' in differenti individui. Questo lavoro dà un'ulteriore spinta verso la terapia personalizzata e la medicina di precisione del diabete".


DIABETOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 

fonte: PLOS Biology

mercoledì 13 giugno 2018

Una dieta con troppo sale annienta i batteri buoni dell'intestino

Uccide il Lactobacillus che difende dalla pressione alta e dalle malattie.

Mangiare cibi troppo salati potrebbe uccidere alcuni batteri 'buoni' che vivono nel nostro intestino e che proteggono dall'ipertensione e da malattie autoimmuni. A identificare il meccanismo è uno studio presentato alla British Cardiovascular Society Conference a Manchester, nel Regno Unito. Gli scienziati del Centro Max Delbrück per la medicina molecolare, a Berlino, hanno scoperto che in topi alimentati con una dieta ricca di sale, viene annientato il Lactobacillus, il più 'famoso' batterio 'amico' che vive nell'intestino e di cui sono ricchi alcuni alimenti fermentati.

Nei topi studiati, consumare troppo sale ha causato, come prevedibile, un aumento della pressione sanguigna, ma ha anche innescato l'attivazione di cellule immunitarie TH17 che inducono infiammazione. Inoltre gli stessi topi hanno anche dimostrato i sintomi di encefalomielite, una condizione autoimmune simile alla Sclerosi Multipla. Gli autori hanno però scoperto che i sintomi dell'encefalomielite, la pressione sanguigna e la conta delle cellule TH17 potevano essere ridotti somministrando agli animali un trattamento probiotico a base di Lactobacillus. Gli autori hanno quindi replicato i risultati sull'uomo e reclutato 12 volontari sani che hanno consumato 6 grammi di sale in più ogni giorno. Al termine di due settimane nella maggior parte dei partecipanti, il Lactobacillus era stato eliminato dai microbiomi, ovvero l'ecosistema di organismi che vivono nel sistema digestivo.

E questo era associato a pressione sanguigna più alta e un aumento del numero di cellule TH17. "Potrebbero esserci anche altri batteri sensibili al sale e altrettanto importanti dei Lactobacillus. Questa potrebbe essere la punta dell'iceberg che può portare a prendere di mira i batteri intestinali per il trattamento di gravi malattie", spiega Dominik N. Müller, autore principale dello studio.

NUTRIZIONE | REDAZIONE DOTTNET | 11/06/2018 15:22

giovedì 31 maggio 2018

Le dieci raccomandazioni per prevenire il cancro

Tra i consigli limitare le carni rosse, allattare al seno e no agli integratori

Dieci raccomandazioni per prevenire il cancro, dall'attività fisica alla giusta alimentazione, con il ribadito invito a ridurre il consumo di carne rossa. L'ultimo decalogo aggiornato arriva dal World Cancer Research Fund, che ha pubblicato il Rapporto 'Dieta, nutrizione, attività fisica e cancro: una prospettiva globale'. "Le nostre raccomandazioni - spiega Martin Wiseman, consigliere medico-scientifico - arrivano dalle conclusioni di un panel di esperti indipendente. Rappresentano un 'pacchetto' di scelte di stili di vita salutari che, insieme, possono avere un enorme impatto sul rischio che un soggetto ha di sviluppare il cancro nel corso della vita". Queste le raccomandazioni:

- MANTIENI IL GIUSTO PESO: è importante evitare sovrappeso e obesità e limitare l'aumento del peso corporeo nell'età adulta. Proprio il sovrappeso è infatti tra le cause di 12 tumori

- MUOVITI DI PIU': camminare di più ogni giorno e stare seduti per meno tempo. E' infatti dimostrato che l'attività fisica protegge contro il cancro al colon, seno ed endometrio. L'Organizzazione mondiale della sanità consiglia di svolgere almeno 150 minuti di attività fisica moderata a settimana (va bene anche camminare, nuotare o svolgere attività domestiche) oppure 75 minuti di attività fisica vigorosa (corsa, ciclismo, aerobica). Attenzione anche al tempo eccessivo trascorso davanti a tv e videogames.

- MANGIA CEREALI, FRUTTA, VERDURA E LEGUMI: il consiglio è di mangiare almeno 30 grammi di fibre ed almeno 400 grammi di frutta e verdura ogni giorno.

- LIMITARE I FAST FOOD: dito puntato contro burgers, pollo fritto, patatine fritte e bevande molto caloriche e zuccherate. Si tratta di cibi sottoposti a processi industriali che di solito hanno alto valore energetico ma ridotti micronutrienti.

- LIMITA LE CARNI ROSSE E LAVORATE: limitare, dunque, anche il consumo di salami, prosciutti e bacon. Se si mangia carne rossa, il consumo dovrebbe essere limitato a non più di tre porzioni a settimana, equivalenti a circa 350-500 grammi di carne cotta.

- LIMITARE LE BEVANDE ZUCCHERATE: meglio bere acqua o bevande non zuccherate, incluso Tè e caffè senza zucchero aggiunto. Il caffè, ricordano gli esperti, ha probabilmente anche un effetto protettivo contro il tumore al fegato e all'endometrio. I succhi di frutta andrebbero consumati in quantità limitate. -

NO ALL'ALCOL: ci sono evidenze che l'alcol sia tra le cause del cancro alla bocca, faringe, esofago, fegato, colon, seno e stomaco. Non c'è una soglia di consumo alcolico sotto la quale il rischio di cancro non aumenti, almeno per alcune forme.

- NON USARE INTEGRATORI PER PREVENIRE IL CANCRO: non c'è evidenza scientifica forte del fatto che gli integratori alimentari - a parte il calcio nel caso del cancro al colon-retto - possano ridurre il rischio di tumore. Per la maggioranza delle persone, avvertono gli esperti, è più probabile che cibo e bevande sane proteggano da tale rischio di quanto non facciano gli integratori. 

- ALLATTA SE POSSIBILE AL SENO: l'allattamento protegge la madre dal rischio di cancro alla mammella ed i bambini allattati da sovrappeso o obesità e, dunque, dalle forme di tumore per le quali il sovrappeso rappresenta una causa.

- DOPO UNA DIAGNOSI DI CANCRO, SEGUIRE RACCOMANDAZIONI: le persone che hanno superato il cancro dovrebbero essere guidate rispetto al loro regime nutrizionale e di attività fisica da specialisti della materia.


fonte: World Cancer Research Fund


ONCOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 29/05/2018 11:27

martedì 29 maggio 2018

Parkinson: con malattia infiammatoria intestinale maggiore rischio di svilupparlo.

Un ampio studio danese conferma la teoria seconda la quale l’ambiente intestinale inflluenza la funzionalità del sistema nervoso centrale. Chi soffre di una malattia infiammatoria intestinale corre un rischio più alto del 22% di sviluppare la Malattia di Parkinson.


Le persone che soffrono di una malattia infiammatoria intestinale (Ibd – inflammatory bowel disease) avrebbero un rischio del 22% più alto di soffrire di Parkinson. A evidenziarlo è uno studio pubblicato su Gut, guidato da Tomasz Brudek, del Bispebjerg and Frederiksberg Hospital di Copenhagen, in Danimarca. I risultati, secondo gli autori, supportano la teoria del collegamento intestino-cervello, secondo la quale l’ambiente intestinale influenza la funzionalità del sistema nervoso centrale.


Lo studio
Brudek e il suo team hanno esaminato 76.477 persone con una diagnosi di Ibd, confrontandoli con più di sette milioni di controlli senza malattia intestinale, di corrispondente sesso ed età. Durante il follow-up, è emerso che i pazienti con Ibd avevano il 22% in più di probabilità di sviluppare Parkinson. Un aumento del rischio che riguarda in ugual misura uomini e donne.


I risultati
In particolare, i pazienti con colite ulcerosa corrono il rischio più alto, che però non aumenta significativamente tra coloro che soffrono di malattia di Crohn. L’età alla diagnosi, inoltre, non è associata con un aumento del rischio di Parkinson e l’età alla diagnosi di Malattia di Parkinson è risultata uguale tra coloro che soffrono di Ibd e quelli che non hanno questa patologia.


Fonte: Gut
Anne Harding
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

Il digiuno intermittente favorisce il diabete 2 e l'accumulo di grassi

Le diete troppo 'fast' non sono adatte a perdere peso.

Praticare il digiuno intermittente, aumenta la 'pancetta' e il rischio di diabete di tipo 2. Un nuovo studio presentato al congresso annuale della Società Europea di Endocrinologia tenutosi a Barcellona, mostra che questa popolare dieta fast, anche se può fa perdere peso, nuoce al metabolismo e aumenta la produzione di insulina. Caratterizzato da giorni in cui si limita drasticamente l'apporto calorico (a un quarto della dose giornaliera o meno) e nei giorni di "festa", in cui si può mangiare tutto ciò che si desidera, questo regime alimentare è diventato famoso per i supposti vantaggi nel vivere più a lungo. Alcuni studi, tuttavia, suggeriscono però anche che aumenti lo stress ossidativo e la produzione di radicali liberi, fattori che accelerano il processo di invecchiamento e danneggiamento del DNA. Per chiarire i dubbi, i ricercatori dell'Università di San Paolo in Brasile, guidati da Ana Cláudia Munhoz Bonassa, hanno studiato per tre mesi dei roditori adulti sani.

Durante questo periodo, ne hanno monitorato i livelli dell'insulina, il loro peso corporeo e i radicali liberi. Alla fine del periodo, i ratti avevano perso peso, come previsto. Tuttavia, la distribuzione del loro grasso corporeo è cambiata in modo imprevisto: il tessuto adiposo addominale è aumentato e, come noto, questo questo è legato a un aumentato rischio di diabete di tipo 2. "Questo studio sperimentale ha dimostrato come il digiuno intermittente - commenta Giorgio Sesti, past president della Società Italiana di Diabetologia (Sid) e ordinario di Medicina interna all'Università Magna Graecia di Catanzaro - determina un aumento dei radicali liberi, indici di stress ossidativo, un danno delle cellule beta del pancreas che producono insulina, un aumento del grasso viscerale e un aumento dell'insulino-resistenza. Tutte queste alterazioni metaboliche hanno aumentato l'incidenza di diabete negli animali che vi sono stati sottoposti". Questi risultati, aggiunge, "chiariscono che la perdita di peso attraverso diete che mettono sotto eccessivo stress il nostro organismo non sono adatte per perdere peso in modo sicuro e soprattutto duraturo".

DIABETOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 24/05/2018 11:39

giovedì 19 aprile 2018

Dieta e stili vita della coppia predicono la salute del nascituro

Dieta e stili di vita adottati dalla coppia prima di concepire un bebè influenzano la salute del nascituro. Lo rivela un'approfondita analisi pubblicata sulla rivista The Lancet che ridefinisce in maniera più precisa e sfaccettata la durata del periodo preconcezionale. "Questa è una fase critica perché la salute della coppia, inclusi peso, metabolismo e dieta, può influenzare il rischio di future malattie croniche nei bambini", afferma Judith Stephenson della University College di Londra.

"L'attuale attenzione data a fattori di rischio come fumo o alcol è importante - spiega - ma è necessario anche preparare la coppia alla gravidanza sul fronte nutrizionale". Il periodo preconcezionale veniva considerato di 3 mesi, ovvero il tempo medio impiegato a concepire un bebè. Il nuovo studio lo ridefinisce in tre modi: biologicamente dura i giorni (o le settimane) intorno all'evento di unione tra spermatozoo e cellula uovo; individualmente è il periodo che decorre da quando la coppia pianifica una gravidanza fino al concepimento; per la salute pubblica si estende (e può durare mesi o anni) a tutto il tempo necessario per rimuovere nella coppia fattori di rischio per la gravidanza, come ad esempio cambiare dieta o dimagrire.

Gli esperti hanno anche studiato 509 donne in età riproduttiva e visto che molte di loro non sono pronte alla gravidanza da un punto di vista nutrizionale e che il 96% non ha adeguati apporti di nutrienti importanti per lo sviluppo fetale in base alle raccomandazioni in vigore (ad esempio ferro e folato). Lo studio passa infine in rassegna tutte le evidenze scientifiche secondo cui il fumo, l'elevato consumo di caffeina, la dieta, l'obesità o al contrario la malnutrizione potenzialmente sono causa di cambiamenti genetici, cellulari, metabolici e fisiologici durante lo sviluppo fetale, con conseguenze durature per il nascituro e aumento di rischio di malattie cardiovascolari, metaboliche, immunitarie, neurologiche. "È cruciale aumentare la consapevolezza sull'importanza della salute preconcezionale e migliorarla", conclude Stephenson.


Fonte: ansa

sabato 7 aprile 2018

Una dieta sbagliata favorisce le malattie reumatiche

A Genova esperti a confronto dal 12 aprile: 'Occorre tornare a quella Mediterranea'

Una dieta sbagliata non provoca solo disturbi cardiovascolari, metabolici e diverse forme di cancro, può anche rendere più frequenti altre patologie serie, di origine reumatica, come artriti, lupus, gotta e osteoporosi. E' questo uno degli argomenti che sarà al centro del XVII Congresso Mediterraneo di Reumatologia che si terrà dal 12 al 14 aprile a Genova e che vedrà la partecipazione di oltre 400 esperti e pazienti provenienti da 45 diverse nazioni.

"Nuove abitudini alimentari stanno prendendo il sopravvento al posto della dieta mediterranea che è universalmente considerata la più salutare - afferma Maurizio Cutolo, organizzatore del congresso internazionale e Direttore della Divisione Universitaria di Reumatologia di Genova e del Policlinico San Martino -. Seguire fin dai primi anni di vita un'alimentazione equilibrata significa fare una prevenzione primaria di molte malattie croniche. In effetti è dimostrato che alcuni costituenti nutrizionali possono svolgere una funzione protettiva contro i processi infiammatori che sono alla base di quasi tutte le patologie reumatiche". Il consiglio quindi è tornare alla dieta mediterranea. 

"Bisogna quindi usare regolarmente verdura e frutta, possibilmente colorata, perché rappresentano un'importante fonte di fibre e vitamine antiossidanti e quindi anti-lesioni cellulari - prosegue l'esperto -. Simili vantaggi si ottengono anche dal pesce azzurro e rosa che sono ricchi di preziosi acidi grassi omega-3. Ed infine è molto importante il consumo di derivati del latte, anche di capra, che apportano calcio e altri sali minerali. Va invece limitato il più possibile l'uso di bevande zuccherate e del sale da cucina perché il cloruro di sodio, oltre a favorire l'ipertensione, attiva alcune cellule infiammatorie come i linfociti Th-17 coinvolti nel processo infiammatorio". 

REUMATOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET 
fonte: ansa

Il peso in eccesso accresce il rischio fegato grasso già dagli 8 anni

Emerge da uno studio del Columbia University Medical Center, pubblicato sulla rivista Journal of Pediatrics.

Un aumento di peso può avere un impatto negativo sulla salute del fegato nei bambini, già a 8 anni. Un girovita ampio all'età di 3 anni aumenta infatti la probabilità che già dopo qualche anno i piccoli abbiano marcatori per la steatosi epatica non alcolica (comunemente detta fegato grasso). È quanto emerge da uno studio del Columbia University Medical Center,pubblicato sulla rivista Journal of Pediatrics. "Molti genitori - spiega Jennifer Woo Baidal, autrice principale della ricerca - sanno che l'obesità può portare al diabete di tipo 2 e ad altre condizioni metaboliche, ma c'è molta meno consapevolezza che questa condizione, anche nei bambini piccoli, può portare a gravi malattie del fegato". 

La steatosi epatica non alcolica si verifica quando un eccesso di grasso si accumula nel fegato. La malattia è generalmente asintomatica, ma la sua progressione può portare ad esempio alla cirrosi o nei casi più gravi allo sviluppo di un tumore epatico. I ricercatori hanno misurato i livelli nel sangue di un enzima epatico chiamato Alt (transaminasi), che se elevati indicano un danno al fegato, in 635 bambini del Project Viva, uno studio prospettico in corso su donne e bambini nel Massachusetts. A 8 anni, il 23% dei bimbi nello studio aveva elevati livelli di Alt e i tra i piccoli con un girovita ampio a tre anni o che avevano guadagnato peso tra i tre e gli otto anni vi era una maggiore probabilità che ciò si verificasse. Nel complesso, tra i bambini con un eccesso di peso il 35% aveva livelli elevati di Alt rispetto al 20% di coloro che avevano un peso normale. "Attualmente - conclude Woo Baidal - il modo migliore per i bambini e gli adulti di combattere il fegato grasso è quello di perdere peso, mangiando meno alimenti trasformati e facendo attività fisica regolare"


MEDICINA INTERNA | REDAZIONE DOTTNET
fonte: Journal of Pediatrics

mercoledì 14 marzo 2018

Intestino e diabete

Una dieta ricca di fibre svolge una funzione anti-diabete perché aumenta i batteri 'amici' presenti nell'intestino, migliorando il controllo degli zuccheri nel sangue. Uno studio pubblicato su Science getta le basi per un intervento in grado di migliorare la vita dei quasi 4 milioni di italiani che soffrono di diabete. Il diabete di tipo 2 è una malattia legata agli stili di vita che riduce la capacità dell'insulina di regolare la presenza di zuccheri nel sangue, causando danni a tessuti e organi. 

Precedenti ricerche hanno mostrato che le persone che consumano più fibre hanno un rischio più basso di svilupparlo. Per indagare sul legame tra fibre e diabete, i ricercatori Rutgers University, nel New Jersey, hanno diviso i partecipanti allo studio in due gruppi, la metà dei quali ha ricevuto una dieta standard e l'altra metà una dieta simile ma con alti livelli di fibre, come i cereali integrali. Dopo 12 settimane, il secondo gruppo mostrava maggiore riduzione dei livelli di glucosio nel sangue. I ricercatori hanno visto che l'aumento delle fibre aveva potenziato in particolare un gruppo di circa 15 batteri intestinali, favorendo la produzione di alcuni acidi grassi a catena corta (acido acetico e acido butirrico) che derivano dalla fermentazione dei carboidrati introdotti con il cibo. 

Questi composti creano un ambiente più acido nell'intestino, portando ad un aumento della produzione di insulina e a un migliore controllo della glicemia. "Appare sempre più importante - sottolinea Enzo Bonora, già presidente della Società Italiana di Diabetologia (Sid) - il ruolo dell'intestino nello sviluppo e nel controllo del diabete. In questo caso i batteri, potenziati dal consumo di fibre, agiscono sul cibo introdotto e ne ricavano sostanze che svolgono funzioni simili agli ormoni e quindi regolano il controllo della malattia. 
Le fibre alimentari, quindi, cambiano la flora intestinale in senso 'anti-diabetico'".


DIABETOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 11/03/2018 14:06

Obesità e colesterolo: cuore dei bambini a rischio.

Il cuore dei bambini italiani è sempre più a rischio. A metterlo in pericolo sono pressione alta, obesità ed alti livelli di colesterolo: tre condizioni che riguardano una fetta sempre più ampia di piccoli, tanto che l'ipertensione colpisce ad esempio ben un ragazzino su 10. La colpa è, innanzitutto, dei cattivi stili di vita a partire da alimentazione scorretta e sedentarietà. 

E' questo il quadro, "decisamente preoccupante", tracciato dai cardiologi che, dal congresso nazionale della Società italiana di prevenzione cardiovascolare (Siprec), invitano a non sottovalutare tali condizioni indicando nella prevenzione la prima arma a difesa dei bambini. Prevenzione che passa anche dalle vaccinazioni che, rilevano gli esperti, rappresentano pure uno strumento per la protezione cardiovascolare. Proprio "ipertensione, obesità, diabete e ipercolesterolemia - afferma il presidente Siprec Massimo Volpe - rappresentano le 4 principali ricadute sui bambini di stili di vita scorretti. Sul banco degli imputati sono innanzitutto la cattiva alimentazione, con eccesso di grassi e sale, e la mancanza di attività fisica, principali cause di tali condizioni critiche che possono mettere in pericolo nel medio e lungo termine il benessere cardiovascolare dei più piccoli".

Infatti, avverte Volpe, "oggi non sappiamo quali possano essere gli effetti a lungo termine di ipertensione ed alti livelli di colesterolo e glicemia sin da piccoli. Invertire il trend, però, è possibile proprio grazie alla prevenzione. Innanzitutto, consiglia il cardiologo, "a partire dai 10 anni è bene fare uno screening di rischio cardiovascolare almeno ogni 5 anni, con tre semplici esami per la misurazione di glicemia, colesterolo e pressione. La bilancia, poi, deve essere sempre presente per mantenere sotto controllo il peso". Ma anche le vaccinazioni proteggono: "Virus e batteri possono infatti avere effetti negativi sul cuore. il morbillo, ad esempio, può portare a miocardite a rare forme fulminanti e la difterite può determinare blocchi cardiaci nei bambini. In quest'ultimo caso la vaccinazione, che è obbligatoria - ricorda Volpe - ha eliminato tale rischio".

Pure il batterio del meningococco, responsabile della meningite, può dare gravi complicanze cardiovascolari: "Le vaccinazioni dunque -sottolinea Volpe - sono importanti anche per proteggere il cuore e tale effetto vale pure per gli anziani a rischio, grazie alle vaccinazioni per influenza, pneumococco e Zoster". Insomma, conclude il presidente Siprec, "la prevenzione deve cominciare fin da piccoli: se facessimo una seria prevenzione cardiovascolare già da bambini, infatti, da qui a 20 anni sarebbe difficile vedere un infarto in soggetti sotto i 70 anni".

CARDIOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 11/03/2018 14:20

martedì 30 gennaio 2018

Zucchero e dolci accelerano il declino cognitivo

Il diabete o comunque lo scarso controllo dei livelli di zucchero nel sangue (glicemia) potrebbe accelerare l'invecchiamento del cervello. Infatti uno studio pubblicato sulla rivista Diabetologia mostra che avere diabete o prediabete (condizione di scarso controllo della glicemia che precede esordio malattia vera e propria) è associato ad accelerato declino cognitivo. Lo studio ha coinvolto 5139 soggetti (diabetici, prediabetici e sani) ed è stato condotto da Wuxiang Xie dell'Imperial College London. La ricerca mostra che, indipendentemente o meno dalla diagnosi di malattia, chi ha difficoltà a mantenere il controllo dello zucchero nel sangue a lungo termine, presenta un accelerato declino delle funzioni mentali globali e in particolare di abilità quali memoria e funzioni esecutive (ad esempio abilità di pianificazione, risoluzione dei problemi etc) rispetto a coetanei che hanno un buon controllo glicemico.

Gli esperti hanno analizzato a più riprese (mediamente 5 volte nell'arco di diversi anni) le funzioni cognitive del campione e misurato il loro controllo glicemico a lungo termine con un test classico, quello dell''emoglobina glicata' nel sangue (emoglobina legata a molecole di zucchero). Più erano elevati i valori di emoglobina glicata (indice di un pessimo controllo glicemico), più rapido era il declino cognitivo dell'individuo rispetto a coetanei con migliore controllo glicemico. Questo è risultato vero sia per chi già soffre di diabete, sia per chi non ha ancora sviluppato la malattia. Significa che ritardare il più possibile l'esordio del diabete o comunque gestire bene la malattia con un impeccabile controllo glicemico nel tempo possono essere strategie utili a rallentare il declino cognitivo.

Diabetologia | Redazione DottNet | 28/01/2018 19:51

giovedì 25 gennaio 2018

Batteri dell'intestino e geni per la prevenzione oncologica

I batteri intestinali provenienti dalla digestione di frutta e verdura possono produrre un segnale chimico che colpisce il genoma umano, innescando cambiamenti che aiutano a prevenire il cancro. A far luce sul meccanismo con cui i batteri "buoni" nell'intestino possono controllare l'espressione dei geni nelle nostre cellule, e di conseguenza sul meccanismo protettivo innescato da una dieta sana, è uno studio pubblicato su Nature Communications, a cui hanno collaborato anche ricercatori italiani. Scienziati del Babraham Institute, vicino a Cambridge, in collaborazione con colleghi dell'Università statale di Campinas a San Paolo e dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, hanno dimostrato che le sostanze chimiche prodotte dai batteri nell'intestino dalla digestione di frutta e verdura, chiamate acidi grassi a catena corta, possono influenzare la composizione del genoma delle cellule che compongono il rivestimento intestinale e quindi influenzarne il comportamento.
Aumentano infatti il numero di marcatori chimici (crotonilazioni) su alcune regioni del genoma, bloccando una classe di proteine chiamate HDAC, tra cui HDAC2, implicata nello sviluppo delle neoplasie. Comunicando in questo modo, i batteri possono influire sulla risposta dell'organismo al tumore e aiutare a prevenire così alcuni tipi di cancro. Studiando i topi che avevano perso la maggior parte dei batteri nel loro intestino, i ricercatori hanno infatti mostrato che le loro cellule contenevano più proteina HDAC2 rispetto al normale, caratteristica che altri studi hanno collegato ad un aumentato rischio di cancro del colon-retto. "Il nostro studio offre un nuovo interessante target di farmaci da studiare ulteriormente", ha dichiarato il primo autore della ricerca, Rachel Fellows.

Fonte: Nature Communications

Il cervello regola il peso corporeo

Sembra essere in una 'antenna' presente sulle cellule nervose il segreto che consente al cervello di regolare il peso corporeo. Ad evidenziare una possibile chiave per capire l'obesità è uno studio su topi condotto da ricercatori della UC San Francisco e pubblicato su Nature Genetics. La scoperta, i cui risultati suggeriscono potenziali nuovi approcci terapeutici al problema, è avvenuta studiando un raro difetto genetico che provoca malattie accompagnata da obesità estrema. L'inclinazione a un aumento di peso malsano è dovuta per il 60-70 per cento ad alterazioni genetiche che interessano i livelli di leptina, ormone che regola l'appetito. Fondamentale nel corretto funzionamento del "circuito della fame" è il ruolo del recettore MC4R, le cui mutazioni rappresentano la più frequente causa di obesità grave.

La nuova ricerca mostra il ruolo, precedentemente trascurato, svolto dal cilio primario neuronale, struttura che sporge dalla superficie dei neuroni agendo come una sorta di antenna. Per capire se vi fosse un legame tra difetti su MC4R e alterazioni al ciglio primario (frequenti in malattie rare collegate ad obesità estrema come la sindrome di Bardet-Biedl), i ricercatori hanno reso fluorescente la proteina MC4R nel cervello dei topi di laboratorio e scoperto che è concentrata in modo univoco nel cilio primario. Inoltre, in casi di obesità estrema, MC4R non riesce a raggiungere il cilio primario, impedendo al cervello di "tirare il freno" per evitare l'aumento eccessivo di peso. I neuroscienziati sono abituati a pensare come responsabili delle segnalazione al cervello la comunicazione elettrica tra i neuroni (sinapsi) mentre la ricerca evidenzia il ruolo cilio nella segnalazione neuronale. "Abbiamo scoperto un nuovo principio biologico attraverso il quale i neuroni possono comunicare", sottolinea Jeremy Reiter, Capo Dipartimento di Biochimica della UCSF.



Nutrizione | Redazione DottNet | 08/01/2018 21:53