Dott. Vincenzo Tedesco
Nutrizionista e Neuroscienziato
Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare
Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica
Diete personalizzate
Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa
Nutrizione estetica
Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori
Intolleranze alimentari
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domenica 29 luglio 2012
Allungare la vita con e senza memoria
Neuroscienze e nutrizione: allungare la vita con e senza memoria
La restrizione calorica comporta una minor memoria nell'età adulta, ma ne permette una buona conservazione in età avanzata, l'opposto avviene influendo sulla via di segnalazione insulina/IGF-1
Il nematode C. elegans è, com'è noto, uno dei modelli più utilizzati negli studi sulla longevità. E per esso sono stati ottenuti notevoli successi nell'allungamento della vita sfruttando due metodi alternativi. Il primo è quello che ricorre a una drastica riduzione della dieta, mentre il secondo agisce attraverso un indebolimento del segnale insulina/IGF-1.
Questo tipo di studi, peraltro, non ha di mira tanto l'allungamento della vita in sé, ma l'identificazione dei meccanismi coinvolti nel declino delle funzioni fisiche e psichiche correlato all'età. Per questo Amanda Kauffman e colleghi della Princeton University hanno progettato un test per valutare la capacità di apprendimento e di memoria di C. elegans, per poi utilizzarlo al fine di identificare i componenti necessari all'apprendimento alla memoria a breve termine e alla memoria a lungo termine. In questo modo sono riusciti a scoprire che le molecole che svolgono questa funzione nel nematode sono conservate anche nei mammiferi, suggerendo che i meccanismi di base sottostanti ad apprendimento e memoria siano molto antichi.
Nel proseguimento dello studio, ora pubblicato sulla rivista on line ad accesso pubblico PLoS Biology, i ricercatori hanno quindi valutato come i comportamenti di C. elegans, si deteriorassero con l'età. Sorprendentemente i ricercatori hanno constatato che a seconda della modalità utilizzata per allungare la vita dei diversi esemplari impiegati nello studio, gli effetti sulla memoria erano differenti. La restrizione calorica comportava una minor memoria all'inizio dell'età adulta, ma ne permetteva una buona conservazione in età avanzata, mentre la riduzione del segnale della via insulina/IGF-1 permetteva migliori prestazioni mnemoniche nella giovinezza ma una più spiccata decadenza della memoria con l'avanzare dell'età.
Questi risultati suggeriscono quindi che differenti trattamenti per aumentare la longevità possano avere effetti molto differenti rispetto al rallentamento o meno del declino cognitivo.
"Dato che uno degli effetti più devastanti del declino correlato all'età è la perdita di memoria, è molto interessante che possiamo usare C. eleganscome modello per la comprensione non solo della longevità, ma anche della memoria. Ora speriamo di poter utilizzare il nostro sistema per identificare farmaci e trattamenti per contrastare il declino cognitivo correlato all'età", ha commentato la Kauffman.
Troppe calorie mandano il cervello in tilt
Neuroscienze e nutrizione: troppe calorie mandano il cervello in tilt
L'eccesso di calorie innesca a livello cerebrale una risposta infiammatoria finora ignorata.
Un eccesso di calorie può mandare in tilt parti del cervello, e in particolare la capacità di risposta dell'ipotalamo, che funge da quartier generale per il controllo del bilancio energetico dell'organismo. E' questo il risultato di una ricerca condotta presso l'Università del Wisconsin a Madison e pubblicata sull'ultimo numero della rivista "Cell".
I ricercatori hanno scoperto che la risposta cerebrale interssa una molecola, nota come IKKß/NF-kB, che si sa essere coinvolta nei processi infiammatori di vari tessuti, cosa che porta a ipotizzare nuove possibilità di trattamento nei confronti della dilagante epidemia di obesità. "Questa via metabolica è normalmente presente, ma inattiva, nel cervello", spiega Dongsheng Cai, che ha diretto lo studio. Cai dice che non è ancora chiaro perché IKKß/NF-kB si attivi nel cervello, ma ipotizza che essa rappresenti un importante elemento dell'immunità innata. "Nella società attuale questa via è mobilitata da una diversa sfida ambientale: la supernutrizione. Una volta attivato, questo cammino porta a una serie di disfunzioni, ivi inclusa la resistenza all'insulina e alla leptina."
Da studi precedenti già si sapeva che l'eccesso di nutrizione può innescare risposte infiammatorie nei tessuti periferici, dal fegato ai muscoli, portando a difetti metabolici che aprono le porte al diabete di tipo 2, ma non si sapeva che l'infiammazione e i suoi metaboliti avessero un ruolo anche nel sistema nervoso centrale. Ora i ricercatori hanno mostrato che una dieta costantemente ricca di grassi raddoppia l'attività di questa via infiammatoria nel cervello dei topi, e che essa è molto più elevata nei topi geneticamente predisposti all'obesità.
L'aumento dell'attività di IKKß/NF-kB è peraltro distinta dall'obesità in sé, dato che l'infusione cerebrale di glucosio o di grassi è in grado già da sola a scatenarne l'azione. Per contro, trattamenti che portano all'inibizione dall'attività della molecola nel cervello proteggono l'animale dallo sviluppo di obesità.
Mentre l'infiammazione cronica è generalmente considerata una conseguenza dell'obesità, i nuovi risultati suggeriscono che la reazione infiammatoria possa provocare uno sbilanciamento nella risposta cerebrale che porta a tale condizione. A quanto pare, osserva Cai, obesità e infiammazione sono legate a filo doppio: "L'abbondanza stessa di calorie promuove l'infiammazione, mentre l'obesità stimola a sua volta i neuroni a promuovere ulteriormente l'infiammazione in una sorta di circolo vizioso".
Ora che abbiamo compreso il significato di questa strategia metabolica bisogna trasferirla nella pratica clinica. La maggior parte delle terapie antinfiammatorie attuali hanno infatti uno scarso effetto sulla molecola IKKß/NF-kB e una ridotta capacità di agire a livello cerebrale. Tuttavia le nostre scoperte offrono una prospettiva per trattare questa seria patologia." (gg)
Meno calorie per mantenere giovane il cervello
Neuroscienze e nutrizione: meno calorie più plasticità cerebrale
Una moderata riduzione dell'apporto calorico giornaliero è in grado di 'ringiovanire il cervello', promuovendo negli animali adulti un incremento della plasticità cerebrale, caratteristica peculiare del sistema nervoso giovane. Ad analizzare tale relazione, la ricerca 'Food restriction enhances visual cortex plasticity in adulthood', realizzata su ratti adulti e sani da un gruppo di ricercatori dell'Istituto di neuroscienze del CNR di Pisa (In-Cnr) guidato da Lamberto Maffei. Lo studio è stato pubblicato suNature Communications.
"Abbiamo dimostrato che una lieve riduzione delle calorie ingerite ha un forte impatto sulla plasticità del cervello, quella caratteristica che ci permette di apprendere, memorizzare e promuovere il recupero da danni cerebrali di vario genere", afferma Maria Spolidoro, che ha partecipato alla ricerca.
Lo studio è stato realizzato principalmente sulla plasticità del sistema visivo, utilizzando la deprivazione monoculare, continua la Spolidoro: "Una procedura che, effettuata durante le fasi precoci dello sviluppo postnatale, determina cambiamenti funzionali e anatomici a livello della corteccia visiva primaria binoculare ed è modello sperimentale per una delle patologie più diffuse della vista, l'ambliopia (nota anche come 'occhio pigro')".
"Tale patologia, la cui incidenza nella popolazione umana raggiunge l'1-4%, può essere indotta solo da alterazioni della vista presenti in età precoce: il suo trattamento risulta pertanto inefficace se ritardato all'età adulta", evidenzia ancora la ricercatrice. "Lo studio, invece, ha dimostrato come la restrizione calorica induca cambiamenti molecolari noti per essere correlati con un innalzamento della plasticità e ha consentito, pertanto, di intervenire sull'ambliopia anche in ratti adulti."
"Una limitata diminuzione di cibo può avere effetti sorprendenti sull'aspettativa di vita media in una grande varietà di specie: dai lieviti, ai vermi, ai moscerini della frutta, ai roditori fino alle scimmie", conclude Spolidoro. "Tale aumento della longevità parrebbe accompagnato da un effettivo antagonismo del processo di invecchiamento sia a livello di salute in generale - con minore incidenza di malattie cardiovascolari, diabete, ipertensione e neoplasie - sia a livello cerebrale, con conseguente rallentamento del declino cognitivo e dei deficit di memoria dell'ippocampo".
"L'indagine - osserva Maffei - dimostra che la natura ha dotato gli esseri viventi di un potente mezzo di sopravvivenza: la ricerca del cibo, che spinge gli animali a esplorare l'ambiente circostante, e la fame, altro fenomeno adattativo in grado di acuire le potenzialità cognitive. Tuttavia, bisogna fare attenzione: una deprivazione di cibo eccessiva o prolungata può avere effetti diametralmente opposti, causando un grave stress all'organismo".
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