Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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mercoledì 20 marzo 2013

La dieta dei gruppi sanguigni non ha validità scientifica.


Attenzione ai Naturopati: non sono professionisti sanitari autorizzati ad elaborare e suggerire diete

sangue

La dieta dei gruppi sanguigni, o emodieta, è l’ennesima scorciatoia proposta a chi vuole ritrovare la salute tramite l’alimentazione. Si tratta di un regime ideato nel 1997 dallo statunitense Peter J. D’Adamo-Naturopata. L’idea di base è che la razza umana possa essere divisa in quattro gruppi, corrispondenti ai gruppi sanguigni formatisi durante l’evoluzione della specie, ognuno con esigenze alimentari diverse.
Per il “gruppo O”, corrispondente ai “cacciatori”, si consiglia una dieta ricca di carne e proteine e povera di cereali, il “gruppo A”, corrispondente agli “agricoltori”, dovrebbe preferire i vegetali, mentre il “gruppo B” o “nomade” può permettersi di variare. In coda troviamo il “gruppo AB”, di creazione più recente, con alcune limitazioni, come quella di preferire il pesce alla carne.
Secondo D’Adamo, che non è un medico ma un naturopata, questa dieta non serve a dimagrire ma a mantenersi in salute riequilibrando l’organismo. Nei molti saggi in cui promuove il suo metodo, l’inventore della dieta assicura che anche le persone desiderose di perdere peso possono riuscirci facilmente, tanto che negli Usa sono disponibili in commercio i prodotti alimentari “tarati” per i diversi gruppi.



Bello, se fosse vero: peccato che questo metodo abbia scarsa validità scientifica, come ci spiega Fabio Virgili, ricercatore dell’ex Inran specializzato nelle relazioni tra genetica e alimentazione.

«La distribuzione geografica dei gruppi sanguigni è assai complessa, e non possiamo ricollegarla in modo netto alla storia evolutiva e alle migrazioni storiche degli individui che ne sono portatori» spiega Virgili. Se è vero che i gruppi sanguigni più noti, e su cui si basa la dieta, sono quattro, «in realtà i fattori ematici che si dovrebbero prendere in considerazione, per voler tentare un’improbabile distribuzione della popolazione su questa base, sono almeno una ventina».

«Per validare un metodo servono evidenze epidemiologiche, cliniche, indagini con strumenti comprovati scientificamente che qui non ci sono» precisa Virgili. Tanto è vero che nel sito statunitense D’Adamo punta solo su una serie di testimonianze in cui persone dichiarano di aver risolto gravi problemi con questo regime alimentare. Se però si digita l’espressione “blood type diet” su motori di ricerca qualificati come Pub med (una delle principali banche dati mondiali specializzata nell’ambito scientifico), risulta evidente che D’Adamo non basa le sue ricerche su studi scientifici provati. Anche il ruolo delle “lectine”, proteine che secondo il naturopata sarebbero responsabili della diversa reazione degli individui agli alimenti, non è confermato da evidenze.





«Da quando abbiamo gli strumenti per indagare il genoma, la ricerca sulle relazioni tra genetica e alimentazione risulta sempre più complessa – spiega Virgili, – ci stiamo rendendo conto di quanti fattori, sia genetici che ambientali, concorrano a determinare il nostro rapporto con gli alimenti».

Un esempio noto (e ben diverso da quello dei gruppi sanguigni) riguarda l’incapacità di digerire latte o latticini che si riscontra negli adulti e che interessa maggiormente specifiche popolazioni.

«Nelle aree geografiche in cui il latte aveva una notevole importanza alimentare, si sono selezionati soggetti con la variante genetica che consente di metabolizzare il lattosio anche in età adulta, anche se per poterlo fare bisogna continuare a consumare abitualmente latte e latticini».

«Proporre una dieta specifica basata sui profili genetici affidandoci alle nostre ancora limitate conoscenze – sottolinea Virgili, – sarebbe come pretendere di conoscere una città d’arte in base a quanto vediamo dal buco della serratura dell’albergo che ci ospita». Oggi sappiamo che il fabbisogno nutrizionale varia nel corso della vita e anche delle circostanze «l’unica raccomandazione valida che possiamo dare a tutti, è limitare il consumo di grassi, abbondare con i vegetali e, soprattutto, scegliere una dieta quanto più possibile variata». Anche se le nostre interazioni con determinati cibi hanno sicuramente una base genetica, e forse un giorno conosceremo tutti i meccanismi di queste corrispondenze «oggi – conclude il ricercatore – piuttosto che cercare spiegazioni senza basi scientifiche, ha forse più senso imparare ad ascoltarsi».