Dott. Vincenzo Tedesco
Nutrizionista e Neuroscienziato
Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare
Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica
Diete personalizzate
Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa
Nutrizione estetica
Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori
Intolleranze alimentari
Studio Borgo Roma - Via Santa Teresa 47 (ingresso Via Bozzini 3/A), 37135, Verona.
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lunedì 26 ottobre 2020
Malattie infiammatorie intestinali: attenzione al fruttosio
giovedì 15 ottobre 2020
Covid: col sovrappeso si rischia un'infezione grave
INFETTIVOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 13/10/2020 10:38
Il Cdc statunitense ha aggiornato il proprio 'warning' aggiungendo questa categoria
Essere sovrappeso, anche se non si arriva all'obesità, aumenta il rischio di conseguenza gravi in caso di infezione da Covid-19. Lo afferma il Cdc statunitense, che ha aggiornato il proprio 'warning' aggiungendo appunto questa categoria, mentre prima era considerato a rischio maggiore solo chi era obeso. Già dall'inizio della pandemia, sottolinea il documento del Cdc, l'obesità era stata indicata tra i fattori di rischio, perchè le persone obese hanno un maggior tasso di malattie respiratorie e un ridotto volume polmonare. Le prove 'a carico' dell'essere sovrappeso sono minori, spiegano gli esperti, "ma sono sufficienti a far aggiungere la condizione nella lista di quelle che potrebbero aumentare il rischio di malattia grave". Alcuni studi hanno evidenziato ad esempio che chi vive questa condizione ha il doppio del rischio di essere intubato rispetto a chi ha un indice di massa corporea normale e il 40% di rischio in più sia di essere ricoverato che di morte. Una possibile spiegazione, concludono gli autori, sta nel fatto che i chili in più indeboliscono il sistema immunitario. Fra i fattori che aumentano il rischio, sottolinea il Cdc, ci sono sicuramente invece anche il fumo, i tumori e alcune malattie croniche, come il diabete.
mercoledì 7 ottobre 2020
La modifica del microbiota dell'intestino da vecchi porta a un calo della memoria
GASTROENTEROLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 03/10/2020 13:06
La modificazione delle specie batteriche del microbiota intestinale, che si verifica durante l'invecchiamento, causa un calo significativo della memoria, anche di quella spaziale. Lo dimostra una ricerca internazionale guidata dal team dell'Università di Firenze, coordinato da Claudio Nicoletti, che è stata pubblicata sulla rivista scientifica Microbiome. Lo studio - che ha coinvolto ricercatori della University of East Anglia e del Quadram Institute Bioscience di Norwich (Gb), in collaborazione con le Università di Milano, Siena e Nottingham - ha valutato gli effetti di un trapianto di microbiota intestinale, ottenuto da topi anziani, in riceventi giovani.
"Che il microbiota e l'asse intestino-cervello siano estremamente importanti per la nostra salute è cosa nota - racconta Claudio Nicoletti, professore associato di Anatomia umana dell'ateneo di Firenze -. Non era però ancora stata dimostrata la diretta influenza delle modificazioni del microbiota legate all'invecchiamento sul sistema nervoso centrale e sulle funzioni cognitive e comportamentali che esso controlla". Nella ricerca inizialmente i topi giovani che avevano ricevuto il trapianto di microbiota "invecchiato" non hanno mostrato alterazioni nei comportamenti legate a ansia o attività motoria. Ciò che i ricercatori hanno osservato però è stata una significativa diminuzione della memoria e in particolare di quella spaziale, legata all'orientamento. Le ulteriori analisi condotte hanno chiarito come tali deficit cognitivi siano collegati all'alterazione di una serie di proteine dell'ippocampo - un'importante area del sistema nervoso centrale - che giocano un ruolo nella neurotrasmissione e dinamicità sinaptica.
I ricercatori hanno osservato inoltre che le cellule della microglia, che rivestono una funzione di controllo delle cellule neuronali, mostravano tipici segni di invecchiamento. "Le nostre analisi - spiega il ricercatore - suggeriscono che durante l'invecchiamento la diminuzione di specie batteriche intestinali che producono molecole come gli acidi grassi a catene corta, importanti per lo sviluppo e il funzionamento del sistema nervoso centrale, siano almeno in parte responsabili del declino delle facoltà cognitive". "Lo studio dimostra inoltre come il corretto funzionamento dell'asse intestino-cervello sia fondamentale per il mantenimento di importanti funzioni cognitive in tarda età - commenta Nicoletti - e suggerisce che, anche per gli esseri umani, interventi sulla composizione del microbiota possano in futuro contribuire a limitare i danni dell'invecchiamento sul sistema nervoso centrale".
giovedì 1 ottobre 2020
Dai batteri dell'intestino una cura per le malattie metaboliche
DIABETOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 29/09/2020 13:50
Comprendere i meccanismi attraverso i quali il microbioma influenza l'equilibrio metabolico potrebbe avere importanti ricadute su prevenzione, diagnosi e trattamento delle patologie legate all'insulino-resistenza