Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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martedì 18 settembre 2012

Alimentazione e Sclerosi Multipla

Neuroscienze e Nutrizione: Alimentazione e Sclerosi Multipla

La Sclerosi Multipla è la più diffusa malattia flogistico-degenerativa a carico del Sistema Nervoso negli USA, e colpisce principalmente individui tra i 15 e i 55 anni di età.
E’ caratterizzata dalla formazione di numerose lesioni -intese come multiple sedi di danno anatomico di natura infiammatoria a carico di cellule nervose dell’encefalo e/o del midollo spinal
e.
Queste lesioni (infiammatorie) sono in seguito sostituite da tessuto cicatriziale duro (placche), che impedisce il funzionamento della trasmissione nervosa.
I quasi 500.000 americani affetti da SM manifestano ricorrenti episodi (poussées) di deficit a carico del Sistema Nervoso, che esitano in una progressiva perdita di funzioni.
Un episodio può colpire la vista; un altro può causare la perdita del controllo vescicale; pochi mesi dopo, un braccio o una gamba possono perdere la forza.
Dopo dieci anni di malattia, la metà dei pazienti affetti da SM sono severamente disabili, allettati, in carrozzina o peggio.
La Sclerosi Multipla è una malattia comune in Canada, U.S.A ed Europa del Nord, ma rara in Africa ed Asia.
Se un soggetto migra da un Paese a bassa incidenza di SM (e quindi inevitabilmente cambia il proprio stile di vita e la propria dieta), il rischio di contrarre la SM aumenta.
Molti Studi hanno analizzato i fattori ambientali che potrebbero influire sulla diversa incidenza della malattia fra le diverse popolazioni.

IL CIBO E LA SCLEROSI MULTIPLA
Il fattore principale sembra essere quello che rappresenta il più forte elemento di contatto con l’ambiente: il cibo che viene assunto quotidianamente.
Sebbene i Paesi ricchi in genere abbiano tassi più elevati di SM e i Paesi meno ricchi abbiano minori tassi di incidenza, esiste un’eccezione: il Giappone.
Anche se i Giapponesi vivono in un Paese moderno, industrializzato, con tutto lo stress, l’inquinamento, e le abitudini al fumo comuni alle altre Nazioni industrializzate, la loro dieta a base di riso è più simile a quella dei Paesi poveri dove la SM è meno comune.
Il caso Giappone fornisce una valida evidenza di come una dieta ricca di cibi animali, piuttosto che altre “moderne” calamità, possa costituire la base per l’insorgenza di SM.
Naturalmente, tutti i componenti di una dieta a base di cibi ricchi possono causare problemi, ma i grassi animali -specialmente quelli derivanti dai latticini – sono quelli più strettamente correlati allo sviluppo della SM.
Una teoria ipotizza che un’alimentazione infantile a base di latte vaccino crei i presupposti per la comparsa di danni al Sistema Nervoso nel corso della vita.
Il latte vaccino possiede solo un quinto dell’acido linoleico (un acido grasso essenziale) del latte materno.
L’acido linoleico è il costituente principale dei tessuti nervosi.
Può essere verosimile che bambini cresciuti con una dieta ricca di grassi animali e povera in acido linoleico (come la maggior parte di bambini nella nostra società) sviluppino un Sistema Nervoso più vulnerabile nel corso della crescita.
L’analisi dei tessuti cerebrali dimostra che i soggetti affetti da SM hanno un contenuto di grassi saturi nell’encefalo superiore a quello degli individui sani.
Il fattore scatenante la pousée di SM è ignoto, ma possibili agenti sospetti sono virus, reazioni allergiche, e disturbi del flusso ematico al cervello.
Molto probabilmente, l’agente eziologico è in connessione con sistema circolatorio dell’encefalo o del midollo spinale, perchè le caratteristiche lesioni e cicatrici della SM sono localizzate nelle cellule nervose nelle vicinanze dei vasi sanguigni.
Un’altra teoria ipotizza che le riesacerbazioni di SM siano sostenute da un ridotto apporto ematico a zone di tessuto cerebrale vulnerabile.
I grassi alimentari possono avere questo effetto.
Entrano nella corrente ematica e ricoprono le cellule del sangue.
Il risultato è che le cellule si aggregano, formando dei conglomerati che rallentano la perfusione ematica ai tessuti vitali.
Il sangue non forma dei coaguli, come si verifica nell’ictus cerebrale, ma in molti vasi sanguigni questi aggregati diventano così rilevanti da arrestare il flusso ematico, il che provoca un decremento rapido del contenuto totale di Ossigeno del sangue.
I tessuti privati di sangue e Ossigeno per periodi di tempo prolungati vanno incontro a necrosi.
Può qualcosa di così banale costituire un fattore di rischio per la progressione della SM?
Come esempio, possiamo valutare lo stato di salute di individui costretti ad una dieta povera di grassi.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il cibo era scarso e lo stress elevato nell’Europa Occidentale occupata.
La gente non poteva più permettersi la carne, così mangiava i cereali e le verdure che un tempo utilizzavano per nutrire le vacche, i polli ed i maiali.
Il risultato fu una drammatica diminuzione dell’assunzione di prodotti di origine animale e di grassi totali nella dieta. I medici osservarono che i ricoveri per SM erano diminuiti di 2-2.5 volte durante il periodo bellico.
Roy Swank, M.D., ex-direttore del Dipartimento di Neurologia dell’Università dell’Oregon ed ora medico all’Oregon Health Sciences University, osservò che i pazienti con MS erano migliorati quando sottoposti a questa dieta forzatamente povera di grassi. Negli anni ’50, Swank ha iniziato a trattare i propri pazienti con una dieta di questo tipo.
Avendo ottenuto risultati eccellenti, ha trattato per 35 anni migliaia di pazienti affetti da SM in questo modo.
I suoi risultati sono apprezzabili alla luce di qualunque criterio medico standard: le condizioni dei pazienti sono migliorate nel 95% dei casi.
I pazienti andavano meglio se la malattia era stata diagnosticata precocemente ed avevano avuto poche poussées, ma anche i pazienti malati di SM da lungo tempo hanno mostrato un rallentamento nella progressione della malattia.
In origine Swank era soprattutto impegnato nel limitare i grassi saturi, ma col passare degli anni ha iniziato a considerare pericolosi tutti i tipi di grassi.
La sua dieta per la MS attualmente ha un apporto di grassi del 20% delle calorie totali.
L’acido arachidonico e il suo influsso sulla sclerosi multipla
Come suddetto la SM è caratterizzata da lesioni anatomiche di origine infiammatoria a carico del tessuto nervoso.
Le infiammazioni nel cervello e nel midollo spinale vengono attivate e mantenute attive nel corpo dai mediatori dell’infiammazione.
Questi mediatori sono prodotti dall’organismo per mezzo di un acido grasso, l’acido arachidonico.
L’uomo però ha anche bisogno dell’acido arachidonico per importanti reazioni metaboliche: l’organismo stesso ne produce in quantità ridotte, ma sufficienti. Questo processo è regolato e limitato.
La quantità effettiva di acido arachidonico presente nel corpo dipende dall’apporto esterno, ossia dalla quantità di acido arachidonico che una persona assume attraverso l’alimentazione.
Pertanto chi è affetto da SM dovrebbe limitare il più possibile l’assunzione di acido arachidonico per evitare di favorire l’insorgenza di nuovi focolai di infiammazione.
Alcune sostanze nutritive inibiscono la reazione infiammatoria e perciò sono particolarmente raccomandate. Tra le più importanti vi è un altro acido grasso, l’acido eicosapentaenoico (in breve EPA).
A questo acido è attribuito un effetto antinfiammatorio, che raggiunge il massimo quando nell’organismo vi è una bassa percentuale di acido arachidonico.
Il pesce contiene una quantità particolarmente elevata di EPA.
A questo proposito è necessario fare un’osservazione interessante: nelle regioni costiere, dove il consumo di pesce è elevato, vi è una minore incidenza della SM rispetto ad altre regioni.
Consumando molto pesce, facciamo un doppio piacere al nostro corpo: il pesce non soltanto ha un altissimo contenuto di EPA, ma contiene anche tanta vitamina D.
In generale, le vitamine sono composti importanti per l’uomo, poiché influenzano quasi tutti i processi fisiologici.
Le vitamine devono essere apportate con l’alimentazione, perché il corpo non è in grado di sintetizzarle da solo. Solo la vitamina D viene creata dall’organismo stesso, quando riceve una quantità sufficiente di luce solare.
Tuttavia, è possibile aumentare il tenore di vitamina D nell’organismo in qualsiasi momento assumendo latticini.
La trasformazione dell’acido arachidonico nei mediatori dell’infiammazione è un processo ossidativo.
Le vitamine A, E, C e alcuni microelementi (ad es. il selenio e lo zinco) hanno proprietà antiossidanti e quindi antinfiammatorie.
Inoltre, rivestono un ruolo importante nella prevenzione delle lesioni e delle malattie vascolari.

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sabato 1 settembre 2012

Gli omega-3 possono migliorare i disturbi psicotici


Neuroscienze e Nutrizione: gli omega-3 possono migliorare i disturbi psicotici - English/Italiano

Archives of General Psychiatry. 2010; 67:146-154

Long-Chain omega-3 Fatty Acids for Indicated Prevention of Psychotic Disorders: A Randomized, Placebo-Controlled Trial

Amminger GP, Schafer MR, Papageorgiou K, Klier CM, Cotton SM, Harrigan SM, Mackinnon A, McGorry PD, Berger GE

ABSTRACT
The use of antipsychotic medication for the prevention of psychotic disorders is controversial. Long-chain omega-3 polyunsaturated fatty acids (PUFAs) may be beneficial in a range of psychiatric conditions, including schizophrenia. Given that omega-3 PUFAs are generally beneficial to health and without clinically relevant adverse effects, their preventive use in psychosis merits investigation. To determine whether omega-3 PUFAs reduce the rate of progression to first-episode psychotic disorder in adolescents and young adults aged 13 to 25 years with subthreshold psychosis. Randomized, double-blind, placebo-controlled trial conducted between 2004 and 2007. Psychosis detection unit of a large public hospital in Vienna, Austria. Eighty-one individuals at ultra-high risk of psychotic disorder. A 12-week intervention period of 1.2-g/d -3 PUFA or placebo was followed by a 40-week monitoring period; the total study period was 12 months. The primary outcome measure was transition to psychotic disorder. Secondary outcomes included symptomatic and functional changes. The ratio of omega-6 to omega-3 fatty acids in erythrocytes was used to index pretreatment vs posttreatment fatty acid composition. Seventy-six of 81 participants (93.8%) completed the intervention. By study's end (12 months), 2 of 41 individuals (4.9%) in the omega-3 group and 11 of 40 (27.5%) in the placebo group had transitioned to psychotic disorder (P = .007). The difference between the groups in the cumulative risk of progression to full-threshold psychosis was 22.6% (95% confidence interval, 4.8-40.4). Omega-3 Polyunsaturated fatty acids also significantly reduced positive symptoms (P = .01), negative symptoms (P = .02), and general symptoms (P = .01) and improved functioning (P = .002) compared with placebo. The incidence of adverse effects did not differ between the treatment groups. Long-chain omega-3 PUFAs reduce the risk of progression to psychotic disorder and may offer a safe and efficacious strategy for indicated prevention in young people with subthreshold psychotic states.

Commento
L’assunzione di integratori a base di olio di pesce, ricchi in acidi grassi omega-3 possono ridurre la probabilità di sviluppare disturbi psicotici in persone ad alto rischio. Si indica con alto rischio la probabilità di ammalarsi nel 40% dei casi in 12 mesi. E’ stato osservato che la supplementazione con olio di pesce, ricco di EPA e DHA, ha ridotto del 23% il rischio di progressione verso la psicosi conclamata (solo il 4,9% dei pazienti aveva sviluppato un disturbo psicotico). Il legame tra l’assunzione di omega-3 e funzioni cognitive e comportamentali è già stato osservato in passato e i dati più promettenti sono stati segnalati per il DHA, con miglioramenti a livello della memoria in adulti con declino delle funzioni cognitive legate all’età e ad alcune patologie, come il morbo di Alzheimer. Gli acidi grassi omega-3 possono produrre cambiamenti a livello delle membrane cellulari e interagire con i sistemi di neurotrasmissione nel cervello. Inoltre, hanno il vantaggio di essere tollerabili, ben accettati e di avere costi relativamente bassi, a differenza degli antipsicotici, che spesso non sono accettabili, soprattutto per i giovani.

Cibo salva-neuroni così la testa non invecchia

Neuroscienze e Nutrizione: cibo salva-neuroni così la testa non invecchia

Il pesce prima degli esami torna in auge. La motivazione era forse scorretta (l' utilità del fosforo è stata messa in dubbio). Ma sull' effetto finale, generazioni di mamme di studenti avevano visto giusto. Fernando Gomez-Pinilla, un neuroscienziato dell' università della California a Los Angeles, ha infatti passato in rassegna 160 studi sul rapporto fra cibo e cervello e ha pubblicato su Nature Reviews Neuroscience lo studio più completo su come la dieta possa influenzare capacità cognitive e memoria. A passare l' esame sono soprattutto gli omega-3, acidi grassi di cui sono ricchi pesci, kiwi e noci. Sono uno dei mattoni principali delle membrane che circondano i neuroni. Attraverso di esse, come una dogana, passano tutti i segnali che le cellule del cervello si trasmettono quando devono calcolare, ragionare, ricordare, provare emozioni, trasmettere ordini ai vari muscoli del corpo. Quando nel 2007 la pediatra Sheila Innis dell' università di Vancouver ha pensato di prendere un gruppo di bambini tra i 6 e i 12 anni e di fornirgli un supplemento quotidiano di omega-3, i loro risultati scolastici sono migliorati. I 396 scolari australiani e i 394 indonesiani coinvolti nell' esperimento hanno ottenuto voti più alti nei compiti di abilità verbale e apprendimento mnemonico. Ma uno studio simile, svolto a Durham, è stato criticato perché aveva ricevuto finanziamenti da una ditta produttrice di omega-3. «Questi acidi grassi - conferma comunque Gomez-Pinilla - sono importanti per la formazione di molte molecole che migliorano la memorizzazione». Di fronte al rischio di esagerare le virtù di questo o quel nutriente, il presidente dell' Istituto italiano di ricerca per gli alimenti e la nutrizione Carlo Cannella fa presente: «Mangiare pesce due volte a settimana, o tre nel caso dei bambini, fa sicuramente bene. Assumere omega-3 sotto forma di integratori alimentari può essere un rischio. Esistono infatti dei tetti che non vanno superati, e prima di entrare in farmacia è bene farsi dare consigli dal medico». Come dimostra la rapidità con cui il pesce inizia a puzzare, gli acidi grassi che arrivano dal mare sono molecole poco stabili, e tendono a degradarsi con facilità. «Se mettiamo gli omega-3 nel latte - prosegue Cannella - creiamo un accostamento innaturale. Mangiare un bel pesce rimane la soluzione più conveniente». Non di solo pesce è comunque fatto il menù del cervello. E se si va a cercare sulla cartina del mondo il paese meno afflitto dal morbo di Alzheimer, è in India che si va a finire. Gomez-Pinilla lega la circostanza alla diffusione di una spezia usata per conservare e insaporire i cibi: la curcuma. «La curcumina, il principio attivo di questa spezia, protegge le cellule del cervello perché è un forte antiossidante». Se gli omega-3 fluidificano il traffico delle informazioni fra i neuroni (e sono indicate per i bambini che vanno a scuola), gli anti-ossidanti frenano il decadimento del cervello durante la terza età. Accanto alla curcuma, utili per puntellare la memoria che perde colpi sono i flavonoidi di vino rosso, cioccolato fondente e tè verde e le vitamine C ed E (agrumi, noccioline e olii vegetali). L' acido folico di spinaci, lievito e succo d' arancia gioca il suo ruolo nella stabilizzazione dell' umore, mantenendo a distanza alcuni tipi di depressione. Uno studio pubblicato su Lancet l' anno scorso mostrava come questo composto fosse anche in grado di rallentare il declino cognitivo negli anziani. Se il cibo fornisce al corpo energia, e l' organo che più ne brucia è il cervello, è normale che fra alimentazione e intelletto si stabilisca un rapporto privilegiato. «Il cibo è come un farmaco per il nostro organo del pensiero», spiega Gomez-Pinilla. Secondo lui, durante l' evoluzione umana il volume del cervello avrebbe iniziato a espandersi proprio quando i nostri antenati cominciarono a nutrirsi con grandi quantità di acidi grassi del tipo Dha, che l' organismo non è in grado di sintetizzare da solo e deve prendere dai cibi. Alcune carenze dietetiche, secondo il neurologo di Los Angeles, si potrebbero in parte spiegare anche con una carenza alimentare. In una tabella del suo studio appare infatti che Germania, Stati Uniti e Canada - i paesi con il più basso consumo di pesce - sono anche quelli maggiormente toccati dalla depressione. All' importanza della dieta per il cervello, Gomez-Pinilla aggiunge quella di un ricco sonno (durante il quale si consolidano i ricordi e si rafforza la memoria) e dell' attività fisica. Era da qui che il neurologo aveva iniziato i suoi studi sulla salute dell' organo del pensiero. Salvo finire, dopo la ginnastica, su una tavola imbandita in cui, a guardare bene, neanche alla gola si fa mancare nulla.