Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


Studio Borgo Roma - Via Santa Teresa 47 (ingresso Via Bozzini 3/A), 37135, Verona.

Info. e prenotazioni - Segreteria: 349.6674360

e-mail: info@tedesconutrizionista.it

e-mail pec: vincenzo.tedesco@pec.enpab.it

web: www.tedesconutrizionista.it

martedì 31 maggio 2022

Allergie alimentari per 5% adulti e 6-10% bimbi

 

Le allergie alimentari colpiscono fino al 5% della popolazione adulta, mentre hanno una maggiore incidenza nei bambini, pari al 6-10% nei primi anni di vita. Nell’adulto l’allergia alimentare più frequente (72%) è dovuta all’assunzione di cibi di origine vegetale (arachidi, soia, grano, frutta a guscio, sesamo), la seconda causa è legata ai crostacei (13%). Per i bambini, invece, le reazioni più frequenti sono quelle a latte e uova. A fare chiarezza sulle allergie alimentari sono gli esperti dell’AAIITO, Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri.

“Le allergie alimentari rappresentano certamente un rilevante problema di salute pubblica, ma nell’immaginario collettivo la loro prevalenza è enormemente sopravvalutata”, afferma Riccardo Asero, presidente AAIITO. “Sulla base dei risultati ottenuti da recenti studi multicentrici condotti nel nostro Paese dall’associazione, possiamo fare chiarezza su tre importanti allergie: ai crostacei, al pesce ed all’arachide”. Per Asero “è importante chiarire questi argomenti spesso resi scarsamente comprensibili da informazioni provenienti da fonti non adeguatamente qualificate”.

I sintomi dell’allergia alimentare, spiegano gli allergologi, possono coinvolgere più organi e apparati con diversi sintomi: orticaria/angioedema, edema delle labbra e della lingua, prurito al palato, nausea, vomito, diarrea e dolori addominali, broncospasmo, tosse, ostruzione nasale e dispnea e fino allo shock anafilattico con ipotensione e perdita di coscienza. La diagnosi dell’allergia alimentare si basa su anamnesi, cutireazioni come, ad esempio, il prick test con estratto o prick by prick con alimento fresco, dosaggio delle IgE specifiche per l’alimento o per le singole molecole allergeniche dell’alimento in questione ed il test di provocazione orale.

“La terapia delle allergie alimentari – spiega Baoran Yang allergologa AAIITO presso il ASST Mantova – si basa sulla dieta di esclusione e sulla terapia d’emergenza con adrenalina autoiniettabile nei pazienti con reazioni gravi. Esiste la possibilità di prevenire reazioni gravi secondarie all’ingestione occasionale di tracce di allergene con la desensibilizzazione, ossia la somministrazione controllata di quantità crescenti di allergene. Tale terapia è eseguita in centri specializzati e permette di migliorare la qualità di vita dei pazienti”.

L’allergia al pesce, spiegano gli esperti, è “abbastanza rara rispetto a quella verso gli altri allergeni di origine animale (1 – 7%)”, ma “è importante inquadrarla correttamente per evitare diete di eliminazione inappropriate”. Per iniziare, gli allergologi spiegano che esiste una correlazione tra l’allergia ai crostacei e la sensibilizzazione agli acari della polvere. Questo perché “crostacei ed acari, così come i molluschi, sono degli invertebrati ed hanno degli allergeni in comune, dei quali il più importante è la tropomiosina”.

L’allergene maggiore del pesce è invece la parvalbumina che si trova nel muscolo, è resistente alla cottura ed alla lavorazione delle carni, e può essere anche un aeroallergene durante la lavorazione e la cottura. Allergeni meno frequenti, recentemente riconosciuti, sono l’enolasi e l’aldolasi, meno stabili alla lavorazione ed alla cottura. Allergeni minori del pesce sono contenuti anche nel collagene (quindi nella gelatina di pesce), nel sangue e nelle uova.

“Le persone allergiche al pesce sono molto raramente sensibilizzate verso gli altri prodotti ittici come i crostacei e non tutti i pazienti devono evitare tutte le specie di pesce, in quanto esistono soggetti sensibilizzati solo a poche specie o monosensibilizzati ed è pertanto importante inquadrarli correttamente per evitare inutili diete di eliminazione”, dichiara Gaia Deleonardi allergologa AAIITO del Settore Allergologia e Autoimmunità LUM, Ausl Bologna.

L’allergia primaria all’arachide è una delle principali allergie alimentari nei paesi anglosassoni e nei paesi dell’Europa settentrionale, esordisce in genere nei bambini, può essere responsabile di reazioni gravi e spesso persiste nell’età adulta. I pazienti italiani allergici all’arachide, spiega l’AAIITO, “più spesso sono sensibilizzati a panallergeni come la Lipid Trasfer Protein (LTP), presente in molti cibi di origine vegetale e potenzialmente responsabile di reazioni severe, o panallergeni pollinici come Profilina o PR-10 a cui il paziente si sensibilizza attraverso i pollini e che nella maggior parte dei casi causano una sindrome orale allergica (sintomi limitati al cavo orale) solo con l’alimento consumato crudo”.

Nutri & Previeni. 

martedì 24 maggio 2022

Fegato grasso nei normo peso: rischi cardiovascolari.

Steatosi epatica non alcoolica nei normopeso: ‘non è una malattia benigna’.


(Reuters Health) – Gli adulti normopeso e con steatosi epatica non alcoolica (NAFLD) sono più esposti alle malattie cardiovascolari rispetto ai coetanei con NAFLD che sono sovrappeso o che soffrono di obesità. È quanto emerge da uno studio presentato alla Digestive Disease Week da Karn Wijarnpreecha, dell’Università del Michigan di Ann Arbor (USA).

Il team di Wijarnpreecha ha condotto uno studio retrospettivo su quasi 18.600 adulti con diagnosi di NAFLD. In particolare, Wijarnpreecha e colleghi hanno confrontato la prevalenza di cirrosi, malattie cardiache, malattie metaboliche e malattie renali croniche in base al peso corporeo, distinguendo le persone in quattro tipologie: normale, con BMI tra 18,5 e 24,9, sovrappeso, con BMI tra 25 e 29,9, obesità di classe I, con BMI tra 30 e 34,9, e obesità di classe 2-3, con BMI da 35 a sotto 40.

Il team ha evidenziato che, rispetto ai pazienti non magri, i normopeso avevano una minore prevalenza di cirrosi, diabete mellito, ipertensione e dislipidemia, ma una maggiore prevalenza di malattie vascolari periferiche, malattie cerebrovascolari e qualsiasi malattia cardiovascolare.

Per qualsiasi malattia cardiovascolare, l’odds ratio era 0,8, mentre per i pazienti in sovrappeso era 0,7. Inoltre, i pazienti normopeso con NAFLD avevano una prevalenza significativamente più alta di malattie cardiovascolari, indipendentemente da età, sesso, etnia, dipendenza dal fumo, diabete, ipertensione e dislipidemia.

“La NAFLD nelle persone magre non è una malattia benigna”, afferma Wijarnpreecha, “Il nostro team si aspettava di osservare una minore prevalenza di qualsiasi condizione metabolica cardiovascolare, quindi siamo rimasti sorpresi nell’evidenziare questo collegamento con le malattie cardiovascolari”.

“Troppo spesso trascuriamo i pazienti normopeso con NAFLD perché presumiamo che il loro rischio per malattie più gravi sia inferiore rispetto alle persone in sovrappeso, ma questo modo di agire potrebbe metterli a rischio”, conclude il ricercatore

Fonte: Digestive Disease Week
Megan Brooks
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

lunedì 23 maggio 2022

Vitamine e Omega 3 alleati degli occhi.



L’occhio invecchia precocemente, ma alcuni alimenti possono aiutare a preservarne la salute. Un’alimentazione ricca di antiossidanti, vitamine A, B, E, luteina è in grado di ridurre rischi per la vista legati al passare degli anni: a cominciare dalla cataratta e dalla degenerazione maculare senile. A fare il punto su ruolo dell’alimentazione ma anche su tecniche e terapie innovative per la vista è il 19/mo Congresso Internazionale della Società Italiana di oftalmologia (Soi), di Roma.

“La retina – spiega Matteo Piovella, presidente Soi – è un tessuto con una circolazione unica e abbastanza penalizzata. Ha bisogno di sostanze, come la luteina, che il nostro organismo non produce e che quindi dobbiamo integrare dall’esterno. Tra gli alimenti che la contengono, oltre allo yogurt, ci sono soprattutto la frutta e gli ortaggi come spinaci, cavoli, broccoli e uova. La curcumina si trova nel curry e nello zafferano“.

Gli agrumi aiutano a combattere i radicali liberi e, specifica Piovella, “un recente studio evidenzia come la vitamina C contribuisca a mantenere le cellule del nervo ottico in funzione. Carote, zucca, patate dolci e meloni sono ricchi di beta-carotene. Peperoni gialli e arancioni, pesche sono ricchi di vitamina C e zeaxantina. La soia, con i suoi derivati, è formidabile anti-ossidante e contiene amminoacidi essenziali, fitoestrogeni, vitamina E che aiutano a mantenere gli occhi sani”.

Anche gli Omega 3 contenuti nel pesce sono fondamentali, in particolare salmone, tonno, trota selvatica e sardine contengono grandi quantità di acido docosaesaenoico. Il tè, soprattutto verde, nero e di Colong, è valido alleato”.

Dagli esperti arriva anche il calendario ideale delle visite oculistiche, che permette di salvaguardia della vista. “La prima visita va effettuata alla nascita, poi entro i tre anni di età – raccomanda il presidente Soi – quindi il primo giorno di scuola; successivamente ne fatta una tra i 10 e i 15 anni per gestire l’eventuale insorgenza della miopia. Dai 40 ai 60 anni ne va fatta una ogni due anni, e dopo i 60 una volta l’anno”.

Redazione Nutri & Previeni. 

lunedì 16 maggio 2022

Acqua alleata dei capelli

Bere adeguatamente aiuta la crescita dei capelli e ne previene la caduta mentre la disidratazione è nemica della salute dei capelli. I follicoli piliferi, ovvero la parte vivente del capello situata sotto la pelle, sono il tessuto a più rapida crescita nell’organismo, ma quando si è disidratati non sono in grado di funzionare correttamente, come del resto tutte gli organi e tessuti del nostro corpo. Questa rapida crescita necessita di nutrimento continuo, tanto che alcuni studi hanno evidenziato che un aumento del flusso sanguigno al cuoio capelluto aiuti a prevenire la calvizi
La disidratazione invece può causare una riduzione di questo flusso perché, quando non si beve a sufficienza, si verifica un abbassamento della pressione sanguigna e gli organi, compreso il bulbo pilifero, non ricevono l’ossigeno e i nutrienti di cui hanno bisogno. “Rimanere idratati aiuta anche a favorire la circolazione e la produzione di sebo del cuoio capelluto, mantenendo sani i follicoli piliferi e forti le ciocche, favorendone quindi la crescita”, ha spiegato Elisabetta Bernardi, biologa specialista in Scienza dell’Alimentazione e membro dell’Osservatorio Sanpellegrino.

“Una corretta idratazione aiuta inoltre il cuoio capelluto nella prevenzione di pruriti e irritazioni, ed è coadiuvante nel trattamento di bruciori e arrossamenti, contribuendo a ripristinare il benessere dello scalpo e la bellezza dei capelli. Una corretta idratazione è quindi alla base, non solo della nostra salute, ma anche della cura dei nostri capelli. È quindi fondamentale bere una quantità adeguata di acqua nel corso della giornata, privilegiando quelle ricche in calcio, magnesio e oligoelementi.”

L’acqua minerale è uno dei segreti di bellezza più antichi per i nostri capelli. Sciacquarsi la testa con l’acqua minerale è un modo semplice ma efficace di avere capelli lucenti e folti. È dimostrato, infatti, che l’acqua del rubinetto è spesso troppo ricca di calcare e di fluoro, che influiscono negativamente sui capelli rendendoli opachi e rigidi.

Redazione Nutri & Previeni

martedì 10 maggio 2022

Diete: il peso perso si recupera se non si dorme abbastanza






Per le persone che stanno cercando di dimagrire, avere una durata e una qualità ottimale del sonno è essenziale sia per perdere peso sia per evitare di riprenderlo. È quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori dell’università di Copenhagen presentato allo European Congress on Obesity.

La ricerca ha coinvolto 195 adulti con obesità sottoposti a una rigida dieta ipocalorica della durata di otto settimane che ha consentito loro di perdere circa il 12% del peso. Al termine delle otto settimane, i volontari sono stati seguiti per un anno mentre seguivano diversi programmi per il mantenimento del peso. Durante questo periodo, i ricercatori hanno indagato l’intricato legame tra sonno, perdita di peso e attività fisica nelle persone obese scoprendo che la perdita di peso, da sola, era sufficiente a migliorare notevolmente la qualità del sonno dei partecipanti allo studio.

Non solo: la qualità e la durata del sonno miglioravano ulteriormente se si svolgeva regolarmente attività fisica. Specularmente, tuttavia, quanti avevano un sonno peggiore avevano anche una probabilità molto più alta di riprendere il peso perso: nello specifico, i ricercatori hanno scoperto che chi dormiva meno di 6 ore a notte tendeva a recuperare circa un punto e mezzo di indice di massa corporea (l’equivalente di circa 5 kg per una persona alta un metro e ottanta), nonostante l’adesione al programma per il mantenimento del peso.

“Il fatto che la salute del sonno sia così fortemente correlata al mantenimento della perdita di peso è un elemento molto importante poiché molti di noi non dormono le ore di sonno raccomandate per garantire una salute e un funzionamento ottimali”, afferma il coordinatore dello studio Signe S. Torekov. “Le ricerche che in futuro esamineranno i possibili modi per migliorare il sonno negli adulti con obesità costituiranno un passo importante per limitare il recupero del peso”.


Alimentazione & Nutrizione, Salute & Prevenzione

Un genitore su tre nega l'obesità del proprio figlio

 

Un genitore su tre fatica a riconoscere l'obesità del proprio figlio e un adolescente su quattro non si rende conto di essere obeso.1 Questo è ciò che emerge, principalmente, dai nuovi dati dello studio internazionale ACTION TEENS, condotto in dieci paesi nei vari continenti, Italia inclusa, e presentato oggi da Novo Nordisk al Congresso Europeo sull'Obesità (ECO) 2022.
 
L’obiettivo primario dello studio, che ha coinvolto circa 13.000 persone, di cui oltre 5.000 bambini e adolescenti con obesità, 5.400 genitori e caregiver, e più di 2.000 operatori sanitari, era quello di identificare le percezioni, le attitudini, i comportamenti e gli ostacoli per la cura dell’obesità e capire in che modo questi fattori influenzino la sua gestione.

I nuovi dati evidenziano che l’obesità pediatrica ha un notevole impatto sulle aspettative di vita di chi ne è affetto; infatti, il rischio di morte prematura triplica nei bambini con obesità rispetto ai bambini che hanno un indice di massa corporea (BMI) nella norma.

I genitori di bambini con obesità faticano a riconoscerla e spesso sottovalutano la gravità della malattia, convincendosi che si risolverà con la crescita, aspettativa quest’ultima assolutamente non supportata dalle evidenze scientifiche. Purtroppo, invece, sottovalutare questa malattia in bambini e adolescenti porta a complicanze già in giovane età, con lo sviluppo di malattie croniche come problemi di salute mentale, disturbi cardiaci, diabete di tipo 2, nonché alcuni tumori e problemi a scheletro e articolazioni.

"L’obesità è una malattia cronica che tende a recidivare e nel tempo può complicarsi con lo sviluppo di altre malattie, ma se trattata con serietà, tempo, dedizione e impegno si può curare", aggiunge Claudio Maffeis, Past President della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica. "In Italia i dati più recenti dell’indagine Okkio alla Salute ci dicono che purtroppo siamo tra i paesi europei con i valori più elevati di sovrappeso e obesità nella popolazione in età scolare, risulta infatti che la percentuale di bambini in sovrappeso è del 20,4 per cento e di bambini con obesità del 9,4 per cento, compresi i gravemente obesi che rappresentano il 2,4 per cento".

"L’obesità rappresenta una sfida irrisolta di salute pubblica, colpisce e condiziona la vita di troppi giovani, influenzando profondamente la loro salute. Lo studio ACTION TEENS ha analizzato le diverse potenziali barriere che ostacolano un’efficace lotta a questa malattia", ha detto Stephen Gough, Senior vice president, Global Chief Medical Officer, Novo Nordisk. "L’obesità in età pediatrica si riflette in età adulta in quattro casi su cinque; dobbiamo agire per guidare la popolazione a un cambiamento radicale di attitudini".

"I risultati dello studio mostrano che, nonostante gli adolescenti vogliano perdere peso per migliorare la propria salute, in un caso su tre non riescono a parlarne direttamente con i genitori e spesso ricorrono all’uso dei social media per cercare aiuto", ha commentato Vicki Mooney, uno degli autori dello studio, Direttore esecutivo della European Coalition for People living with Obesity (ECPO). "È difficile comprendere pienamente le pressioni quotidiane cui gli adolescenti in questa situazione sono soggetti, soprattutto perché due terzi di loro si sentono gli unici responsabili del perdere peso. Infatti, molti genitori e caregiver di bambini e adolescenti con obesità non sanno come affrontarla e come gestirla al meglio".
 
Dallo studio, infine, emerge la necessità di migliorare i percorsi di formazione di medici e operatori sanitari nella gestione e nella cura dell’obesità come malattia cronica. Secondo i dati raccolti risulta, infatti, che l’87 per cento ritiene di non aver avuto una formazione adeguata su questa malattia.
 
"L'impatto dell'obesità sulla società e sui nostri sistemi sanitari non deve essere sottovalutato. C'è urgente bisogno che i governi e la società riconoscano e trattino l'obesità come una malattia cronica, in modo da offrire il giusto sostegno a tutti", ha dichiarato l’autore principale dello studio, Jason Halford, Direttore della Scuola di psicologia dell'Università di Leeds e Presidente dell'Associazione europea per lo studio dell'obesità (EASO). 
 
L’obesità
L'obesità è una malattia cronica che richiede una gestione a lungo termine, è una malattia complessa e multifattoriale, influenzata da fattori genetici, fisiologici, ambientali e psicologici ed è associata a numerose gravi conseguenze per la salute.2
L'aumento della prevalenza dell'obesità a livello globale rappresenta un problema di salute pubblica che comporta gravi implicazioni in termini di costi per i sistemi sanitari. Nonostante l'elevata prevalenza, molte persone con obesità non ricevono sostegno ai loro sforzi per perdere peso e la malattia rimane sostanzialmente mal diagnosticata e sottostimata.
 
Studio ACTION TEENS
ACTION TEENS è uno studio internazionale che ha coinvolto 5.275 adolescenti di età compresa tra i 12 e i 17 anni affetti da obesità, 5.389 caregiver di adolescenti affetti da obesità e 2.323 operatori sanitari. I partecipanti provenivano da 10 paesi diversi, tra cui: Australia, Colombia, Italia, Messico, Arabia Saudita, Corea del Sud, Spagna, Taiwan, Turchia e Regno Unito. Lo studio ACTION TEENS si propone di identificare percezioni, atteggiamenti, comportamenti e potenziali barriere che impediscono una cura efficace dell'obesità in età pediatrica.


ENDOCRINOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET

Mangiare meno e ad orari regolari allunga la vita


Mangiare meno allunga la vita, ma farlo con orari regolari è ancora meglio: lo dimostra uno studio condotto su centinaia di topi seguiti in laboratorio per quattro anni. Gli esemplari sottoposti a dieta ipocalorica hanno avuto un aumento della longevità del 10%, mentre quelli che seguivano la stessa dieta alimentandosi solo nel periodo di massima attività del metabolismo (la notte per i roditori), hanno visto la loro aspettativa di vita crescere addirittura del 35% (pari a 9 mesi in più su una vita media di 2 anni). I risultati, che aprono nuove prospettive anche per gli esseri umani, sono pubblicati su Science dai ricercatori dell'Howard Hughes Medical Institute (HHMI) negli Stati Uniti. Lo studio evidenzia come l'orologio biologico giochi un ruolo centrale nel potenziare gli effetti della dieta, anche se i meccanismi restano ancora tutti da scoprire. Secondo il coordinatore del gruppo di ricerca, Joseph Takahashi, mangiare in certi momenti della giornata non accelera la perdita di peso nei topi (come del resto ha dimostrato anche un recente studio clinico sulle persone pubblicato sul New England Journal of Medicine), ma potrebbe determinare benefici per la salute che vanno a sommarsi dando un allungamento della vita. In attesa di capire come dieta e orologio biologico interagiscono fra loro, Takahashi ha già preso esempio dai topi di laboratorio per cambiare le sue abitudini, limitando il consumo di cibo nell'arco di 12 ore durante la giornata. "Ma se trovassimo un farmaco che può potenziare l'orologio biologico - sottolinea l'esperto - potremmo sperimentarlo in laboratorio per vedere se è in grado di aumentare la durata della vita".
MEDICINA INTERNA | REDAZIONE DOTTNET