Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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venerdì 28 dicembre 2012

Dimagrire per difendersi da influenza e raffreddore



Non molti sanno che essere in sovrappeso affatica gli organi, crea un lavoro eccessivo impedendo al corpo di difendersi al meglio da virus e batteri.

In questo periodo, ossia, in vista della stagione invernale che, si caratterizza per l’insorgenza di fastidiosi malanni, si dovrebbe seguire una dieta che pur avendo come fine il dimagrimento sia anche in grado di rafforzarci.

L’alimentazione non dovrebbe mai essere un regime eccessivamente drastico, soprattutto in questo periodo, altrimenti le difese si indeboliscono poiché viene tolta energia preziosa anche alle cellule immunitarie e otteniamo l’effetto opposto: ci ammaliamo.

I nostri alleati più noti sono le vitamine e i sali minerali, ma non tralasciamo acidi grassi, amminoacidi e antiossidanti.

Via libera a spezie come curry, peperoncino, zafferano, zenzero in grado non solo di colorare e insaporire i nostri piatti ipocalorici ma, anche di fornire inaspettata vitamina c e di svolgere un’attività antimicrobica.

Il pesce e l’olio di oliva forniscono gli acidi grassi che ci servono, ossia, omega 3 e 6 in grado di rendere più veloce la risposta immunitaria migliorano, infatti, il lavoro delle sinapsi si migliora la comunicazione fra corpo e cervello in grado così di attivare prima le difese.

I frutti di mare sono ricchi in modo sorprendente di cloro, zinco e sodio che permettono alle cellule di rimanere ben idratate e quindi di funzionare al meglio, infine, contengono vitamina B12 stimolante del sistema immunitario.

Cereali integrali e legumi, non solo costituiscono insieme e con un filo d’olio di oliva il piatto perfetto e completissimo per le esigenze dell’organismo ma, sono anche utilissimi al sistema immunitario.

Riso integrale e lenticchie, pasta e fagioli, pasta e ceci o riso piselli accompagnati da verdure, sono tutti piatti ideali per i pranzi invernali poichè ricchi di proteine vegetali, ossia, proteine non accompagnate da grassi saturi e sono proprio le proteine a costituire il sistema immunitario.

Frutta e verdura di colore giallo, rosso e arancione che sono ricchi di antociani, vitamina c e antiossidanti che rafforzano il sistema immunitario.

La frutta come spuntino e a fine pasto è l’ideale da preferire sono spremute di arancia, kiwi giallo frutti di bosco e uva.

Infine, come verdure andrebbero preferite zucca, radicchio, cipolla rossa e carote.

venerdì 14 dicembre 2012

La dieta per combattere il grande freddo di questi giorni




Negli ultimi giorni l'Italia è preda del freddo, della neve e della pioggia. Il nostro corpo deve poter rispondere al calo delle temperature in maniera adeguata ed è per questo motivo che bisogna cambiare la nostra alimentazione cercando di fronteggiare il grande freddo ed evitare quindi di ammalarsi. Ovviamente il consiglio principale è quello di mangiare cibi con vitamine come le arance.

In questi giorni è bene consumare una dieta per il freddo. Le temperature sono al ribasso, nevica anche in pianura e il corpo ha bisogno di essere scaldato. La Coldiretti, per far fronte alla situazione, ha divulgato delle linee guida per mangiare correttamente e soprattutto rinforzare ledifese immunitarie. È facile, infatti, raffreddarsi o prendere l’influenza. Vediamo quindi quale strategia è meglio seguire a tavola.

In molte occasioni abbiamo detto che la vitamina c è un valido alleato. Per fare il pieno, la frutta di stagione vi viene in aiuto con clementine, mandarini, arance e kiwi. La seconda cosa da fare è non rinunciare ai carboidrati per paura di ingrassare.

Prevedete sempre pane e pasta, perché danno molto calore e molta energia al corpo. Ricordiamo che gli uomini con il freddo tendono a consumare di più e di conseguenza hanno bisogno di maggiori zuccheri. Potete concedervi anche un quadratino di cioccolato fondente o un biscotto. Non c’è bisogno di esagerare.

Un classico per contrastare il freddo sono poi le zuppe. Sul nostro sito trovate molte ricette, ma ricordatevi che le migliori sono quelle a base di legumi (ceci, fagioli, lenticchie, piselli, ecc) e dicereali (dal riso al farro). Poi le verdure sono tutte importanti, favorite quelle contenenti la vitamina A, come zucca, zucchine, spinaci, cicoria, la B e la D. Quest’ultima è molto presente anche nelpesce, nelle uova e nel latte. La carne ci vuole, ma non bisogna esagerare. Non consumate quella rossa più di due volte la settimana.

giovedì 6 dicembre 2012

Dolci light per la dieta di Natale


Come resistere ai dolci di Natale quando si è a dieta? Ecco qualche idea light da provare sotto le feste.


Non si può certo dire che dieta e Natale vadano molto d'accordo. Il periodo delle feste natalizie è sempre un colpo basso per i nostri propositi dietetici. Come si può resistere ai dolci di Natale, al torrone, a pandori e panettoni, e all'inevitabile pranzo di Natale?
Del resto sarebbe una vera crudeltà seguire una dieta troppo rigida o rinunciare a qualche dolcetto nel periodo di Natale...
È per questo che di seguito vi diamo una serie di consigli per preparare deglisnack di Natale dietetici ma gustosi, che tengono conto non solo del palato ma anche del vostro peso forma. Senza contare, poi, che anche i vostri amici e parenti ve ne saranno grati...

- Non acquistate troppo presto dolci e cioccolatini natalizi da tenere in casa per le feste...sarebbero una continua tentazione cui potreste cedere. Provate invece a fare scorta di alimenti a basso contenuto calorico come yogurt, formaggi poveri di grassi o tortillas di mais, che potete servire in qualunque occasione con spezie, crudités di verdure o salse alle erbe. Uno snack gustoso da proporre per stuzzicare qualcosa.

- Nelle lunghe giornate delle feste natalizie è sempre una tentazione sgranocchiare snack tra un pasto e l'altro, finendo per mangiare qualcosa di sbagliato e molto calorico. Una soluzione potrebbe essere masticare un chewingum che vi tenga "occupati" in attesa del prossimo pasto...

- Provate a cucinare o ad acquistare le torte di Natale prodotte con la pasta fillo, un tipo di pasta sfoglia preparata in sottilissimi fogli separati. A differenza della comune pasta sfoglia, quella fillo non ha grassi aggiunti e ha poche calorie, conservando comunque un sapore molto gustoso.

- La torta di mele come dolce di Natale è una buona idea da portare in tavola. È una torta realizzata con marmellata e mele, e dunque un'ottima alternativa alle torte al cioccolato. Se poi evitate di coprire la parte superiore della torta con lo strato di pasta, risparmierete almeno 50 calorie e 4 gr di grassi.

- Prima di acquistare i vostri dolci di Natale preferiti, controllate sempre quanti grassi e calorie contengono. Non dovete necessariamente rinunciarvi, basterà comprarne una porzione più piccola per limitare le calorie.

- Non è detto che il pranzo di Natale è sempre ricco di grassi e calorie. Ci sono molte idee che potete sfruttare per un delizioso pasto, come ad esempio l'anatra all'arancia, il tacchino al curry, una zuppa di pollo o il tacchino con patate e insalata. Sono ottimi e gustosi piatti salva-calorie.

- Per uno snack semplice e povero di grassi, puntate su un sandwich con petto di pollo o tacchino, usando pane intergale e salsa di mirtillo al posto del burro. Risparmierete molte calorie...

- Durante le feste avete deciso di darvi alla cucina per preparare deliziosi dolci di Natale? Non fatevi fermare dalle calorie. È possibile cucinare dolci anche con poche calorie, basterà sostituire i soliti ingredienti con la loro versione dietetica: lo zucchero di canna al posto di quello bianco, il latte scremato invece di quello intero, frutta candita e non sciroppo oppure una panna vegetale anziché quella normale più grassa.

- Se avete un debole per le arachidi o le nocciole salate, mescolatele con uva passa per limitarne le calorie. Una valida alternativa sono anche le noci del Brasile che, oltre a fare bene all'organismo, sono sicuramente meno semplici da mangiare poiché hanno il guscio...in questo modo le possibilità di esagerare diminuiranno sicuramente.

- Durante le giornate di festa si è soliti stuzzicare cioccolatini o altri snack calorici. Invece di riempire le ciotole di torrone e cioccolata, mettete al loro posto dellafrutta secca, senza grassi né troppe calorie. Una porzione di uvetta da 100 gr contiene 280 calorie. Un'altra possibilità sono i datteri, che contengono solo 15 calorie ognuno.

- Invece di patatine, noccioline salate o salatini, scegliete i grissini, uno snack a basso contenuto calorico. I grissini hanno circa 20-25 calorie, a differenza di una manciata scarsa di noccioline che ne contiene almeno 300.

- Se i grissini non stuzzicano il vostro gusto, provate con le cipolline, i cetriolini o le olive, che sono praticamente privi di grassi. Assicuratevi di tenere le olive in acqua invece che nell'olio, così da tenere lontani grassi e calorie.

- Selezionate i dolci di Natale con cura. Preferite al torrone o ai cioccolatini al latte (ricchi di grassi e calorie) il cioccolato fondente. O, meglio ancora provate le gomme alla frutta, caramelle o le gelatine di frutta.

lunedì 5 novembre 2012

Carboidrati alla sera per dimagrire?



Nella maggior parte delle diete, o più semplicemente quando si parla di alimentazione, l’attenzione degli esperti è sempre centrata su cosa e quanto mangiare. Pare, però, che sia importante anche quando mangiare.
Ad esempio, se vogliamo perdere peso è indicato riservare i carboidrati per la sera. A sostenerlo è una ricerca dell’Università di Gerusalemme pubblicata su “Obesity”.
I ricercatori si sono avvalsi di 78 volontari, uomini e donne obese, divisi in due gruppi che per sei mesi hanno seguito lo stesso regime alimentare. Una dieta ipocalorica tra le 1300 e le 1500 calorie giornaliere, sbilanciata sui carboidrati (tra il 45 e il 50%), con il 30-35% di grassi e il 20% di proteine.
Il primo gruppo ha assunto i carboidrati ed altri alimenti prevalentemente alla sera, mentre il secondo distribuiva la dose di carboidrati su tutta la giornata.
Il risultato è interessante, infatti dopo i sei mesi previsti, il gruppo che concentrava i carboidrati alla sera ha perso mediamente 11.6 kg di peso, per l’altro gruppo invece la riduzione di peso si è fermata a 9 kg.
Ma non basta, quelli del “carboidrato serale” avvertivano meno fame e anche i livelli di glucosio e di colesterolo erano migliori se confrontati con quelli dell’altro gruppo.
Per spiegare il risultato i ricercatori hanno fatto un’ipotesi, quella che l’assunzione del carboidrato serale potrebbe modificare la secrezione di alcuni ormoni. La leptina che gli addetti ai lavori chiamano “l’ormone della sazietà” e l’adiponectina che invece migliora la sensibilità all’insulina, combatte le infiammazioni e riduce sia i livelli di colesterolo che di glucosio.
Il presidente della Società italiana di diabetologia, Gabriele Riccardi ha un approccio cauto ai risultati della ricerca: “Premesso che non basta uno studio per trarre conclusioni definitive, consumare più carboidrati a cena e meno a pranzo potrebbe essere una scelta ragionevole”.
Infatti durante la notte, ha poi spiegato Riccardi, “gli zuccheri vengono temporaneamente immagazzinati per essere poi rimessi in circolo, sotto forma di glucosio, nel corso della giornata”.
Quindi i carboidrati serali ci possono anche stare, ma se contengono molte fibre, chiarisce il diabetologo “il controllo metabolico e il senso di sazietà migliorano, e si prolungano, ulteriormente".

venerdì 26 ottobre 2012

Effetti neurobiologici della Vitamina D: evidenze scientifiche e prospettive terapeutiche


Le vitamine, per definizione, non sono sintetizzate dal nostro organismo, ma sono sostanze naturali che devono essere assunte mediante l’alimentazione. La vitamina D, notoriamente conosciuta come "vitamina del calcio” non è una vera vitamina, ma un ormone, "l’ormone steroideo dell’omeostasi del calcio", dal momento che la maggior parte di essa è prodotta dal nostro organismo, in rapporto all’esposizione della pelle al sole. E’ noto, infatti, che la carenza di vitamina D provoca rachitismo nei bambini e può provocare osteoporosi e fratture ossee nei pazienti adulti. Oltre al suo ruolo nel mantenimento della salute delle ossa, la vitamina D è coinvolta nella differenziazione di tessuti durante lo sviluppo e nel corretto funzionamento del sistema immunitario. Evidenze scientifiche, in costante e continuo incremento, suggeriscono un ruolo benefico della vitamina D nella protezione contro le malattie autoimmuni, tra cui sclerosi multipla e diabete tipo I, così come verso alcune forme di cancro, in particolare del colon-retto e della mammella.


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Sta rapidamente diventando chiaro che la vitamina D svolge diversi ruoli nella regolazione della salute ottimale del sistema nervoso centrale sia durante lo sviluppo del sistema nervoso sia durante tutta la vita. La vitamina D aumenta di tre volte rapidamente in vitro l'espressione genetica della tiroxina-idrossilasi (l'enzima limitante la biosintesi delle catecolamine). Essa è, inoltre, ampiamente coinvolta nella funzionalità cerebrale con recettori specifici per tale sostanza, localizzati in neuroni e cellule gliali. I geni che codificano gli enzimi coinvolti nel suo metabolismo sono espressi nelle cellule del cervello. Gli effetti biologici riportati della vitamina D nel sistema nervoso includono la biosintesi di fattori neurotrofici, l'inibizione della sintesi dell’ossido-nitrico-sintasi inducibile ed aumento dei livelli di glutatione, suggerendo un ruolo di disintossicazione cerebrale per l'ormone, vitamina D.

La vitamina D nel cervello

È noto che la vitamina D attraversa la barriera emato-encefalica e che i recettori per la vitamina D si trovano in tutto il cervello. Alte concentrazioni di 3H 1,25 (OH) 2 vitamina D3 sono state osservate in alcuni neuroni nel nucleo interstiziale della stria terminale e nel nucleo centrale dell'amigdala, che nel loro insieme costituiscono un sistema di neuroni bersaglio collegati da una componente della stria terminale. Concentrazioni nucleari di 3H 1,25 (OH) 2 vitamina D3 sono state evidenziate anche nei neuroni del nucleo periventricolare della regione preottico-ipotalamica, compresa la sua estensione, il nucleo arcuato e paraventricolare parvocellulare, nel nucleo ventromediale del nucleo sovramammillare, nel nucleo reticolare del talamo, nell’ippocampo ventrale, nel nucleo caudato, nel grigio centrale mesencefalo-pontino, nel rafe dorsale, nei nuclei parabrachiali e nei nuclei motori dei nervi cranici, nella sostanza gelatinosa del nucleo sensoriale del trigemino, nelle cellule del Golgi tipo II del cervelletto ed in altre strutture. L’estesa distribuzione di neuroni bersaglio suggerisce che la 1, 25 (OH) 2 vitamina D3 regola la produzione di vari messaggeri aminergici e peptidergici e che influenza l'attività endocrino-autonomica di alcuni sistemi sensoriali e motori. La presenza di recettori specifici per la vitamina D in molte regioni del sistema nervoso centrale, nelle cellule ipofisarie, in una moltitudine d’organi periferici, insieme agli effetti conosciuti o alle funzioni ipotizzate, richiede una revisione dei concetti classici correnti circa il ruolo biologico della vitamina D. La vitamina D è molto più che "l’ormone steroide dell’omeostasi del calcio". Alla luce delle nuove più ampie informazioni derivate soprattutto dai risultati degli studi autoradiografici e istochimici, risulta che la vitamina D è un attivatore biologico completo, regolatore di diverse funzioni organiche. L’attivazione mediata della vitamina D3 è volutamente collegata e in sintonia con l'esposizione stagionale alla luce solare, con l’apparente obiettivo di ottimizzare e regolare all’ambiente lo sviluppo, la conservazione e la propagazione della vita. Ciò comporta la proliferazione e la maturazione di certi tessuti, l’omeostasi del calcio e il trofismo muscolare scheletrico per migliorare resistenza e movimento, e, infine, per facilitare la riproduzione. La regolazione del metabolismo del calcio è una, ma solo una componente dell’azione della vitamina D. Il "calci-triolo" potrebbe essere più appropriatamente chiamato "sol-triolo", l’ormone steroideo correlato alla luce del sole, l'attivatore e il regolatore stagionale, il messaggero steroide somatotrofico stimolato dalla luce solare.


La vitamina D importante per lo sviluppo e le funzioni del cervello

In una revisione critica definitiva, alcuni Autori hanno sostenuto che vi sono ampie prove biologiche a sostegno dell’ipotesi che la vitamina D svolga un ruolo importante nello sviluppo del cervello e nelle sue funzioni. Ciò giustificherebbe la supplementazione nei soggetti che presentano cronicamente bassi apporti dietetici di vitamina D. McCann e Ames hanno sostenuto che, mentre la vitamina D ha un ruolo importante nello sviluppo e nella funzione del cervello, i suoi specifici effetti sul comportamento rimangono non del tutto conosciuti. Pur sottolineando la necessità di ulteriori studi, gli autori sostengono la supplementazione di vitamina D nei soggetti a rischio. La vitamina D è nota da tempo promuovere la salute delle ossa, regolando i livelli di calcio nel corpo. La carenza di vitamina D nei bambini molto piccoli può indurre rachitismo, che può essere facilmente prevenuto con supplementi di vitamina D. Solo recentemente la comunità scientifica è venuta a conoscenza di un ruolo più ampio per la vitamina D. Ora sappiamo che, oltre al suo ruolo nel mantenimento della salute delle ossa, la vitamina D è coinvolta nella differenziazione dei tessuti durante lo sviluppo e nel corretto funzionamento del sistema immunitario. In realtà, più di 900 geni diversi sono ormai noti per essere in grado di legare il recettore della vitamina D, attraverso il quale la vitamina D media i suoi effetti. Oltre a proteggere contro il rachitismo, ci sono prove evidenti che confermano che un’abbondante assunzione di vitamina D aiuta a proteggere contro le fratture negli anziani. La vitamina D è presente soltanto in alcuni alimenti (ad esempio i pesci grassi) ed è anche aggiunta nel latte arricchito, ma la sua disponibilità biologicamente attiva è legata per lo più all’esposizione ai raggi ultravioletti (UVB) del sole. La radiazione UVB del sole nella pelle converte un precursore biochimico della vitamina D, nel calcitriolo, la forma attiva che svolge importanti effetti ormonali. La formazione di vitamina D attiva da parte della radiazione UVB può essere sei volte più efficiente in soggetti con la pelle chiara rispetto a chi ha la pelle scura. Fra gli afro-americani che vivono a latitudini settentrionali è, perciò, diffusa la carenza cronica di vitamina D. La pelle scura è stata selezionata nel corso dell'evoluzione perché protegge contro l’intensa radiazione UVB del sole ai tropici. La pelle bianca è stata selezionata per consentire nelle latitudini più settentrionali un’esposizione ai raggi UVB sufficiente alla sintesi di vitamina D. Così, i settentrionali di carnagione chiara sono a rischio nelle zone tropicali per le patologie, anche neoplastiche, della pelle indotte dai raggi UVB, mentre le persone di pelle scura nelle latitudini settentrionali con scarsa esposizione al sole sono a rischio di rachitismo, fratture ossee ed eventualmente di altre malattie, inclusi diversi tipi di cancro e di patologie neuro-psichiatriche a causa della mancanza di vitamina D. Per fortuna gli schermi solari e gli integratori di vitamina D sono economici. La vitamina D svolge importanti funzioni neurobiologiche in rapporto all'ampia distribuzione dei recettori della vitamina D in tutto il sistema nervoso. La vitamina D può influenzare la sintesi e l’espressione di alcune proteine nel cervello, di cui si conosce il diretto coinvolgimento nell'apprendimento, nella memoria, nel controllo motorio e forse anche sul comportamento materno e sociale. Molti esperti evidenziano che il livello attualmente raccomandato di vitamina D è troppo basso e deve essere incrementato per la protezione contro rachitismo, fratture ossee e forse contro alcune forme di cancro (2). Molti soggetti a rischio sembrano avere, infatti, bassi livelli di vitamina D nel sangue. Nonostante le attuali incertezze circa eventuali effetti deleteri di sovradosaggio della vitamina D, l'evidenza indica che l'integrazione è, tutto sommato, economica e prudente. Soprattutto nelle sottopopolazioni in cui i livelli di vitamina D possono essere eccezionalmente bassi, in particolare nella cura dei bambini, degli anziani e degli afro-americani (3).

Vit. D e patologie del sistema nervoso

La Vitamina D sembra avere un ruolo nei processi che possono essere importanti per il rischio di demenza, compresa la salute vascolare e la clearance dell’amiloide dal cervello. Date queste associazioni sembra "biologicamente plausibile" che ci possa essere un'associazione di bassi livelli di vitamina D con il rischio di demenza e di basse prestazioni cognitive nella popolazione generale. I risultati di una nuova analisi utilizzando i dati del Terzo National Health and Nutrition Survey (NHANES III) mostrano che la carenza di vitamina D è associata ad un aumentato rischio di declino cognitivo negli anziani americani. Alcuni investigatori hanno individuato un legame tra vitamina D e morbo di Parkinson. Utilizzando una coorte di oltre 3000 persone, i ricercatori hanno scoperto che bassi livelli di vitamina D aumentano il rischio di Parkinson, mentre alti tassi sembravano avere un effetto protettivo. Altri studi hanno evidenziato il ruolo di 1, 25 diidrossi-vitamina D3 nell’eziologia e terapia dei disturbi affettivi stagionali e di altri disturbi mentali, come schizofrenia, depressione e alcolismo. Esistono prove che la depressione maggiore è associata a bassi livelli di vitamina D e che la depressione è aumentata nel corso del secolo scorso durante il quale i livelli di vitamina D sono sicuramente diminuiti. Esistono prove che la depressione è associata a malattie cardiache, ipertensione, diabete, artrite reumatoide, cancro e bassa densità minerale ossea, tutte malattie che si pensano essere causate, almeno in parte, dalla carenza di vitamina D. La vitamina D, inoltre, ha profondi effetti sul cervello e sui neurotrasmettitori coinvolti nella depressione maggiore.

Vit. D e luce solare

Gli effetti della luce solare sui processi fisiologici e comportamentali sono mediati, in gran parte, attraverso il sistema pelle>vitamina D>sistema endocrino. Questi effetti sono probabilmente mediati attraverso azioni dirette della 1, 25 (OH) 2 vitamina D3 sul cervello e sugli organi endocrini, indipendentemente dagli effetti sui livelli di calcio. Ciò appare rilevante per l'attivazione e la modulazione dei processi mentali e del sistema endocrino, relativi, in particolare, al bioritmo circum-annuale (stagionale) e circum-diano (giornaliero). Tali azioni sono dirette, cioè mediate da recettori specifici, e sembrano essere dose-dipendenti, in rapporto all'intensità della luce ed alla durata dell'esposizione. Ciò fa della luce (fotoni) un farmaco attivo sul sistema nervoso ed endocrino. La 1, 25 (OH) 2 vitamina D3 sembra svolgere un ruolo nell'eziologia dei disturbi affettivi con ciclico esordio stagionale (disturbo affettivo stagionale). Incrementare false speranze di guarigione, da una devastante malattia mentale come la depressione maggiore, utilizzando la sola vitamina D non è corretto. Le evidenze suggeriscono che la vitamina D può migliorare il tono dell’umore, ma non abbiamo prove conclusive in merito ad effetti propriamente terapeutici sulla depressione maggiore. In quest’articolo di rassegna della vasta letteratura scientifica internazionale su questo tema, si evidenziano alcuni fattori chiave di cui i medici dovrebbero essere consapevoli.

Vitamina D e Depressione

La psichiatria è quella branca della medicina che spiega tutto, ma non prevede nulla. Questa è la definizione più in voga tra gli scienziati del National Institute of Mental Health (NIMH). “Cura la tua depressione con la vitamina D, la vitamina del sole!“ Nessun messaggio può essere più crudele di questo, creando aspettative inevitabilmente deluse tra i tanti soggetti affetti da depressione maggiore. La depressione maggiore non può essere curata semplicemente con quantità fisiologiche di vitamina D, così come non può essere curata con la vasta gamma di rimedi “naturali”, d’integratori alimentari o di placebo, magari in livrea. Non esiste la panacea. Indurre false speranze nella cura di una malattia devastante come la depressione maggiore non è, però, così grave se si confronta con alcuni dei più grandi crimini della psichiatria-psicoterapeutica del passato, come aver sostenuto che le madri degli schizofrenici avevano causato la malattia del loro bambino, oppure come aver indotto il recupero di falsi ricordi d’abuso sessuale, che tante famiglie innocenti ha distrutto. Ciò premesso, non è corretto e non è nostra intenzione indurre false speranze. Fatte queste premesse, potremmo chiederci che cosa sappiamo circa il rapporto tra depressione maggiore e vitamina D.

Luce e depressione

Nel 1989 W.E. Stumpf ha pubblicato un articolo pionieristico sul ruolo della 1, 25 diidrossi-vitamina D3 nell’eziologia e nella terapia dei disturbi affettivi stagionali e di altri processi mentali. (4) E’ noto da tempo che la luce intensa nello spettro visibile (senza la produzione di vitamina D attivata dagli UVB) migliora nettamente l'umore, anche se è difficile condurre bene gli studi a causa della mancanza di una condizione di controllo. Ci si deve, quindi, porre il quesito: la vitamina D ha un effetto sull'umore che differisce dall’effetto della luce o che è ad esso complementare?

Disturbo affettivo stagionale

Gli sbalzi d'umore tipici del disturbo affettivo stagionale possono essere gravi e sono legati oltre che alla stagione, anche alla latitudine e all’esposizione al sole. Harris e Dawson-Hughes hanno evidenziato su 125 donne che, rispetto al placebo, il trattamento con 400 UI d’ergocalciferolo (vitamina D2) al di non migliora le oscillazioni stagionali dell'umore. Gli autori non hanno valutato i livelli di 25 (OH) vitamina D, indotti dal trattamento. Sappiamo, però, che la dose di 400 UI d’ergocalciferolo utilizzata in questo studio è molto vicina a una dose omeopatica. Infatti, l’ergocalciferolo è una forma meno potente della vitamina D che in natura è la vitamina D3, il colecalciferolo. (5) Alcuni autori hanno sostenuto che la vitamina D non ha alcun effetto sul disordine affettivo stagionale, misurando nel sangue il metabolita sbagliato della vitamina D, cioè il calcitriolo (1, 25 diidrossi D3), i cui livelli possono variare in diverse e varie condizioni. Il solo test di laboratorio che dovrebbe essere utilizzato, per misurare le riserve di vitamina D, il suo deficit o i suoi livelli adeguati è il dosaggio di 25 (OH) vit. D, che questi autori non hanno misurato.(6) Nel 1998 in un esperimento controllato, alcuni ricercatori australiani hanno rilevato che 400 e 800 UI di colecalciferolo migliorano significativamente il tono affettivo, in soggetti sani. In uno studio randomizzato in doppio cieco, 44 soggetti sani hanno ricevuto 400 UI di colecalciferolo, 800 UI di colecalciferolo o placebo per 5 giorni, nel corso dell’inverno inoltrato. I risultati con misure d’auto-valutazione hanno evidenziato che la vitamina D3 incrementa l’affettività positiva di una piena deviazione standard con segni di riduzione dell’affettività negativa. Gli autori hanno concluso che la carenza di vitamina D3 fornisce una spiegazione convincente e semplice delle variazioni stagionali dell'umore. (7)
In uno studio ancora più interessante nel 1999, su un piccolo gruppo di pazienti con disturbo affettivo stagionale, 100.000 UI di vitamina D somministrate in singola dose orale hanno indotto miglioramenti delle scale di valutazione della depressione superiori a quelli indotti dalla light-therapy. Tutti i soggetti nel gruppo trattato con vitamina D miglioravano in tutte i sintomi valutati e, soprattutto, il grado di miglioramento del nucleo depressivo era correlato significativamente ai livelli misurati di 25 (OH) vitamina D. (8)
Alcuni autori tedeschi hanno trovato, in controlli sani, livelli medi nel siero di 25 (OH) vit. D di 46 ng / L, mentre, i soggetti depressi presentavano livelli medi serici di 37 ng / L. (9)
Autori finlandesi non hanno trovato differenze stagionali tra pazienti con disturbo affettivo stagionale e controlli normali, ma non hanno trovato neanche variazioni stagionali dei livelli di 25 (OH) vit. D negli stessi pazienti. (10)
Nel 2003 è stata evidenziata una diretta correlazione tra i livelli di 25 (OH) vit. D ed i punteggi di salute mentale in un gruppo di soggetti sani, adulti, anziani. In questo studio, però, 1.000 UI di colecalciferolo non hanno migliorato la valutazione della salute mentale di questi soggetti sostanzialmente sani. (11)

Meno luce solare, più depressione

L’ipotesi che una carenza di vitamina D possa causare alcune forme di depressione, viene rafforzata da alcune osservazioni epidemiologiche. L'incidenza di depressione è aumentata nelle società industrializzate d’occidente nel corso del secolo scorso. In quel periodo di tempo, infatti, si è progressivamente ridotta l’esposizione alla luce solare, per effetto dell’urbanizzazione, con la costruzione di edifici sempre più verticali e con sempre minore esposizione alle radiazioni ricche di ultravioletti. L’industrializzazione ha ridotto i lavori effettuati in ambienti esterni con conseguente minore esposizione ai raggi UVB. Le automobili (i vetri bloccano totalmente i raggi UVB), l’abbigliamento sempre più coprente (blocca la luce UVB), le creme solari e le sbagliate indicazioni mediche di non esporsi mai alla radiazione solare senza protezione hanno ridotto la fisiologica produzione cutanea di vit. D attiva e circolante. Tutti questi fattori contribuiscono a ridurre i livelli serici di 25 (OH) vit. D. La depressione maggiore è notevolmente aumentata negli ultimi 80 anni. Questo è uno dei risultati più famosi e controversi degli studi in epidemiologia psichiatrica moderna. (12)

Tra patologie organiche e depressione: chi è nato prima?

La depressione è associata ad altre condizioni che si pensa possano conseguire a una carenza di vitamina D, come le malattie cardiache, il diabete, l’ipertensione, l’artrite reumatoide, il cancro o l'osteoporosi. (13)
Ad esempio, vi è una forte associazione tra malattie cardiache e depressione, nonché numerose teorie per spiegarla. La più ovvia, cioè che la malattia cardiovascolare possa indurre in chiunque una depressione reattiva è l’unica che si è dimostrata non vera. La depressione, infatti, molto spesso precede la malattia di cuore, suggerendo l’esistenza di un terzo fattore con effetti etio-patogenetici su entrambi. Inoltre, è confermata una maggiore mortalità nei soggetti affetti da depressione, non solo per cardiopatie, ma anche per altre e diverse cause. (14-15)
Un rapporto d’associazione non è un rapporto di causalità. Se A è associato a B, allora A potrebbe causare B, B potrebbe causare A, o entrambi A e B potrebbero dipendere da un terzo fattore C, che “causa” sia A sia B. Quando la cardiopatia è associata alla depressione, le possibilità logiche sono: la depressione causa le malattie cardiache, le cardiopatie causano depressione, oppure un fattore sconosciuto (C), forse la carenza di vitamina D, causa, almeno in parte, sia la depressione sia la malattia di cuore. Mantenere il “dubbio sistematico” sui nessi di causalità, nella pratica clinica, in psichiatria come in medicina, è la vera chiave del successo. La maggior parte degli errori più gravi in medicina è stata effettuata quando le relazioni d’associazione sono state confuse con nessi di causalità, cioè quando si è confusa una successione temporale con un rapporto causa-effetto. L’errore è, quindi, confondere una sequenza con una conseguenza.
Che dire delle altre malattie associate a deficit di vitamina D? Cosa spiega la significativa associazione tra depressione e diabete, depressione e ipertensione arteriosa, depressione e artrite reumatoide, depressione e neoplasie, depressione e densità minerale ossea nelle donne in premenopausa? Alcuni recenti studi sull’associazione tra depressione maggiore e ridotta densità minerale ossea nelle donne suggeriscono che un fattore terzo sia potenzialmente responsabile tanto della bassa massa ossea quanto della depressione. Una possibile spiegazione può essere fornita proprio dalla constatazione che una carenza di vitamina D provoca, almeno in parte, tutte queste malattie. E’ ovvio come tutte queste malattie siano per loro natura a etio-patogenesi multifattoriale. Resta probabile, comunque che una parte della vulnerabilità possa conseguire a una carenza di vitamina D.
La vitamina D aumenta rapidamente, di tre volte, in vitro, l'espressione genetica di tiroxina-idrossilasi (l'enzima limitante per la biosintesi delle catecolamine). La luce del sole d’estate aumenta il turnover della serotonina cerebrale il doppio di quello che fa la luce del sole d'inverno. Uno studio recente presenta risultati positivi sul tono dell’umore interpretabili sia come effetti diretti della luce nello spettro visibile sia come azione della vitamina D. Le evidenze cliniche disponibili ad oggi suggeriscono che la vitamina D può migliorare il tono l'umore, anche se le prove al riguardo non sono ancora del tutto conclusive. Gli studi con risultati positivi, circa gli effetti antidepressivi della vitamina D, sono stati effettuati nel trattamento del disturbo affettivo stagionale, non della depressione maggiore. Sappiamo tutti come ci si sente dopo una settimana di vacanze in spiaggia, ma è l’effetto della luce solare, della vitamina D, dell’allontanarsi da lavoro e stress, dello stare con gli amici o di qualcos'altro? (13)
La vitamina D potrebbe essere utile nel trattamento della depressione maggiore, ma è ancora troppo presto per dirlo con certezza. Per saperlo con relativa sicurezza bisognerebbe studiare i pazienti con grave depressione maggiore, cui dovrebbe essere valutato il livello serico di base della 25 (OH) vit. D, che dovrebbero essere trattati per diversi mesi con dosi adeguate di vitamina D per innalzare il livello ad almeno 35 ng / mL, paragonando i risultati con un gruppo di controllo trattato con placebo. Nessuno ha mai pubblicato un tale studio. Tuttavia, non è presto per ascoltare i seguenti consigli. I pazienti depressi dovrebbero dosare i livelli serici di 25 (OH) vit. D. Se presentano livelli inferiori a 35 ng / mL (87 nM / L) sono in carenza di vitamina D e dovrebbero iniziare il trattamento. In condizioni di bassi livelli ematici di 25 (OH) vit. D, si è, di fatto, in carenza di vitamina D e si dovrebbe comunque, iniziare il trattamento, considerata la possibilità di poter prevenire oltre alla depressione molte altre gravi patologie non solo psichiatriche.

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giovedì 18 ottobre 2012

Il cervello dei neonati ha bisogno di omega-3 per svilupparsi


Neuroscienze e nutrizione: Il cervello dei neonati ha bisogno di omega-3 per svilupparsi





Supplementi di DHA per le donne che allattano al seno

L’Acido docoesaenoico (DHA) si ritiene essere un componente essenziale per il cervello e le guaine di rivestimento e protezione del sistema nervoso e, di conseguenza, indispensabile per la crescita e lo sviluppo del cervello dei bambini. In particolare quello dei nati prematuri che non potendo godere del terzo trimestre nella pancia della mamma, non possono beneficiare degli acidi grassi che si accumulano nei tessuti; ossia del DHA che ha un ruolo chiave nello sviluppo del suo cervello in formazione. In più, tenuto conto che il loro sistema gastrointestinale in genere è ancora immaturo, i problemi di salute possono aumentare il rischio di malnutrizione.

Per comprendere come una carenza di DHA (omega-3) avesse un impatto sulla salute dei neonati prematuri e come, nel caso, le madri che allattano al seno dovessero integrare questo acido grasso, i ricercatori canadesi del Centre Hospitalier Universitaire de Québec, guidati dalla professoressa Isabelle Marc dell’Università di Laval in Quebec, hanno condotto uno studio su 12 un gruppo di madri che pensavano di allattare al seno il proprio bambino una volta nato.
Queste neomamme sono state oggetto di una supplementazione ad alto dosaggio di DHA dalla 29ma settimana dal concepimento (o anche prima) fino alla 36ma settimana.
Durante il periodo e fino al parto, sono stati misurati i livelli nel latte materno del DHA, allo stesso modo sono stati analizzati i lipidi plasmatici sia nella mamma che nel bambino.
La supplementazione è durata fino a 49 giorni dopo il parto pretermine e i dati sono stati confrontati con un altro gruppo di controllo di madri con parti pretermine che, invece, non avevano assunto il DHA durante l’allattamento.

I risultati delle analisi hanno mostrato che i livelli di DHA nel latte materno delle madri che hanno ricevuto gli integratori sono stati quasi 12 volte superiore ai livelli nel latte delle madri nel gruppo di controllo. Inoltre, le concentrazioni plasmatiche di DHA nelle madri e neonati nel gruppo oggetto della supplementazione sono state 2-3 volte superiori a quelle del gruppo di controllo.
«I risultati hanno suggerito che una precoce supplementazione con DHA nell’allattamento in mamme con una dieta povera di DHA è riuscita ad aumentare lo stato di DHA in neonati molto prematuri», ha dichiarato la dottoressa Marc.
«I nostri risultati sottolineano l’urgente necessità di affrontare le raccomandazioni dietetiche per l’assunzione di DHA durante la lattazione delle madri di neonati pretermine per raggiungere il livello ottimale di DHA nel latte che deve essere offerto al bambino per una crescita ottimale e lo sviluppo neurologico, in quanto il contenuto di DHA nel latte materno delle madri che non consumano pesci durante questo periodo è molto probabilmente insufficiente», ha concluso Marc.
I risultati dello studio sono stati presentati il primo maggio alla riunione annuale della Pediatric Academic Societies (PAS) a Vancouver, Canada.

venerdì 12 ottobre 2012

Alcol in gravidanza, i danni neurologici al feto

Neuroscienze e Nutrizione: Alcol in gravidanza, i danni neurologici al feto

Una rassegna di oltre 500 pagine dei più recenti studi sullo spettro dei disordini feto-alcolici è stata realizzata e pubblicata dalla University of Canterbury per conto del Ministero della Salute della Nuova Zelanda (Elliott, L, Coleman, K, Suebwongpat, A, Norris, S. Fetal Alcohol Spectrum Disorders (FASD): systematic reviews of prevention, diagnosis and management. HSAC Report 2008). Il Fetal Alcohol Spectrum Disorder (FASD) descrive lo spettro di disabilità e di diagnosi associate all'esposizione prenatale all'alcol.

Questo gruppo di disturbi comprende la sindrome alcolica fetale (FAS), gli effetti alcolici sul feto (FAE), i danni congeniti alcol correlati (ARBD), i disturbi neuroevolutivi legati all'alcol (ARND). La FAS, forma di FASD clinicamente meglio riconoscibile, nel mondo occidentale è la principale causa di disabilità cognitiva non genetica (British Medical Association, 2007). La FAS consiste di deficit misurabili che includono caratteristiche malformazioni facciali, disturbi del cervello e del sistema nervoso, ritardo di sviluppo, mentre fra le condizioni associate vi sono malformazioni cardiache e renali, compromisisoni visive e uditive, difetti scheletrici e deficienze del sistema immunitario. L'azione teratogena dell'alcol può farsi sentire in qualsiasi fase della gravidanza. In particolare, l'esposizione all'alcol nelle prime tre settimane dal concepimento può danneggiare lo sviluppo iniziale del concepito e la formazione del tubo neurale. L'esposizione fra la quarta e la nona settimana può causare malformazioni del cervello e delle strutture craniche. Il modello di assunzione dell'alcol da parte della madre è fondamentale: l'assunzione intensiva di alcol (binge drinking) si associa con un più elevato tasso di anomalie FAS rispetto a un'assunzione dilazionata nel tempo. "La FASD - secondo gli Autori neozelandesi - è associata a un danno irreversibile dello sviluppo neurale e porta a conseguenze croniche per la persona, la sua famiglia e la società intera. Ma la FASD si può prevenire al 100% con astensione dall'assunzione di alcolici da parte delle persone in stato di gravidanza".

martedì 18 settembre 2012

Alimentazione e Sclerosi Multipla

Neuroscienze e Nutrizione: Alimentazione e Sclerosi Multipla

La Sclerosi Multipla è la più diffusa malattia flogistico-degenerativa a carico del Sistema Nervoso negli USA, e colpisce principalmente individui tra i 15 e i 55 anni di età.
E’ caratterizzata dalla formazione di numerose lesioni -intese come multiple sedi di danno anatomico di natura infiammatoria a carico di cellule nervose dell’encefalo e/o del midollo spinal
e.
Queste lesioni (infiammatorie) sono in seguito sostituite da tessuto cicatriziale duro (placche), che impedisce il funzionamento della trasmissione nervosa.
I quasi 500.000 americani affetti da SM manifestano ricorrenti episodi (poussées) di deficit a carico del Sistema Nervoso, che esitano in una progressiva perdita di funzioni.
Un episodio può colpire la vista; un altro può causare la perdita del controllo vescicale; pochi mesi dopo, un braccio o una gamba possono perdere la forza.
Dopo dieci anni di malattia, la metà dei pazienti affetti da SM sono severamente disabili, allettati, in carrozzina o peggio.
La Sclerosi Multipla è una malattia comune in Canada, U.S.A ed Europa del Nord, ma rara in Africa ed Asia.
Se un soggetto migra da un Paese a bassa incidenza di SM (e quindi inevitabilmente cambia il proprio stile di vita e la propria dieta), il rischio di contrarre la SM aumenta.
Molti Studi hanno analizzato i fattori ambientali che potrebbero influire sulla diversa incidenza della malattia fra le diverse popolazioni.

IL CIBO E LA SCLEROSI MULTIPLA
Il fattore principale sembra essere quello che rappresenta il più forte elemento di contatto con l’ambiente: il cibo che viene assunto quotidianamente.
Sebbene i Paesi ricchi in genere abbiano tassi più elevati di SM e i Paesi meno ricchi abbiano minori tassi di incidenza, esiste un’eccezione: il Giappone.
Anche se i Giapponesi vivono in un Paese moderno, industrializzato, con tutto lo stress, l’inquinamento, e le abitudini al fumo comuni alle altre Nazioni industrializzate, la loro dieta a base di riso è più simile a quella dei Paesi poveri dove la SM è meno comune.
Il caso Giappone fornisce una valida evidenza di come una dieta ricca di cibi animali, piuttosto che altre “moderne” calamità, possa costituire la base per l’insorgenza di SM.
Naturalmente, tutti i componenti di una dieta a base di cibi ricchi possono causare problemi, ma i grassi animali -specialmente quelli derivanti dai latticini – sono quelli più strettamente correlati allo sviluppo della SM.
Una teoria ipotizza che un’alimentazione infantile a base di latte vaccino crei i presupposti per la comparsa di danni al Sistema Nervoso nel corso della vita.
Il latte vaccino possiede solo un quinto dell’acido linoleico (un acido grasso essenziale) del latte materno.
L’acido linoleico è il costituente principale dei tessuti nervosi.
Può essere verosimile che bambini cresciuti con una dieta ricca di grassi animali e povera in acido linoleico (come la maggior parte di bambini nella nostra società) sviluppino un Sistema Nervoso più vulnerabile nel corso della crescita.
L’analisi dei tessuti cerebrali dimostra che i soggetti affetti da SM hanno un contenuto di grassi saturi nell’encefalo superiore a quello degli individui sani.
Il fattore scatenante la pousée di SM è ignoto, ma possibili agenti sospetti sono virus, reazioni allergiche, e disturbi del flusso ematico al cervello.
Molto probabilmente, l’agente eziologico è in connessione con sistema circolatorio dell’encefalo o del midollo spinale, perchè le caratteristiche lesioni e cicatrici della SM sono localizzate nelle cellule nervose nelle vicinanze dei vasi sanguigni.
Un’altra teoria ipotizza che le riesacerbazioni di SM siano sostenute da un ridotto apporto ematico a zone di tessuto cerebrale vulnerabile.
I grassi alimentari possono avere questo effetto.
Entrano nella corrente ematica e ricoprono le cellule del sangue.
Il risultato è che le cellule si aggregano, formando dei conglomerati che rallentano la perfusione ematica ai tessuti vitali.
Il sangue non forma dei coaguli, come si verifica nell’ictus cerebrale, ma in molti vasi sanguigni questi aggregati diventano così rilevanti da arrestare il flusso ematico, il che provoca un decremento rapido del contenuto totale di Ossigeno del sangue.
I tessuti privati di sangue e Ossigeno per periodi di tempo prolungati vanno incontro a necrosi.
Può qualcosa di così banale costituire un fattore di rischio per la progressione della SM?
Come esempio, possiamo valutare lo stato di salute di individui costretti ad una dieta povera di grassi.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il cibo era scarso e lo stress elevato nell’Europa Occidentale occupata.
La gente non poteva più permettersi la carne, così mangiava i cereali e le verdure che un tempo utilizzavano per nutrire le vacche, i polli ed i maiali.
Il risultato fu una drammatica diminuzione dell’assunzione di prodotti di origine animale e di grassi totali nella dieta. I medici osservarono che i ricoveri per SM erano diminuiti di 2-2.5 volte durante il periodo bellico.
Roy Swank, M.D., ex-direttore del Dipartimento di Neurologia dell’Università dell’Oregon ed ora medico all’Oregon Health Sciences University, osservò che i pazienti con MS erano migliorati quando sottoposti a questa dieta forzatamente povera di grassi. Negli anni ’50, Swank ha iniziato a trattare i propri pazienti con una dieta di questo tipo.
Avendo ottenuto risultati eccellenti, ha trattato per 35 anni migliaia di pazienti affetti da SM in questo modo.
I suoi risultati sono apprezzabili alla luce di qualunque criterio medico standard: le condizioni dei pazienti sono migliorate nel 95% dei casi.
I pazienti andavano meglio se la malattia era stata diagnosticata precocemente ed avevano avuto poche poussées, ma anche i pazienti malati di SM da lungo tempo hanno mostrato un rallentamento nella progressione della malattia.
In origine Swank era soprattutto impegnato nel limitare i grassi saturi, ma col passare degli anni ha iniziato a considerare pericolosi tutti i tipi di grassi.
La sua dieta per la MS attualmente ha un apporto di grassi del 20% delle calorie totali.
L’acido arachidonico e il suo influsso sulla sclerosi multipla
Come suddetto la SM è caratterizzata da lesioni anatomiche di origine infiammatoria a carico del tessuto nervoso.
Le infiammazioni nel cervello e nel midollo spinale vengono attivate e mantenute attive nel corpo dai mediatori dell’infiammazione.
Questi mediatori sono prodotti dall’organismo per mezzo di un acido grasso, l’acido arachidonico.
L’uomo però ha anche bisogno dell’acido arachidonico per importanti reazioni metaboliche: l’organismo stesso ne produce in quantità ridotte, ma sufficienti. Questo processo è regolato e limitato.
La quantità effettiva di acido arachidonico presente nel corpo dipende dall’apporto esterno, ossia dalla quantità di acido arachidonico che una persona assume attraverso l’alimentazione.
Pertanto chi è affetto da SM dovrebbe limitare il più possibile l’assunzione di acido arachidonico per evitare di favorire l’insorgenza di nuovi focolai di infiammazione.
Alcune sostanze nutritive inibiscono la reazione infiammatoria e perciò sono particolarmente raccomandate. Tra le più importanti vi è un altro acido grasso, l’acido eicosapentaenoico (in breve EPA).
A questo acido è attribuito un effetto antinfiammatorio, che raggiunge il massimo quando nell’organismo vi è una bassa percentuale di acido arachidonico.
Il pesce contiene una quantità particolarmente elevata di EPA.
A questo proposito è necessario fare un’osservazione interessante: nelle regioni costiere, dove il consumo di pesce è elevato, vi è una minore incidenza della SM rispetto ad altre regioni.
Consumando molto pesce, facciamo un doppio piacere al nostro corpo: il pesce non soltanto ha un altissimo contenuto di EPA, ma contiene anche tanta vitamina D.
In generale, le vitamine sono composti importanti per l’uomo, poiché influenzano quasi tutti i processi fisiologici.
Le vitamine devono essere apportate con l’alimentazione, perché il corpo non è in grado di sintetizzarle da solo. Solo la vitamina D viene creata dall’organismo stesso, quando riceve una quantità sufficiente di luce solare.
Tuttavia, è possibile aumentare il tenore di vitamina D nell’organismo in qualsiasi momento assumendo latticini.
La trasformazione dell’acido arachidonico nei mediatori dell’infiammazione è un processo ossidativo.
Le vitamine A, E, C e alcuni microelementi (ad es. il selenio e lo zinco) hanno proprietà antiossidanti e quindi antinfiammatorie.
Inoltre, rivestono un ruolo importante nella prevenzione delle lesioni e delle malattie vascolari.

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sabato 1 settembre 2012

Gli omega-3 possono migliorare i disturbi psicotici


Neuroscienze e Nutrizione: gli omega-3 possono migliorare i disturbi psicotici - English/Italiano

Archives of General Psychiatry. 2010; 67:146-154

Long-Chain omega-3 Fatty Acids for Indicated Prevention of Psychotic Disorders: A Randomized, Placebo-Controlled Trial

Amminger GP, Schafer MR, Papageorgiou K, Klier CM, Cotton SM, Harrigan SM, Mackinnon A, McGorry PD, Berger GE

ABSTRACT
The use of antipsychotic medication for the prevention of psychotic disorders is controversial. Long-chain omega-3 polyunsaturated fatty acids (PUFAs) may be beneficial in a range of psychiatric conditions, including schizophrenia. Given that omega-3 PUFAs are generally beneficial to health and without clinically relevant adverse effects, their preventive use in psychosis merits investigation. To determine whether omega-3 PUFAs reduce the rate of progression to first-episode psychotic disorder in adolescents and young adults aged 13 to 25 years with subthreshold psychosis. Randomized, double-blind, placebo-controlled trial conducted between 2004 and 2007. Psychosis detection unit of a large public hospital in Vienna, Austria. Eighty-one individuals at ultra-high risk of psychotic disorder. A 12-week intervention period of 1.2-g/d -3 PUFA or placebo was followed by a 40-week monitoring period; the total study period was 12 months. The primary outcome measure was transition to psychotic disorder. Secondary outcomes included symptomatic and functional changes. The ratio of omega-6 to omega-3 fatty acids in erythrocytes was used to index pretreatment vs posttreatment fatty acid composition. Seventy-six of 81 participants (93.8%) completed the intervention. By study's end (12 months), 2 of 41 individuals (4.9%) in the omega-3 group and 11 of 40 (27.5%) in the placebo group had transitioned to psychotic disorder (P = .007). The difference between the groups in the cumulative risk of progression to full-threshold psychosis was 22.6% (95% confidence interval, 4.8-40.4). Omega-3 Polyunsaturated fatty acids also significantly reduced positive symptoms (P = .01), negative symptoms (P = .02), and general symptoms (P = .01) and improved functioning (P = .002) compared with placebo. The incidence of adverse effects did not differ between the treatment groups. Long-chain omega-3 PUFAs reduce the risk of progression to psychotic disorder and may offer a safe and efficacious strategy for indicated prevention in young people with subthreshold psychotic states.

Commento
L’assunzione di integratori a base di olio di pesce, ricchi in acidi grassi omega-3 possono ridurre la probabilità di sviluppare disturbi psicotici in persone ad alto rischio. Si indica con alto rischio la probabilità di ammalarsi nel 40% dei casi in 12 mesi. E’ stato osservato che la supplementazione con olio di pesce, ricco di EPA e DHA, ha ridotto del 23% il rischio di progressione verso la psicosi conclamata (solo il 4,9% dei pazienti aveva sviluppato un disturbo psicotico). Il legame tra l’assunzione di omega-3 e funzioni cognitive e comportamentali è già stato osservato in passato e i dati più promettenti sono stati segnalati per il DHA, con miglioramenti a livello della memoria in adulti con declino delle funzioni cognitive legate all’età e ad alcune patologie, come il morbo di Alzheimer. Gli acidi grassi omega-3 possono produrre cambiamenti a livello delle membrane cellulari e interagire con i sistemi di neurotrasmissione nel cervello. Inoltre, hanno il vantaggio di essere tollerabili, ben accettati e di avere costi relativamente bassi, a differenza degli antipsicotici, che spesso non sono accettabili, soprattutto per i giovani.

Cibo salva-neuroni così la testa non invecchia

Neuroscienze e Nutrizione: cibo salva-neuroni così la testa non invecchia

Il pesce prima degli esami torna in auge. La motivazione era forse scorretta (l' utilità del fosforo è stata messa in dubbio). Ma sull' effetto finale, generazioni di mamme di studenti avevano visto giusto. Fernando Gomez-Pinilla, un neuroscienziato dell' università della California a Los Angeles, ha infatti passato in rassegna 160 studi sul rapporto fra cibo e cervello e ha pubblicato su Nature Reviews Neuroscience lo studio più completo su come la dieta possa influenzare capacità cognitive e memoria. A passare l' esame sono soprattutto gli omega-3, acidi grassi di cui sono ricchi pesci, kiwi e noci. Sono uno dei mattoni principali delle membrane che circondano i neuroni. Attraverso di esse, come una dogana, passano tutti i segnali che le cellule del cervello si trasmettono quando devono calcolare, ragionare, ricordare, provare emozioni, trasmettere ordini ai vari muscoli del corpo. Quando nel 2007 la pediatra Sheila Innis dell' università di Vancouver ha pensato di prendere un gruppo di bambini tra i 6 e i 12 anni e di fornirgli un supplemento quotidiano di omega-3, i loro risultati scolastici sono migliorati. I 396 scolari australiani e i 394 indonesiani coinvolti nell' esperimento hanno ottenuto voti più alti nei compiti di abilità verbale e apprendimento mnemonico. Ma uno studio simile, svolto a Durham, è stato criticato perché aveva ricevuto finanziamenti da una ditta produttrice di omega-3. «Questi acidi grassi - conferma comunque Gomez-Pinilla - sono importanti per la formazione di molte molecole che migliorano la memorizzazione». Di fronte al rischio di esagerare le virtù di questo o quel nutriente, il presidente dell' Istituto italiano di ricerca per gli alimenti e la nutrizione Carlo Cannella fa presente: «Mangiare pesce due volte a settimana, o tre nel caso dei bambini, fa sicuramente bene. Assumere omega-3 sotto forma di integratori alimentari può essere un rischio. Esistono infatti dei tetti che non vanno superati, e prima di entrare in farmacia è bene farsi dare consigli dal medico». Come dimostra la rapidità con cui il pesce inizia a puzzare, gli acidi grassi che arrivano dal mare sono molecole poco stabili, e tendono a degradarsi con facilità. «Se mettiamo gli omega-3 nel latte - prosegue Cannella - creiamo un accostamento innaturale. Mangiare un bel pesce rimane la soluzione più conveniente». Non di solo pesce è comunque fatto il menù del cervello. E se si va a cercare sulla cartina del mondo il paese meno afflitto dal morbo di Alzheimer, è in India che si va a finire. Gomez-Pinilla lega la circostanza alla diffusione di una spezia usata per conservare e insaporire i cibi: la curcuma. «La curcumina, il principio attivo di questa spezia, protegge le cellule del cervello perché è un forte antiossidante». Se gli omega-3 fluidificano il traffico delle informazioni fra i neuroni (e sono indicate per i bambini che vanno a scuola), gli anti-ossidanti frenano il decadimento del cervello durante la terza età. Accanto alla curcuma, utili per puntellare la memoria che perde colpi sono i flavonoidi di vino rosso, cioccolato fondente e tè verde e le vitamine C ed E (agrumi, noccioline e olii vegetali). L' acido folico di spinaci, lievito e succo d' arancia gioca il suo ruolo nella stabilizzazione dell' umore, mantenendo a distanza alcuni tipi di depressione. Uno studio pubblicato su Lancet l' anno scorso mostrava come questo composto fosse anche in grado di rallentare il declino cognitivo negli anziani. Se il cibo fornisce al corpo energia, e l' organo che più ne brucia è il cervello, è normale che fra alimentazione e intelletto si stabilisca un rapporto privilegiato. «Il cibo è come un farmaco per il nostro organo del pensiero», spiega Gomez-Pinilla. Secondo lui, durante l' evoluzione umana il volume del cervello avrebbe iniziato a espandersi proprio quando i nostri antenati cominciarono a nutrirsi con grandi quantità di acidi grassi del tipo Dha, che l' organismo non è in grado di sintetizzare da solo e deve prendere dai cibi. Alcune carenze dietetiche, secondo il neurologo di Los Angeles, si potrebbero in parte spiegare anche con una carenza alimentare. In una tabella del suo studio appare infatti che Germania, Stati Uniti e Canada - i paesi con il più basso consumo di pesce - sono anche quelli maggiormente toccati dalla depressione. All' importanza della dieta per il cervello, Gomez-Pinilla aggiunge quella di un ricco sonno (durante il quale si consolidano i ricordi e si rafforza la memoria) e dell' attività fisica. Era da qui che il neurologo aveva iniziato i suoi studi sulla salute dell' organo del pensiero. Salvo finire, dopo la ginnastica, su una tavola imbandita in cui, a guardare bene, neanche alla gola si fa mancare nulla.

martedì 28 agosto 2012

Ipertensione, 4 fattori decisivi peso, moto, alcol e verdura


Congresso europeo di cardiologia: una ricerca finlandese su 20mila persone ha individuato quali sono le condizioni fisiche e le scelte alimentari e di vita che più pesano, in negativo o in positivo, sulla pressione altadal nostro inviato ARNALDO D'AMIC



MONACO di Baviera - Su cento adulti in sovrappeso, pigri, che consumano molto alcol e poche verdure, tutti e cento diventano ipertesi prima o poi. Invece, se i cento hanno uno stile di vita sano e non sono grassi se ne ammalano solo 35. Il risultato, presentato oggi al congresso della Società Europea di cardiologia in corso a Monaco di Baviera sino a giovedì, sembra non aggiungere molto a quello che già predica il buon senso.

Ma se si vuole trasformare il buon senso in indicazioni certe da dare alla popolazione e, soprattutto, ai politici, per fare prevenzione di massa, allora gli stili di vita vanno studiati come se fossero nuovi farmaci da approvare. Specie se in gioco vi è una malattia, l'ipertensione, che, tralasciando le sue responsabilità in infarto e ictus, è la quarta causa di morte. E così, dopo aver seguito oltre 20mila adulti per 16 anni, ecco le certezze uscite dalla ricerca coordinata da Pekka Jousilahti, dell'Istituto nazionale per la salute e il benessere della Finlandia.

Peso del corpo, attività fisica, consumo di alcol e di verdure sono risultati i 4 fattori che più influenzano lo sviluppo dell'ipertensione. Il fumo si rivela meno influente, ma solo sull'ipertensione mentre rimangono confermati i danni a cuore, arterie e cervello. Inoltre, gli studi hanno rivelato, come avviene per le sostante tossiche, che i 4 fattori sommano i loro effetti. Nel senso che ognuno aggiunge (o sottrae se assente) circa un 15% di rischio in più (o in meno).

E così, basta essere sovrappeso, ad esempio, per far salire (o scendere se si è normopeso) di un 15% la probabilità di soffrire di pressione alta. Un altro 15% si somma (o si sottrae) se si bevono più di 50 grammi di alcol a settimana (circa mezzo litro di vino). Stesso incremento circa ( o decremento) per attività fisica inferiore a tre ore a settimana o se si mangia poca verdura.

"Il nostro studio era mirato alla prevenzione dell'ipertensione ed è stato fatto su soggetti inizialmente privi della patologia - ha precisato il professor Jousilahti - . Ma i risultati sono utili anche per curare chi è già iperteso. I pazienti possono prima modificare i quattro fattori di stile di vita e poi aggiungere i farmaci, se sono ancora necessari per abbassare la pressione".

lunedì 20 agosto 2012

Cervello, vitamina del sole lo mantiene in salute

Neurosciernze e Nutrizione: Cervello, vitamina del sole lo mantiene in salute

La vitamina D ha un ruolo decisivo nella regolazione della salute del cervello, sia come promotore dello sviluppo del sistema nervoso, sia quale fattore di rallentamento del suo invecchiamento, come dimostrerebbe un crescente numero di studi. Lo sostengono R. Douglas Shytle e Paula C. Bickford del South Florida Health Sciences Center in una rassegna pubblicata oggi su Cerebrum, celebre rivista della Dana Foundation (R. Douglas Shytle, Paula C. Bickford, Vitamin D and the Brain: More Good News, Cerebrum, Apr. 07, 2009).

Le vitamine - spiegano Shytle e Bickford - per definizione non sono sintetizzate dal nostro organismo, ma sono sostanze naturali acquisite con l'assunzione di cibo. Dunque la D non sarebbe una vera e propria vitamina, ma un ormone, dato che gran parte di essa viene prodotta dall'organismo durante l'esposizione ai raggi solari: per tale motivo viene definita "la vitamina del sole".

L'insufficienza di vitamina D è oggi riconosciuta quale "problema di salute mondiale" (dal 20% all'80% della popolazione mondiale ne sarebbe carente) e più di un centinaio di studi confermerebbe il suo ruolo nella prevenzione e nel trattamento di diverse patologie di interesse medico. E' noto che una carenza di vitamina D può portare a osteoporosi e fratture in età adulta. Recenti studi dimostrano inoltre che una insufficienza di tale vitamina può anche aumentare il rischio per diabete, cancro, malattie autoimmuni, ipertensione, ictus, malattie infettive e disturbi psichiatrici. Insomma, sembrano venire sempre più alla luce i diversi ruoli della vitamina D nella regolazione della salute ottimale del nostro cervello, sia in età evolutiva, sia durante l'intero ciclo di vita, invecchiamento compreso.

Bassi livelli di vitamina D sarebbero anche all'origine di deficit cognitivi e psichiatrici, quali demenze, depressione, disturbo bipolare, schizofrenia ecc., in particolare durante l'invecchiamento come "ipovitaminosi D" o HVD (vedere in proposito gli studi di Paul Cherniack della University of Miami, fra cui il più recente Cherniack et al., Some new food for thought: the role of vitamin D in the mental health of older adults, Curr Psychiatry Rep, 2009). Secondo recenti studi, gli anziani, caratterizzati da un rapporto grassi / muscolo elevato, riterrebbero gran parte di questo nutriente nei tessuti adiposi, essendo la vitamina D liposolubile, con conseguenti diminuzioni di disponibilità nel sangue; inoltre, con l'invecchiamento, il meccanismo di produzione di vitamina D a livello epidermico durante l'esposizione al sole diventerebbe sempre meno efficiente.

"Ciò che non è ancora chiaro - sottolineano però gli Autori - è se integrazioni intensive di vitamina D in persone che già soffono di questi disturbi siano in grado di invertirne la rotta...". Va tenuto inoltre presente che l'assunzione di vitamina D con la dieta non è così efficace come la produzione di essa attraverso l'esposizione al sole, dato che per produrre la stessa quantità di ormone equivalente a quella prodotta con una esposizione di 15 minuti al sole estivo (pari a 10.000 IU di vitamina D) sarebbe necessario ad esempio assumere circa 100 bicchieri di latte o 25 tavolette di un comune integratore (contenente in media, quale dose giornaliera raccomandata, 400 IU per tavoletta). Per cui, visto che sta per arrivare l'estate... tutti (con le opportune precauzioni) al sole!

sabato 11 agosto 2012

Alimentazione ed Ansia

Neuroscienze e Nutrizione: alimentazione ed ansia

Secondo ricerche epidemiologiche recenti, almeno un terzo della popolazione mondiale ha avuto o potrà avere un disturbo d’ansia nel corso della propria vita.

L’ansia di per sé è una manifestazione emozionale del tutto naturale e senza di essa molti eventi sarebbero sbiaditi, poco intensi e dunque meno significativi e suggestivi. Al pari della paura, della rabbia, della tri
stezza o la gioia, l’ansia è un’emozione con una funzione importante in relazione anche alla stessa sopravvivenza umana così come si evince da studi di neurofisiologia sotto riportati. Infatti, i circuiti neurali coinvolti nella genesi dell’ansia sono da imputarsi all’attivazione dell’amygdala e dell’ippocampo (Rosen & Schulkin, 1998). L’amygdala o sistema amigdaloideo è associata al sistema olfattivo e limbico dunque all’emozioni, in particolare alla paura. E’ la struttura che dà una valenza alle emozioni in entrata nel sistema uomo e non a caso, per tramite dell’ipotalamo essa attiva il sistema “ lotta o fuggi” ovvero il simpatico. Al pari di un sofisticato sistema di allarme, l’amigdala in caso di uno stimolo ritenuto pericoloso, reagisce immediatamente stimolando le principali aree cerebrali ed innescando la liberazione di neurotrasmettitori quali adrenalina, noradrenalina e dopamina. Il sistema motorio e cardiovascolare accellerano la propria attività in previsione della risposta e contemporaneamente i sistemi mnemonici effettuano una valutazione per rilevare e richiamare “ comportamenti” precedentemente utilizzati per il superamento di pregresse condizioni di pericolo.

Rosen & Schulkin sottoposero dei soggetti a stimolazioni spiacevoli e potenzialmente dannose come odori o gusti ripugnanti mentre essi stessi venivano esaminati mediante scansioni PET. Si evidenziò un flusso sanguigno aumentato nell'amigdala (Zald & Pardo, 1997; Zald, Hagen & Pardo, 2002). Il campione di pazienti di questi studi, riportarono anche un'ansia moderata. Ciò potrebbe indicare che l'ansia sia un meccanismo protettivo progettato per prevenire comportamenti potenzialmente dannosi per l'organismo come ad esempio nutrirsi di cibo avariato.

Uno studio similare al precedente datato 2005 e pubblicato su Biological Psychiatry sembra correlare l’amigdala con la fobia sociale. Il team di ricercatori promotore di questo studio ha monitorato mediante risonanza magnetica l'attività cerebrale di soggetti a cui venivano sottoposte foto di persone col viso minaccioso, arrabbiate, disgustate o spaventate. L’esame strumentale nel mentre, rilevava un’iperattivazione dell’amigdala a cui faceva seguito un incremento dei sintomi di fobia sociale. L'ansia ricorre cronicamente e questa ha un forte impatto sulla vita di una persona, si può diagnosticare un disturbo d'ansia che chiaramente ha una connotazione patologica e per la quale si è coniato il termine di ansia patologica. Le più comuni forme sono il disturbo d'ansia generalizzata (DAG), il disturbo di panico (DP), la fobia sociale e le fobie specifiche, il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e il disturbo post-traumatico da stress (DPTS).

L’ansia che qui si vuole descrivere è quella presente durante le sfide che la vita ha in serbo per ognuno di noi, durante gli avvenimenti formanti la personalità o eventi indimenticabili. In questa ottica, l’ansia prende il nome di ansia fisiologica, poiché è la reazione naturale ad un evento “stressante” cui ci troviamo ad affrontare. Il primo giorno di scuola per un bambino, la nascita di un figlio, un intervento chirurgico sono esempi di ciò che si vuole intendere. Certamente essa presenta manifestazioni poco piacevoli: agitazione continua ed inspiegabile, paura vaga, apprensione e preoccupazione. Il corredo sintomatologico fisico non è da meno presentando palpitazioni, dolori al petto e/o respiro corto, nausea, tremore interno.

L’ansia non va stigmatizzata anzi, può essere o meglio dev’essere uno strumento e non un limite. Resta unicamente a noi la scelta. Inoltre in taluni contesti è utile a proteggerci dai rischi in quanto promuove il mantenimento di uno stato di allerta e migliora le prestazioni.

La domanda da porsi allora è: “posso aiutare mio figlio a non risentire del distacco causata dal primo giorno di asilo e della sua prima gita fuori porta o dell’esame di maturità?ed ancora:” E’ possibile ridurre la tachicardia, la sudorazione profusa che capita prima di discutere la tesi di laurea o prima di un colloquio di lavoro? La risposta è si!

Integrando le nozioni di ordine squisitamente neurologico di cui si è accennato all’inizio, dobbiamo ricordare che l’ansia va combattuta quotidianamente anche a tavola, eliminando innanzitutto le sostanze psicoattive come alcool, caffè, tabacco le quali distruggono molte sostanze nutrienti utili alla formazione dei neurotrasmettitori. Si è riscontrato infatti, nei soggetti ansiosi un’alta percentuale di adrenalina, prodotta a partire dall’aminoacido tiroxina, (questo presente negli alimenti proteici) mentre si riscontrano nei medesimi soggetti una bassa percentuale di calcio, vitamina E, serotonina.

L’adrenalina è un mediatore chimico eccitatore e se presente in quantità superiore produce anche rabbia e nervosismo. Non dobbiamo pensare che l’adrenalina debba essere tenuta bassa, infatti in tal caso causerebbe disturbi alla memoria e all’apprendimento, sfaserebbe il ritmo sonno-veglia e concorrerebbe all’instaurarsi della depressione.

Il Calcio oltre alle sue note funzioni sul metabolismo osseo concorre ad un’azione sedativa e quando è carente possono istaurarsi stati d’ansia con irritabilità e nervosismo.

La vitamina E antiossidante per tutte le cellule del corpo, anche per il cervello possiede un effetto calmante mentre la serotonina che è il principale neurotrasmettitore del buon umore dovrà essere stimolata la sua produzione tramite frutti come banane, prugne e ananas, pomodori e melanzane. L’aumento della serotonina può avvenire anche attraverso l’introduzione di cereali integrali; ciò considerando la conversione dell’aminoacido triptofano presente nei cereali, in serotonina all’interno dell’organismo.

I soggetti ansiosi tendono ad avere ipoglicemia. Ciò si traduce con uno squilibrio biochimico cerebrale a livello dell’attività elettrica e compportando aggressività irregolare, stanchezza cronica, spossatezza. E’ stato notato inoltre come ad un basso livello di zuccheri corrispondono bassi livelli di serotonina.

L’alimentazione ideale in tali casi deve orientarsi su alimenti con un indice glicemico basso in sostituzione di quelli ad alto indice per il risaputo e rapido metabolismo che essi vanno incontro, comportando un circolo vizioso di sintomi.

Il complesso vitaminico B concorrono al buon funzionamento del cervello e al buon umore, in particolare la B3 viene utilizzata dall’organismo per trasformare il triptofano in serotonina. Se essa è carente si prova paura per aspetti normali della vita quotidiana, si diventa apprensivi, sospettosi e insonni.

La B3 aiuta il rilassamento ed è leggermente ipnotica.

L’ansia può giovarsi anche del magnesio, della vitamina C che concorre a modulare la concentrazione di adrenalina e la B12.

venerdì 10 agosto 2012

Cibo ed economia

Cibo ed economia

Il lato economico ha un'importanza spesso fondamentale nelle scelte dei cibi; purtroppo errate convinzioni alimentari si traducono spesso in errati comportamenti nella spesa di tutti i giorni. Vediamo gli errori più comuni.

I prodotti di qualità costano – Non è affatto vero. È ovvio che il costo ha un peso importante, ma lo ha nella scelta della classe alimentare (per esempio se il caviale costa troppo lo si esclude senza problemi dalla propria dieta), non all'interno della classe. Scegliere sempre e comunque ola marca che costa meno non è una saggia strategia. Imparate a chiedervi: perché costa meno? Scoprirete: data di scadenza breve, conservanti, componenti di scarsa qualità ecc. Non serve nemmeno andare all'opposto e scegliere sempre il prodotto più caro come garanzia di qualità. L'importante è un giusto compromesso dove il costo è importante, ma non è la cosa più importante. Oggi la produzione industriale, accanto a prodotti discutibili, ne sforna molti di alta qualità e su questi spesso vengono fatte campagne di lancio, sconti per quantità ecc. Chi si lamenta dei prezzi dovrebbe capire che fare la spesa tutti i giorni è decisamente antieconomico: meglio fare incetta di prodotti in offerta (basta un congelatore per conservare i cibi deperibili), magari scontati del 30-40%, piuttosto che scegliere ogni giorno prodotti scadenti, ma meno cari rispetto al prezzo di listino di prodotti migliori. Il miglior tonno in offerta al 30% di sconto costa come un tonno scadente a prezzo pieno. Se il prezzo è importante, studiate le strategie commerciali dei vari esercizi commerciali. È intelligente trovare a meno prodotti ottimi, non spendere di meno in assoluto.

Alcuni alimenti sono inavvicinabili – Se alludete a branzini, salmone affumicato, culatello ecc. avete ragione, ma dal punto di vista nutrizionale non è detto che è migliore ciò che costa di più. Il tartufo è l'esempio più eclatante: anche quello più costoso ha proprietà nutrizionali praticamente nulle. Quindi imparate a giudicare i cibi non in base alla moda più raffinata, ma al loro vero valore nutritivo. Il tonno o il salmone al naturale in scatola sono altrettanto validi che orate e branzini e il salmone al naturale è addirittura meglio di quello affumicato e costosissimo.

Frutta e verdura costano troppo – Non fissatevi su prodotti precisi, ma siate elastici e scegliete sempre frutta e verdura di stagione. Se i pomodori costano troppo, comprate le zucchine o viceversa. Inoltre ricordatevi che la surgelazione altera le proprietà del prodotto esattamente come il trasporto e la conservazione sul banco per i prodotti freschi. A meno che non vi coltiviate frutta e verdura da voi, probabilmente un prodotto surgelato è del tutto equivalente a uno fresco acquistato presso un punto vendita, ma raccolto diversi giorni prima.


Il prezzo non è tutto

Le calorie - Ovviamente non si può acquistare un prodotto di cui non si hanno indicazioni caloriche, soprattutto quando è un prodotto non standard (come invece per esempio lo sono lo zucchero o la verdura come le carote o gli spinaci). È incredibile come grandi marche continuino a proporre prodotti senza etichetta nutrizionale. Alcune volte è perché ottengono prodotti migliori al gusto solo aggiungendo calorie, ma spesso è semplicemente una mancata sensibilità alimentare. Un altro trucco a cui prestare attenzione è l'indicazione calorica per porzione: in genere dovrebbe favorire l'utente che sa per esempio che un gelato sono 160 kcal, ma dall'altro spesso fa passare per ipocalorici prodotti caloricissimi semplicemente perché la porzione è ridotta. Fate sempre riferimento alle calorie per 100 g. Nella ricerca delle calorie non siate maniaci, ma tenete conto anche delle proprietà organolettiche dell'alimento e del suo potere saziante. La marmellata per esempio può andare dalle 80 alle 260 kcal per 100 g. La prima è probabilmente poco di più di un succo di frutta, la seconda è una vera bomba calorica con tanto zucchero aggiunto. La soluzione probabilmente sta nello scegliere marmellate fra le 120 e le 160 kcal per 100 g.

Senza zuccheri, senza grassi, senza colesterolo ecc. - Troppe pubblicità invitano alla scelta del prodotto in base a una sua caratteristica che indica un'assenza di un componente che viene così demonizzato. Imparate a valutare l'importanza di questa assenza. Molto spesso è solo una trovata con cui si cerca di attirare chi ha una scarsa coscienza alimentare. L'eccesso di calorie, se introdotto sotto forma di grassi o di zuccheri, va sempre a trasformarsi in grasso. Che senso ha proporre biscotti senza zucchero o senza grassi se poi le calorie superano quelle di biscotti tradizionali?

Le versioni light - In alcuni casi (maionese, alcuni formaggi ecc.) sono da preferirsi, in altre (yogurt, biscotti) ecc. rientrano nel paragrafo precedente: meno calorie, ma sono prodotti utili? Non lo sono quando il prodotto diventa poco saziante e alla fine se ne mangia di più per non morire di fame. Per esempio esistono yogurt light con pezzi di frutta abbastanza sazianti che vale la pena considerare e yogurt interi senza grassi praticamente liquidi il cui potere saziante è bassissimo offrendo in cambio un risparmio calorico di sole 20 kcal per 100 g!

Il biologico - Da un punto di vista prettamente alimentare non è sinonimo di migliore qualità. C'è infatti una grande confusione sul termine. Ci sono prodotti biologici che dal punto di vista alimentare sono veramente scadenti (quelli che si rifanno alla tradizione, senza cura delle calorie, della ripartizione fra macronutrienti, dell'indice di sazietà), altri che sono validi ma che hanno un costo elevato, altri che invece sono decisamente consigliabili. Questi ultimi in genere vengono proposti da produttori di una certa dimensione che riescono a combinare i vantaggi dell'industria a quelli della purezza del prodotto.


RiassumendoLa filosofia del basare le scelte alimentari sul prezzo indica scarsa cura della propria alimentazione che, prima sul prezzo, deve basarsi sulla salubrità dei prodotti. È molto facile dimostrare che l'alimentazione non può essere un collo di bottiglia economico nella qualità della propria vita.Questa affermazione stupirà soprattutto coloro che lottano mensilmente per sopravvivere, ma è del tutto logica se si pensa ai tanti errori "economici" che si commettono, salvo poi tentare di porvi rimedio con l'errato ricorso al discount. Di seguito alcune semplici "dritte" per spendere bene e mangiare meglio.

Scegliete 2 o 3 supermercati di alta qualità e verificate le offerte. Prodotti di medio-alta qualità vengono periodicamente offerti anche con sconti del 50%. Se i prodotti consentono una conservazione lunga, approfittate delle offerte.
Dotatevi di strumenti (congelatore, affettatrice ecc.) che consentano di ottimizzare i costi, permettendo di acquistare prodotti a prezzi favorevoli perché in quantità.
Dotatevi di strumenti (macchina del pane, yogurtiera ecc.) che consentono risparmio di denaro e (importante) di tempo.
Non fissatevi su alimenti precisi, ma verificate alternative equivalenti. Ciò vale soprattutto per frutta e verdura e per il pesce (ricordatevi per esempio che tonno e salmone sono salutisticamente ottime scelte, spesso meglio di costosissimi branzini od orate di allevamento).Ricordate infine che chi segue un'alimentazione per un corretto peso corporeo mangia mediamente il 20% in meno di chi è sovrappeso. Come dire: mangia di meno, ma meglio!