Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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martedì 31 dicembre 2013

Frutta secca e cancro al pancreas nelle donne

Uno studio dei ricercatori dell’Università di Harvard, Boston USA e del Brigham and Women’s Hospital, pubblicato sulla rivista “British Journal of Cancer” ha dimostrato che consumare 2 volte alla settimana circa 30 grammi di frutta secca riduce il rischio di sviluppare il cancro al pancreas nelle donne. La ricerca ha coinvolto 75.680 donne e il consumo di frutta secca è stato valutato ogni 2 o 4 anni. L’effetto protettivo di questi alimenti è stato associato anche ad un rischio ridotto di diabete mellito.

Leggi abstract:
Nut consumption and risk of pancreatic cancer in women
Y Bao, F B Hu, E L Giovannucci, B M Wolpin, M J Stampfer, W C Willett and C S Fuchs
Br J Cancer advance online publication, October 22, 2013; doi:10.1038/bjc.2013.665
Fonte: The Huffington Post

Mangiare noci allunga la vita

Un ampio studio di coorte realizzato da ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute a Brigham della Harvard School of Public Health, e pubblicato sul “New England Journal of Medicine”, ha dimostrato che una dieta che contempli l’assunzione regolare di una modesta quantità di noci, noccioline, mandorle e altra frutta oleosa sarebbe in grado di abbassare fino al 20 per cento dei tassi di mortalità per qualsiasi causa.

Lo studio ha utilizzato i dati raccolti in due tra i più ampi e importanti studi osservazionali di lungo periodo: il Nurses’ Health Study (relativo a 76.464 donne, seguite tra il 1980 e il 2010) e lo Health Professionals’ Follow-up Study (42.498 uomini, seguiti dal 1986 al 2010).

Sono stati usati metodi di analisi dei dati sofisticati e “In tutte le analisi fatte più sono le noci che le persone mangiavano, meno probabilità avevano di morire durante il periodo di follow-up di 30 anni“, ha spiegato Ying Bao, MD, ScD, del Brigham and Women’s Hospital.
In particolare coloro che mangiavano le noci meno di una volta alla settimana avevano una riduzione del 7 per cento della mortalità, se era una volta alla settimana, una riduzione dell’ 11 per cento; se 2-4 volte alla settimana, una riduzione del 13 per cento; se 5-6 volte alla settimana, una riduzione del 15 per cento, e se sette o più volte alla settimana, una riduzione del 20 per cento nel tasso di mortalità.

Leggi abstract:
Association of Nut Consumption with Total and Cause-Specific Mortality
Ying Bao, Walter C. Willett, Dr.P.H., and Charles S. Fuchs, + al.
N Engl J Med 2013; 369:2001-2011November 21, 2013 DOI: 10.1056/NEJMoa1307352

venerdì 6 dicembre 2013

Resveratrolo: può prevenire la sindrome metabolica

Continued Postnatal Administration of Resveratrol Prevents Diet-Induced Metabolic Syndrome in Rat Offspring Born Growth Restricted.
Dolinsky VW, Rueda-Clausen CF, Morton JS, Davidge ST, Dyck JRB

Commento
E’ stato osservato che la somministrazione di supplementi a base di resveratrolo può ridurre il rischio di sviluppare la sindrome metabolica in topi neonati, subito dopo il periodo di svezzamento. La prole in esame è nata da gravidanze complicate: gli autori hanno notato che la mancanza prenatale di ossigeno (nota come insulto ipossico) dato dalla restrizione della crescita intrauterina può portare ad un ritardo della crescita ed aumentare anche la suscettibilità a sviluppare la sindrome metabolica in età adulta. Durante lo studio, topi femmina incinta sono state esposte ad una condizione normale (21% di ossigeno) o ipossica (11,5% di ossigeno per simulare una restrizione della crescita): durante lo svezzamento, alla prole di sesso maschile è stata somministrata una dieta ricca di grassi (controllo) e una dieta ricca di grassi arricchita con il resveratrolo. Rispetto ai controlli, la prole con restrizione della crescita intrauterina ha sviluppato condizioni di sindrome metabolica più gravi, tra cui l’intolleranza al glucosio e la resistenza all’insulina, oltre che l’aumento della deposizione di grasso e una aumentata produzione di triacilgliceroli plasma e acidi grassi liberi. In questi topi, la somministrazione di resveratrolo riduce la deposizione di grasso addominale, migliora il profilo lipidico del plasma e l’accumulo di trigliceridi oltre che l’insulino-resistenza e l’intolleranza al glucosio.

ABSTRACT
A prenatal hypoxic insult leading to intrauterine growth restriction (IUGR) increases the susceptibility to develop metabolic syndrome (MetS) later in life. Since resveratrol (Resv), the polyphenol produced by plants, exerts insulin-sensitizing effects, we tested whether Resv could prevent deleterious metabolic effects of being born IUGR. Pregnant rats were exposed to either a normoxic (control; 21% O(2)) or a hypoxic (IUGR; 11.5% O(2)) environment during the last third of gestation. After weaning, male offspring were randomly assigned to receive either a high-fat (HF; 45% fat) diet or an HF diet with Resv (4 g/kg diet) for 9 weeks when various parameters of the MetS were measured. Relative to normoxic controls, hypoxia-induced IUGR offspring developed a more severe MetS, including glucose intolerance and insulin resistance, increased intra-abdominal fat deposition and intra-abdominal adipocyte size, and increased plasma triacylglycerol (TG) and free fatty acids, as well as peripheral accumulation of TG, diacylglycerol, and ceramides. In only IUGR offspring, the administration of Resv reduced intra-abdominal fat deposition to levels comparable with controls, improved the plasma lipid profile, and reduced accumulation of TG and ceramides in the tissues. Moreover, Resv ameliorated insulin resistance and glucose intolerance as well as impaired Akt signaling in the liver and skeletal muscle of IUGR offspring and activated AMP-activated protein kinase, which likely contributed to improved metabolic parameters in Resv-treated IUGR rats. Our results suggest that early, postnatal administration of Resv can improve the metabolic profile of HF-fed offspring born from pregnancies complicated by IUGR.

Resveratrolo: può migliorare la salute cardiovascolare

Acute resveratrol supplementation improves flow-mediated dilatation in overweight/obese individuals with mildly elevated blood pressure.

Wong RHX, Howe PRC, Buckley JD, Coates AM, Kunz I, Berry NM

Commento
L’assunzione quotidiana di supplementi di resveratrolo può migliorare la funzione vascolare e apportare benefici al sistema cardiovascolare. I fattori di rischio cardiovascolare, tra cui l'ipertensione e l'obesità, sono associati a cambiamenti strutturali e funzionali dell'endotelio dei vasi sanguigni. La dilatazione flusso-mediata dell'arteria brachiale è un marker della funzionalità dei vasi sanguigni e della salute cardiovascolare, ed è riconosciuta come un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari. In seguito a supplementazione con resveratrolo (30, 90, 270 mg) è stato osservato un miglioramento della dilatazione flusso-mediata (aumento lineare dose-dipendente) in soggetti obesi o in sovrappeso. Il meccanismo alla base di quanto osservato potrebbe essere correlato ad un aumento della biodisponibilità di NO, con conseguente azione vasodilatatrice sull’endotelio vasale.

ABSTRACT
Flow-mediated dilatation of the brachial artery (FMD) is a biomarker of endothelial function and cardiovascular health. Impaired FMD is associated with several cardiovascular risk factors including hypertension and obesity. Various food ingredients such as polyphenols have been shown to improve FMD. We investigated whether consuming resveratrol, a polyphenol found in red wine, can enhance FMD acutely and whether there is a dose-response relationship for this effect. 19 overweight/obese (BMI 25–35 kg m−2) men or post-menopausal women with untreated borderline hypertension (systolic BP: 130–160 mmHg or diastolic BP: 85–100 mmHg) consumed three doses of resveratrol (resVida™ 30, 90 and 270 mg) and a placebo at weekly intervals in a double-blind, randomized crossover comparison. One hour after consumption of the supplement, plasma resveratrol and FMD were measured. Data were analyzed by linear regression versus log10 dose of resveratrol. 14 men and 5 women (age 55 ± 2 years, BMI 28.7 ± 0.5 kg m−2, BP 141 ± 2/89 ± 1 mmHg) completed this study. There was a significant dose effect of resveratrol on plasma resveratrol concentration (P < 0.001) and on FMD (P < 0.01), which increased from 4.1 ± 0.8% (placebo) to 7.7 ± 1.5% after 270 mg resveratrol. FMD was also linearly related to log10 plasma resveratrol concentration (P < 0.01). Acute resveratrol consumption increased plasma resveratrol concentrations and FMD in a dose-related manner. This effect may contribute to the purported cardiovascular health benefits of grapes and red wine.

giovedì 7 novembre 2013

Fruttosio: tossico come l'alcool?

Come chiamereste una sostanza che può essere metabolizzata esclusivamente dal fegato e produce danni? Io lo chiamo “veleno”.

— Dr Robert Lustig.

Il fruttosio è metabolizzato esclusivamente dal fegato, e molte delle conseguenze del suo metabolismo sono negative.
In seguito alla conferenza tenuta dal Dr Robert Lustig (un endocrinologo pediatrico che lavora a University of California, San Francisco (UCSF ) dove insegna clinica pediatrica), riguardo al ruolo degli zuccheri, particolarmente del fruttosio, nell’insorgenza della sindrome metabolica (obesità e patologie associate), c’è stato un crescente interesse intorno al ruolo e al destino metabolico di questo zucchero e al suo legame con le malattie menzionate.

Nota bene: ci si riferisce principalmente al fruttosio raffinato e degli sciroppi a base di fruttosio. Quello che segue non è applicabile agli alimenti che lo contengono naturalmente, i quali sono composti da un complesso di nutrienti in grado di annullare e invertire gli effetti nocivi di questo zucchero, sempre purchè non se ne abusi. Il consumo di alimenti contenenti naturalmente un alto tenore di fruttosio non provoca alcuno degli effetti descritti in basso: frutta e verdura sono assolutamente salutari sempre purchè non se ne abusi, salvo patologie specifiche (es. deficit della fruttosio-1-fosfato-aldolasi meglio noto come “intolleranza al fruttosio”).

Il fruttosio ha effetti molto simili all’etanolo, giungendo a provocare addirittura, oltre al ruolo giocato nella predisposizione all’insulino resistenza, danni del tutto sovrapponibili all’abuso di alcol. Il fruttosio in eccesso sembra alla base dell’epidemia di sindrome metabolica a causa del suo particolare metabolismo, che risulta in deplezione intracellulare di ATP, produzione di acido urico, disfunzione endoteliale, stress ossidativo, lipogenesi e glicazione proteica.

Queste le accuse “in parole povere”:
aumento della resistenza insulinica-predisposizione al diabete (mediato dall’attivazione dell’enzima JUNK1 e dal deposito di acidi grassi nei muscoli)
neosintesi lipidica (DNL) con produzione di colesterolo “cattivo” e relativa dislipidemia.
aumento del deposito di grasso intra-addominale (mesentere-fegato) che può condurre al “fegato grasso”
aumento della pressione arteriosa (ipertensione)
diminuzione del senso di fame /aumento del consumo di alimenti calorici, che conduce ad aumento di peso (spiegazione in fondo).
aumento di acido urico (uricemia) che può portare allo sviluppo di gotta eipertensione
predisposizione ad aterosclerosi, malattie cardiache e, più in generale, alla sindrome metabolica.
attivazione dell’enzima JUNK1, una chinasi, che è un enzima infiammatorio. (infiammazione epatica, epatite steatosica)

“Praticamente pensi di bere zucchero ma bevi grassi” R. Lustig.

MA PERCHÉ IL FRUTTOSIO È PIÙ PERICOLOSO DEL GLUCOSIO E DELLO ZUCCHERO BIANCO?

-il saccarosio (zucchero bianco, ma anche zucchero di canna) è un disaccaride composto da una molecola di glucosio + una molecola di fruttosio.

-il fruttosio è metabolizzabile esclusivamente dal fegato, a differenza del glucosio che può essere metabolizzato (quindi utilizzato) da tutte le cellule del nostro organismo. Ciò comporta un notevole sovraccarico per quest’organo.

Il fruttosio, a differenza del glucosio, non può essere “depositato” come glucogeno (la riserva organica di glucosio, fatta di polimeri di glucosio, assolutamente innocuo per il fegato) ma deve essere metabolizzato per intero.

Per chi vuole approfondire sui meccanismi ma non abbastanza da leggersi la bibliografia, il metabolismo epatico del fruttosio comporta:
la produzione di acido urico (che la nostra specie non è in grado di metabolizzare in quanto non dotata di uricasi, un enzima in grado di rendere innocuo questo vero e proprio “prodotto di rifiuto nocivo”). un eccesso di acido urico è alla base della gotta, ma causa anche ipertensione ed è forse legato direttamente ad un aumento del rischio cardiovascolare. L’ipertensione da fruttosio, infatti, è annullata dalla somministrazione di allopurinolo, un farmaco antigottoso.
la produzione di grandi quantità di piruvato (ma anchedi xiluloso-5-fosfato), che conducono alla genesi di grandi quantità di citrato (sono intermedi metabolici) con conseguente aumento della produzione di una frazione molto dannosa del noto “colesterolo” (LDL a bassa densità / VLDL), in quantità tali che, se il consumo è eccessivo e cronico (es. bevande gassate a tavola o a scuola) ha luogo un deposito intraepatico che può portare all’instaurarsi del cosiddetto “fegato grasso” (steatosi epatica).
la liberazione di grandi quantità di acidi grassi che andranno a depositarsi nei muscoli aumentando la resistenza insulinica, il deposito di grassi a livello dei muscoli è la causa dell’atrofia muscolare da alcolismo.
aumento del deposito di grasso addominale (mesentere): è di dominio pubblico oramai che si tratti del “grasso più pericoloso”.
è uno zucchero ad elevato potere glicante (glicazione proteica con produzione di AGEs).
Gli AGE (che significa letteralmente “prodotto glicato finale”) si producono anche durante la cottura di alimenti contenenti proteine e zuccheri quindi esiste un loro apporto dietetico “tal quale”.
Il legame degli AGE al recettore “RAGE” (recettori per la glicazione finale), che noi esprimiamo in molti tessuti, comporta un aumentata predisposizione a l’arteriosclerosi, asma, artrismi,eventi cardiovascolari, nefropatie, retinopatie, peridontiti e neuropatie. A causa dell’instabilità molecolare del suo anello furanoso, il fruttosio, oltre alla glicazione, promuove la formazione dei ROS (specie reattive dell’ossigeno, forti ossidanti meglio noti come “radicali liberi” e, tra questi, i più potenti. esempi sono l’anione superossido, il perossido d’idrogeno e il radicale ossidrilico).
La battaglia contro i radicali liberi non è appannaggio unico della lotta contro l’invecchiamento, pur essendo importanti elementi del nostro sistema difensivo quando l’organismo li controlla, si tratta di uno dei meccanismi più importanti in gioco nel danno cellulare.
la resistenza insulinica, generata da complessi meccanismi esplorabili nella bibliografia riportata in basso, porterebbe ad un aumento di questo ormone in circolo (iperinsulinemia), con tutte le conseguenze nefaste che ciò comporta (per scoprirle basta una ricerca in rete, per riassumerle: ipoglicemia, diabete, sindrome dell’ovaio policistico, ipertrigliceridemia/dislipidemia, ipertensione, coronopatia, aumento del rischio cardiovascolare, aumento di peso, letargia forse mediata da un ipofunzione tiroidea.)
attivazione del JUNK-1 (c-Junf amino terminal kinase 1): oltre all’infiammazione provoca resistenza insulinica fosforilando il ser-307 quindi inattivando IRS1 (il recettore per l’insulina). JUNK-1 è un sospettato anche in medicina oncologica, in relazione al cancro al fegato e alla diffusione metastatica del carcinoma gastrico, ma non solo.
In modelli animali è stato provato che il fruttosio inibisce l’assorbimento di calcio ed i livelli di vitamina D ematica.

E SE VI SEMBRA GIA’ DI AVERNE SAPUTO ABBASTANZA DA EVITARE IL BARATTOLINO DI FRUTTOSIO, LE BEVANDE ZUCCHERATE E I PRODOTTI EDULCORATI CON FRUTTOSIO, SCIROPPO DI MAIS O SEMPLICEMENTE “ZUCCHERO”:

Solitamente il fruttosio si trova nei reparti dietetici, quindi il consumatore pensa che sostituire lo zucchero bianco con il fruttosio contribuisca a gestire il peso.

Abbiamo già visto come il deposito di grassi aumenti a causa del metabolismo di questo zucchero. Ma c’è un altro meccanismo: il fruttosio non è in grado di dare al cervello il segnale di sazietà, sia perché il cervello non è in grado di utilizzarlo sia perché questo non attiva la produzione di leptina, l’ormone che dice al cervello che siamo sazi.

MA IL FRUTTOSIO FA SEMPRE MALE?

NO: tutti questi effetti deleteri vengono annullati se il fruttosio viene consumato durante un’attività fisica intensa… ed è bene sottolineare “intensa”.

Lo sciroppo di mais è lo zucchero più spesso utilizzato nelle bevande artificiali e nei fast food… si trova nel kecth-up, nel pane, negli hamburger…

Alla luce di quanto detto emerge senz’altro che non ci sono motivi per preferire il fruttosio allo zucchero convenzionale, ci sono invece motivi per avere, nei confronti di questo zucchero, un atteggiamento cauto ed evitare di assumerlo, ma soprattutto di proporlo ai bambini tal quale o sotto forma di bevande zuccherate, merendine, salse etc. Per i più piccoli in particolare è comunque meglio scegliere dolcificanti naturali (non raffinati, quindi con tutto il “complesso” di nutrienti con i quali la natura li ha concepiti, come la frutta secca, il malto e, forse, lo sciroppo d’acero o d’agave se non troppo trattati e biologici).


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE




















giovedì 19 settembre 2013

Alzheimer, colpevoli alimentazione e stile di vita scorretti?

L'accumulo di rame potrebbe essere una delle cause della malattia. Sotto accusa anche l'alcol; meglio uno stile di vita sano e un'alimentazione attenta

L'Alzheimer è una patologia neurodegenerativa grave e disabilitante che colpisce oggi circa il 5 percento della popolazione sopra i 60 anni. Si tratta di una patologia provocata da una alterazione delle funzioni cerebrali, che comporta una serie di difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività, in quanto colpisce sia la memoria che le funzioni cognitive, e questo si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare.

Ad oggi non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia, ma solo trattamenti sintomatici. Non si conosce nemmeno la causa scatenante della patologia, anche se è ormai noto che essa sia causata dall'accumulo delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale.
Alcuni recenti studi hanno ipotizzato che le cause dell'Alzheimer dipendano da fattori ambientali.

IL RAME NEL CERVELLO - Secondo uno studio pubblicato poche settimane fa sulla prestigiosa rivista Proceedings of National Academy of Sciences l'accumulo di rame nel sangue potrebbe favorire l'insorgenza e la progressione dell'Alzheimer. Secondo i ricercatori il pericolo è dato dall'accumulo nel metallo nel tempo, che a lungo andare può compromettere la produzione del peptide beta-amiloide, responsabile della malattia.
Il rame però è un metallo comune, presente in molti cibi, e a volte anche nell'acqua. E' un metallo 'utile', serve infatti allo sviluppo osseo, del tessuto connettivo e anche allo stesso sistema nervoso. Solo l'eccesso di rame sembra dunque essere pericoloso, perché può causare la rottura della barriera ematoencefalica e interrompere la funzione della proteina Lrp1, normalmente deputata allo smaltimento del beta-amiloide, che così si accumula danneggiando il sistema nervoso.

Non è ancora possibile sostenere che l'eccesso di rame sia una causa dell'Alzheimer, perché la ricerca è stata condotta sul modello animale. Nel frattempo però lo studio suggerisce la necessità di trovare un equilibrio tra il consumo eccessivo e il consumo eccessivamente ridotto di questo metallo.

LE ABITUDINI NEGATIVE - Il rame non è l'unico caso di sostanza 'potenzialmente dannosa'. L 'Alzheimer Society inglese ha infatti individuato una correlazione tra l'alcol e le demenze, tra cui l'Alzheimer. Una ricerca recente ha infatti letteralmente processato il cosiddetto 'binge drinking': l'assunzione di 5 o più bevande alcoliche in un intervallo di tempo più o meno breve, molto di moda tra le generazioni dei più giovani. Sembra chiaro quindi che se un bicchiere di vino durante i pasti può essere benefico, l'eccessivo uso di alcol danneggia il cervello.

L'ALIMENTAZIONE - Come possiamo dunque pensare che la nostra alimentazione non condizioni la salute? L'alimentazione sana e lo stile di vita attivo ci fanno stare bene, quindi è probabile che possano aiutarci a stare bene più a lungo.
Via libera quindi a una dieta equilibrata, poca carne rossa (ricca di rame), frutta fresca e verdura di stagione, possibilmente condita con dell'ottimo olio extravergine di oliva, ovviamente meglio italiano. A questo proposito, un recente studio sostiene infatti che l'olio d'oliva sia addirittura in grado di ridurre il rischio di sviluppare la malattia neurodegenerativa. Pubblicata sulla rivista ACS Chemical Neuroscience la ricerca dimostra che l'oleocantale (un componente dell'olio d'oliva) sembra essere in grado di evitare la formazione delle proteine beta-amiloidi, associate alla comparsa della patologia.

Sindrome metabolica e neurodegenerazione


Neuroscienze e Nutrizione: Alzheimer, il diabete di tipo 3 - Il Diabete può portare al Parkinson 


La classe medica si prepara all'epidemia del XXI secolo
Le previsioni dei ricercatori parlano chiaro: la demenza, dovuta principalmente alla malattia di Alzheimer, interesserà 36 milioni di persone nel mondo nel 2020, 66 milioni nel 2030 e 115 milioni nel 2040. A questi casi si aggiungeranno milioni di casi di altre patologie neurodegenerative, principalmente la malattia di Parkinson, ma anche i parkinsonismi e la sindrome laterale amiotrofica (SLA).
Ancora oggi non conosciamo bene le cause delle malattie neurodegenerative, ma sappiamo che concorrono fattori genetici ed ambientali, tra cui l’alimentazione. Ecco il motivo per la fondazione dell’ Associazione Brain e Malnutrition (“Cervello e Malnutrizione”) che promuove incontri tra specialisti al fine di migliorare la comunicazione e favorire lo studio delle relazioni tra malattie neurodegenerative, metabolismo e nutrizione.
Durante l’incontro “Sindrome metabolica e Neurodegenerazione” neurologi, diabetologi e nutrizionisti hanno discusso le possibili interazioni tra malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, SLA, patologie diabete, altre patologie metaboliche (per sindrome metabolica si intende la presenza di un gruppo di fattori rischio per eventi cardiovascolari come l'infarto del miocardio e l'ictus, quali obesità addominale, riduzione del colosterolo cosiddetto "buono" ovvero HDL, aumento della glicemia e resistenza all'insulina) ed alimentazione. E’ stato stabilito quanto segue:
· Vi è una forte correlazione tra resistenza all’insulina e malattia di Alzheimer, tanto che si può parlare di diabete di III tipo. L’ipotesi più accreditata riguardo al meccanismo d’azione è che l’assenza di insulina influenza negativamente la fluidità delle membrane delle cellule nervose e quindi anche le sinapsi (le connessioni tra le singole cellule nervose)
· Il diabete è un fattore di rischio per malattia di Parkinson e contribuisce alla sua progressione, ma non è vero il contrario ovvero la malattia di Parkinson non è un fattore di rischio per diabete
· La SLA è caratterizzata da una notevole accelerazione del metabolismo
· La demenza è un fattore di rischio per episodi ipoglicemici, ma non è vero il contrario
· Sembra che le statine, importanti farmaci per la riduzione dei livelli di colesterolo nel sangue, offrano protezione contro lo sviluppo di malattia di Parkinson, ma solo nei soggetti aventi meno di 60 anni di età; è possibile che questo sia dovuto al fatto che riducono l’accumulo di alfa-sinucleina, la proteina che si accumula nei neuroni malati di Parkinson
· E’ stata ribadita l’importanza della dieta mediterranea, soprattutto degli antiossidanti contenuti nella frutta e nella verdura, e dei grassi omega-3 nel pesce
Per ulteriori informazioni e le singole relazioni presentate al convegno, che è stato sponsorizzato anche dalla Fondazione Grigioni, visitare il sito http://www.bm-association.it/

venerdì 16 agosto 2013

Succo d'uva: mostra dei benefici a livello cerebrale

Neuroscienze e Nutrizione: il succo d'uva mostra dei benefici a livello cerebrale

Journal of Agricultural and Food Chemistry. 2012. Published online ahead of print, ASAP Article, DOI: 10.1021/jf300277g
Concord Grape Juice Supplementation and Neurocognitive Function in Human Aging.
Krikorian R, Boespflug EL, Fleck DE, Stein AL, Wightman JD, Shidler MD, Sadat-Hossieny S


Commento
Il succo d’uva è una ricca fonte di polifenoli, potenti antiossidanti in grado di esercitare un effetto antiossidante. Precedentemente è stato sottolineato che il suo consumo riduce l’invecchiamento a livello neuronale nei ratti (Nutrition, 2006, Vol. 22, pp 295-302), mentre un altro studio di gruppo ha rilevato che il consumo giornaliero può migliorare la memoria nelle persone anziane con lieve compromissione della funzione cerebrale (British Journal of Nutrition, 2010, vol. 103, pp 730-734). In uno studio recente sono state reclutate 21 persone con un’età media di 76 anni, tutti aventi un lieve decadimento cognitivo. In seguito all’assunzione di una bevanda di succo d’uva pari a 6,3-7,8 ml/kg è stato osservato un minor numero di errori in compiti dove era richiesto uno sforzo mnemonico. Inoltre, la risonanza magnetica ha mostrato una maggiore attivazione delle regioni anteriore e posteriore sul lato destro del cervello e quindi un aumento dell’attività neuronale. Quindi il consumo di un bicchiere di succo d’uva alla dieta quotidiana può migliorare le prestazioni della memoria e migliorare la funzionalità neurocognitiva di persone anziane con declino della memoria breve.

ABSTRACT
Polyphenol compounds found in berry fruits, in particular flavonoids, have been associated with health benefits including improvement in cognition and neuronal function with aging. Concord grape juice contains polyphenols, including anthocyanins and flavanols, and previous research has shown improvement in a number of human health conditions with grape juice supplementation. In the current study, older adult subjects with mild cognitive impairment consumed Concord grape juice or placebo for 16 weeks and were administered assessments of memory function and brain activation pre- and postintervention. Participants who consumed grape juice showed reduced semantic interference on memory tasks. Relatively greater activation in anterior and posterior regions of the right hemisphere was also observed with functional magnetic resonance imaging in the grape juice treated subjects. These findings provide further evidence that Concord grape juice can enhance neurocognitive function in older adults with mild memory decline.

Olio di oliva: effetti favorevoli nella malattia di Alzheimer

Neuroscienze e Nutrizione: Olio di oliva ed effetti favorevoli nella malattia di Alzheimer

Toxicology and Applied Pharmacology. 2009; 240:189–197. Alzheimer's-associated Aβ oligomers show altered structure, immunoreactivity and synaptotoxicity with low doses of oleocanthal
Pitt J, Roth W, Lacor P, Smith III AB, Blankenship M, Velasco P, De Felice F, Breslin P, Klein WL



Commento
L’oleocantale, composto contenuto nell’olio extravergine d’oliva, potrebbe impedire che le cellule nervose vengano compromesse, e potrebbe quindi scongiurare il morbo di Alzheimer. Da uno studio in vitro si è visto che questa sostanza impedisce il legame tra alcune proteine tossiche dette ADDLs, responsabili del malfunzionamento delle cellule nervose nei pazienti affetti da questa patologia (perdita di memoria, morte delle cellule e alterazione globale delle funzioni cerebrali) e le sinapsi dei neuroni ippocampali.

ABSTRACT
It now appears likely that soluble oligomers of amyloid-β1–42 peptide, rather than insoluble fibrils, act as the primary neurotoxin in Alzheimer's disease (AD). Consequently, compounds capable of altering the assembly state of these oligomers (referred to as ADDLs) may have potential for AD therapeutics. Phenolic compounds are of particular interest for their ability to disrupt Aβ oligomerization and reduce pathogenicity.
This study has focused on oleocanthal (OC), a naturally-occurring phenolic compound found in extra-virgin olive oil. OC increased the immunoreactivity of soluble Aβ species, when assayed with both sequence- and conformation-specific Aβ antibodies, indicating changes in oligomer structure.
Analysis of oligomers in the presence of OC showed an upward shift in MW and a ladder-like distribution of SDS-stable ADDL subspecies. In comparison with control ADDLs, oligomers formed in the presence of OC (Aβ-OC) showed equivalent colocalization at synapses but exhibited greater immunofluorescence as a result of increased antibody recognition. The enhanced signal at synapses was not due to increased synaptic binding, as direct detection of fluorescently-labeled ADDLs showed an overall reduction in ADDL signal in the presence of OC. Decreased binding to synapses was accompanied by significantly less synaptic deterioration assayed by drebrin loss. Additionally, treatment with OC improved antibody clearance of ADDLs.
These results indicate oleocanthal is capable of altering the oligomerization state of ADDLs while protecting neurons from the synaptopathological effects of ADDLs and suggest OC as a lead compound for development in AD therapeutics.

Esiste un legame tra dieta e depressione?

Neuroscienze e Nutrizione: può esistere un legame tra dieta e depressione?

La depressione è diagnosticata come una vera malattia, categorizzata dal DSM, Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali, come un disturbo dell’umore.
Nonostante sia ancora di eziologia sconosciuta, ma ascrivibile per la maggior parte a cause sociali, psicologiche e disturbi di vario tipo, nel tempo si è potuta valutare una concausa dovuta a squilibri nutrizionali e carenze fisiologiche, dovute ad una alimentazione scorretta o ad una dieta squilibrata.
È come dire che esiste una diretta correlazione tra alimenti e comportamenti.
Alcuni studi realizzati a metà degli anni Settanta, hanno messo a punto una teoria, detta Monoaminergica, capace di individuare due tipi di depressione, distinguibili a seconda del neurotrasmettitore che risulterebbe carente nel sistema nervoso centrale. Abbiamo così le depressioni derivanti da un deficit di serotonina e quelle derivanti da un deficit di noradrenalina.
In entrambi i casi, la carenza di questi elementi è potenzialmente collegabile a squilibri elettrolitici presenti in seguito a diete rigide o carenti di alcuni alimenti.
Ipotesi, questa, affiancata da una teoria opposta, secondo la quale lo stato depressivo sarebbe determinato da una iperattività dovuta all’eccesso degli stessi neurotrasmettitori incriminati.
Molti studi dimostrano che la correlazione tra alimentazione e depressione esiste davvero, soprattutto in riferimento alla carenza di determinati elementi come ferro, selenio e acido folico. Una dieta priva di questi elementi determina veri e propri disturbi del comportamento.
Da qui, le cosiddette “diete del buonumore”, che contengono gli alimenti che ne sono ricchi.
La carenza di ferro, è dimostrato, altera la disponibilità di ossigeno che arriva al cervello, compromettendone la funzione cognitiva, e scatenando, indirettamente, uno stato depressivo. Dunque, sì alle diete ricche di tè, cacao amaro, frattaglie, radicchio verde e crusca di grano, che ne contengono più di dieci milligrammi l’etto.
Il selenio: una dieta che ne sia carente, altera il tono dell’umore e tende a farlo precipitare. Inseriamo allora pesci e frattaglie, ma anche prodotti cerealicoli e lattiero caseari. Povere ne sono invece frutta e verdura. Alcune ricerche hanno evidenziato che una dieta con molto selenio presenta casi di depressione ridotti, mentre una dieta che ne è povera conta casi numerosi di pazienti che ne sono colpiti.
Lo zinco, invece coinvolto nella modulazione della trasmissione degli impulsi, agisce come neurotrasmettitore. Ecco perché una sua eventuale carenza provoca dei disturbi nel tono dell’umore. Le diete del buonumore devono pertanto essere ricche di uova e carne, pesce, cereali e latte e derivati.
L’acido folico, detto anche folacina, vitamina B9, o vitamina M, è fondamentale per il sistema nervoso centrale e una carenza ne provoca disturbi dell’umore. Lo stesso per quanto riguarda la vitamina B12, che, come accade per il ferro, è coinvolta nel trasporto dell’ossigeno verso il cervello.
Una buona dieta, insomma, per evitare squilibri del tono dell’umore, dovrebbe contenere gli elementi citati, oltre ad un buon contenuto di vitamine E, A e C, che svolgono il ruolo di antiossidante, che cattura i radicali liberi sviluppati dal cervello nel suo processo di ossigenazione.

Cacao utile contro Alzheimer e Parkinson

Neuroscienze e Nutrizione: Cacao utile contro Alzheimer e Parkinson

Contrasta la morte dei neuroni


MILANO - Le abitudini alimentari e la presenza di antiossidanti nella dieta possono giocare un ruolo sull'incidenza delle patologie neurodegenerative come l'Alzheimer e il Parkinson. In particolare, i polifenoli del cacao stimolano la neuroprotezione, attivando la sopravvivenza del fattore neutrofico cerebrale Bdnf (che contribuisce a sostenere la sopravvivenza dei neuroni esistenti, e favorire la crescita di nuovi). E' quanto ha scoperto uno studio dell'Istituto di Ricerca Sbarro di Philadelphia, dell'Universita' di Siena e dell'Aquila, pubblicato sul 'Journal of Cellular Biochemistry'.

''I nostri studi - spiega Annamaria Cimini dell'ateneo aquilano - dimostrano, per la prima volta, che i polifenoli del cacao non agiscono solo come un mero antiossidante, perche', direttamente o indirettamente, sono capaci di attivare il percorso di sopravvivenza del Bdnf, contrastando la morte neuronale''. Comprendere il potenziale di prevenzione e il meccanismo d'azione di un alimento ''puo' rappresentare un mezzo per limitare la progressione del deterioramento cognitivo'', aggiunge Antonio Giordano, direttore dell'Istituto Sbarro per la Ricerca sul Cancro e Medicina Molecolare. Questi risultati, secondo i ricercatori, possono avere importanti implicazioni per la prevenzione del deterioramento cognitivo negli anziani e nelle malattie neurodegenerative, contrastando la progressione della malattia.

mercoledì 15 maggio 2013

Omega-3: benefici contro ansia nell’uomo

Neuroscienze e nutrizione: Omega-3: benefici contro ansia nell’uomo

Omega-3 supplementation lowers inflammation and anxiety in medical students: A randomized controlled trial.

English/Italiano

American Journal of Clinical Nutrition. 2010;91: 757-770
Kiecolt-Glaser JK., Belury MA, Andridge R, Malarkey WB, Glaser R

ABSTRACT

Observational studies have linked lower omega-3 (n-3) polyunsaturated fatty acids (PUFAs) and higher omega-6 (n-6) PUFAs with inflammation and depression, but randomized controlled trial (RCT) data have been mixed. To determine whether n-3 decreases proinflammatory cytokine production and depressive and anxiety symptoms in healthy young adults, this parallel group, placebo-controlled, double-blind 12-week RCT compared n-3 supplementation with placebo. The participants, 68 medical students, provided serial blood samples during lower-stress periods as well as on days before an exam. The students received either n-3 (2.5 g/d, 2085 mg eicosapentaenoic acid and 348 mg docosahexanoic acid) or placebo capsules that mirrored the proportions of fatty acids in the typical American diet. Compared to controls, those students who received n-3 showed a 14% decrease in lipopolysaccharide (LPS) stimulated interleukin 6 (IL-6) production and a 20% reduction in anxiety symptoms, without significant change in depressive symptoms. Individuals differ in absorption and metabolism of n-3 PUFA supplements, as well as in adherence; accordingly, planned secondary analyses that used the plasma n-6:n-3 ratio in place of treatment group showed that decreasing n-6:n-3 ratios led to lower anxiety and reductions in stimulated IL-6 and tumor necrosis factor alpha (TNF-α) production, as well as marginal differences in serum TNF-α. These data suggest that n-3 supplementation can reduce inflammation and anxiety even among healthy young adults. The reduction in anxiety symptoms associated with n-3 supplementation provides the first evidence that n-3 may have potential anxiolytic benefits for individuals without an anxiety disorder diagnosis.

Commento

La maggior parte degli studi scientifici inerenti gli omega-3 si sono concentrati sui benefici cardiovascolari, ma un numero crescente di studi riportano i potenziali effetti a livello cognitivo e comportamentale. Una dose giornaliera di 2.5 g di omega-3 può ridurre i sintomi ansiosi di circa il 20% in individui senza una diagnosi di disturbo d'ansia. Nello studio sono stati reclutati 68 studenti di medicina i quali hanno assunto capsule contenenti oli ricchi di omega-3 (contenenti 2085 mg di EPA e 348 mg DHA): si è osservata una riduzione del 14% dei livelli di produzione di interleuchina pro-infiammatoria 6 (IL-6), nonché una riduzione del 20% dei sintomi ansiosi. Gli omega-3 promuovono la secrezione di CRH, l’ormone responsabile del rilascio di corticotropina e quindi correlato alla risposta allo stress: CRH stimola l'amigdala, una regione del cervello che controlla stati di paura ed ansia.

La Vitamina D può ridurre la depressione nelle donne

Neuroscienze e nutrizione: La Vitamina D può ridurre la depressione nelle donne

Vitamin D intake from foods and supplements and depressive symptoms in a diverse population of older women.

English/Italiano

Bertone-Johnson ER, Powers SI, Spangler L, Brunner RL, Michael YL, Larson JC, Millen AE, Bueche MN, Salmoirago-Blotcher E, Liu S, Wassertheil-Smoller S, Ockene JK, Ockene I, Manson JE.

Am J Clin Nutr. 2011. Doi: 10.3945/ajcn.111.017384

ABSTRACT
Vitamin D may plausibly reduce the occurrence of depression in postmenopausal women; however, epidemiologic evidence is limited, and few prospective studies have been conducted. We conducted a cross-sectional and prospective analysis of vitamin D intake from foods and supplements and risk of depressive symptoms. Study participants were 81,189 members of the Women's Health Initiative (WHI) Observational Study who were aged 50-79 y at baseline. Vitamin D intake at baseline was measured by food-frequency and supplement-use questionnaires. Depressive symptoms at baseline and after 3 y were assessed by using the Burnam scale and current antidepressant medication use. After age, physical activity, and other factors were controlled for, women who reported a total intake of ≥800 IU vitamin D/d had a prevalence OR for depressive symptoms of 0.79 (95% CI: 0.71, 0.89; P-trend < 0.001) compared with women who reported a total intake of <100 IU vitamin D/d. In analyses limited to women without evidence of depression at baseline, an intake of ≥400 compared with <100 IU vitamin D/d from food sources was associated with 20% lower risk of depressive symptoms at year 3 (OR: 0.80; 95% CI: 0.67, 0.95; P-trend = 0.001). The results for supplemental vitamin D were less consistent, as were the results from secondary analyses that included as cases women who were currently using antidepressant medications. Overall, our findings support a potential inverse association of vitamin D, primarily from food sources, and depressive symptoms in postmenopausal women. Additional prospective studies and randomized trials are essential in establishing whether the improvement of vitamin D status holds promise for the prevention of depression, the treatment of depression, or both.

Commento
Un corpo esposto a luce solare produce vitamina D. Nei Paesi del Nord i livelli di esposizione sono così deboli durante i mesi invernali che il corpo non produce questa vitamina. Il che significa che i supplementi dietetici e gli alimenti fortificati sono l’unico modo per aumentare la sua assunzione. L'assunzione di una quantità superiore a 800 unità internazionali, tramite il consumo di alimenti che la contengono, è associata ad una riduzione del 21% dei sintomi depressivi nelle donne durante il periodo della menopausa. Questa osservazione è relativa ad uno studio condotto su 81.189 partecipanti di sesso femminile. L’assunzione della vitamina è stata misurata all'inizio dello studio mentre i sintomi della depressione sono stati testati utilizzando una scala ben consolidata.

mercoledì 20 marzo 2013

Polpa di açai: ha effetti neuroprotettivi

Polpa di açai: ha effetti neuroprotettivi Italiano/English 


Journal of Agriculture and Food Chemistry. 2012; 60:1084-93.

Anthocyanin-rich açai (Euterpe oleracea Mart.) fruit pulp fractions attenuate inflammatory stress signaling in mouse brain BV-2 microglial cells.

Poulose SM, Fisher DR, Larson JA, Bielinski DF, Rimando AM, Carey AN, Schauss AG, Shukitt-Hale B.

ABSTRACT
Age-related diseases of the brain compromise memory, learning, and movement and are directly linked with increases in oxidative stress and inflammation. Previous research has shown that supplementation with berries can modulate signaling in primary hippocampal neurons or BV-2 mouse microglial cells. Because of their high polyphenolic content, fruit pulp fractions of açai ( Euterpe oleracea Mart.) were explored for their protective effect on BV-2 mouse microglial cells. Freeze-dried açai pulp was fractionated using solvents with different polarities and analyzed using HPLC for major anthocyanins and other phenolics. Fractions extracted using methanol (MEOH) and ethanol (ETOH) were particularly rich in anthocyanins such as cyanidin, delphinidin, malvidin, pelargonidin, and peonidin, whereas the fraction extracted using acetone (ACE) was rich in other phenolics such as catechin, ferulic acid, quercetin, resveratrol, and synergic and vanillic acids. Studies were conducted to investigate the mitigating effects of açai pulp extracts on lipopolysaccharide (LPS, 100 ng/mL) induced oxidative stress and inflammation; treatment of BV-2 cells with acai fractions resulted in significant (p < 0.05) decreases in nitrite production, accompanied by a reduction in inducible nitric oxide synthase (iNOS) expression. The inhibition pattern was emulated with the ferulic acid content among the fractions. The protection of microglial cells by açai pulp extracts, particularly that of MEOH, ETOH, and ACE fractions, was also accompanied by a significant concentration-dependent reduction in cyclooxygenase-2 (COX-2), p38 mitogen-activated protein kinase (p38-MAPK), tumor necrosis factor-α (TNFα), and nuclear factor κB (NF-κB). The current study offers valuable insights into the protective effects of açai pulp fractions on brain cells, which could have implications for improved cognitive and motor functions.

Commento
L’açai è una bacca tropicale, avente l’aspetto di un acino di uva, di colore viola, ricca di polifenoli. Ha potenti proprietà antiossidanti grazie ad un elevato livello di antociani, pigmenti che sono presenti anche nel vino rosso. Studi in vitro hanno dimostrato che gli estratti di açai mostrano una potente azione antiinfiammatoria, anti-cancerogena, antiossidante e neuro-protettiva. Possono anche aumentare la protezione cellulare verso le specie reattive dell’ossigeno. In un recente studio è stato esaminato l’effetto di questo frutto sulle cellule del cervello e sui meccanismi di segnalazione coinvolti nella comunicazione inter-neuronale. Questa indagine è stata condotta sulle cellule cerebrali di topo: è stato evidenziato che la polpa potrebbe combattere alcuni dei mediatori infiammatori ed ossidativi correlati all’invecchiamento cellulare. Le cellule murine microgliali (un tipo di cellule immunitarie presenti nel cervello che proteggono i neuroni da stress ossidativo ed infiammazione) quando stressate (esempio stress indotto dal lipopolisaccaride LPS), si attivano e producono molecole infiammatorie quali citochine, superossido e ossido nitrico, portando ad una cascata di proteine pro-infiammatorie e alla morte dei neuroni. Il pre-trattamento di queste cellule con la polpa dell’açai ha un effetto benefico sui markers pro-infiammatori, diminuendo la produzione di iNOS, COX-2, la fosforilazione di NF-kB, il rilascio di TNFa e l’attivazione della p38-MAP.

Associazione tra l’uso materno di acido folico e il rischio di disturbi autistici nei bambini

La supplementazione giornaliera con acido folico nel periodo periconcezionale riduce il rischio di difetti del tubo neurale. Non solo, altre evidenze scientifiche sottolineano che tale assunzione possa essere associata ad una riduzione del rischio di ulteriori disturbi dello sviluppo neurologico che si evidenziano solo dopo la nascita. Infatti, un recente studio norvegese (Norwegian Mother and Child Cohort Study, MoBa) (JAMA 2011;306(14):1566-73) condotto su 38.954 bambini ha evidenziato che l’assunzione materna di supplementi a base di acido folico, dalla 4a settimana antecedente alla 8asettimana successiva all’inizio della gravidanza, è associata ad un minore rischio di grave ritardo nel linguaggio nei bambini all’età di 3 anni.

Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’associazione tra l’uso materno di folic acid supplements nel periodo periconcenzionale (da 4 settimane prima a 8 settimane dopo l’inizio della gravidanza) e il rischio di disturbi dello spettro autistico (autism spectrum disorders, ASDs) [autismo, sindrome di Asperger, disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato (pervasive developmental disorder not otherwise specified, PDD-NOS)] nei bambini.
A tal fine è stata esaminata la coorte dello studio MoBa, che inizialmente includeva 109.020 bambini, nati tra il 1999 e il 2009, le cui madri avevano compilato un questionario, alla 18a settimana di gestazione, relativo all’assunzione di preparati polivitaminici o integratori contenenti acido folico.
I dati, estrapolati dallo studio MoBa, sono stati raccolti e analizzati fino al 31 marzo 2012. I casi di ASD sono stati identificati mediante la somministrazione di un questionario alle madri dei bambini di 3, 5 e 7 anni e mediante l’uso del Registro Norvegese dei Pazienti (che raccoglie i dati relativi alle diagnosi dei pazienti che hanno avuto accesso a qualsiasi ospedale o clinica della Norvegia). I bambini con presunta ASD sono stati sottoposti ad una accurata valutazione clinica, utilizzando due strumenti diagnostici quali l’Autism Diagnostic Interview Revised* e l’Autism Diagnostic Observation Schedule**. L’esposizione materna a folic acid supplements è stata esaminata dalla 4a settimana antecedente alla 8a settimana successiva all’inizio della gravidanza. La data di inizio gravidanza corrispondeva al primo giorno dell’ultima mestruazione prima del concepimento. In questo studio sono stati considerati anche vari fattori di confondimento, che potrebbero aver influito sull’associazione tra utilizzo di acido folico e rischio di ASD, come grado d’istruzione e età dei genitori, gravidanza programmata, abitudine al fumo da parte della madre in gravidanza, indice di massa corporea (IMC) della madre, aumento del peso alla 18a e 30a settimana, parità e anno di nascita.
Per il calcolo dell’Odds ratio (OR) con un intervallo di confidenza (IC) al 95% relativo all’associazione acido folico e rischio di ASD, è stato utilizzato un modello di regressione logistica, aggiustato anche per anno di nascita, grado d’istruzione materna e parità. Tenuto conto, nell’ambito del campione in studio, della prevalenza complessiva del disturbo autistico dello 0,13% e della percentuale di pazienti esposte all’acido folico del 68% (con un livello di significatività pari a 0,05%), era necessaria una potenza del 93% per calcolare un OR di 0,50, una potenza del 73% per calcolare un OR di 0,60, una potenza del 45% per calcolare un OR di 0,70 e una potenza del 18% per calcolare un OR di 0,80.
Per valutare la possibilità di fattori di confondimento residui, è stato valutato anche l’effetto sull’associazione in base all’eventuale presenza di patologie materne e all’uso di farmaci durante la gravidanza. Il modello di regressione è stato, quindi, aggiustato anche per ansia, depressione, epilessia, preclampsia e diabete durante la gravidanza. E’ stata, inoltre, condotta un’analisi secondaria sull’associazione tra uso materno di integratori contenenti olio di pesce e il rischio di ASD, per stabilire se l’associazione era specificata per l’acido folico o simile rispetto ad altri supplementi. Un totale di 97.179 partecipanti è risultato eleggibile per l’analisi finale. Tuttavia, per isolare l’esposizione a supplementi a base di acido folico da altri fattori influenti sul rischio di ASD, sono stati esclusi i bambini nati prima della 32a settimana di gestazione, quelli con peso alla nascita <2,5 kg e le nascite gemellari. Sono stati, inoltre, esclusi i bambini le cui madri non hanno riportato le informazioni relative all’assunzione di supplementi nel periodo considerato. Quindi, un totale di 12.003 bambini sono stati esclusi per una o più motivazioni.
Il campione finale includeva 85.176 bambini con un’età media di 6,4 anni nei 10,2 anni presi in considerazione (intervallo d’età = 3,3 anni). Nella coorte in studio, 270 (0,32%) bambini avevano una diagnosi di ASD, di cui 114 (0,13%) con disturbo autistico, 56 (0,07%) con sindrome di Asperger e 100 (0,12%) con PDD-NOS.
Nel periodo d’esposizione che va dalla 4a alla 1a settimana prima dell’inizio della gravidanza, il 32,9% delle madri assumeva acido folico. Tale percentuale aumentava al 70,7% nell’intervallo dalla 9a alla 12a settimana dopo l’inizio della gravidanza per poi ridursi al 45,8% dalla 13a alla 16a settimana. Le madri che assumevano acido folico nel periodo in studio considerato (dalla 4a settimana prima alla 8a settimana dopo l’inizio della gravidanza) presentavano maggiormente le seguenti caratteristiche: livello d’istruzione maggiore, IMC < 25, gravidanza programmata, non fumatrici e alla prima esperienza gestazionale. I risultati della regressione logistica indicavano un’associazione inversa tra l’assunzione di acido folico e il rischio di disturbo autistico. Il disturbo autistico era presente nello 0,10% (64/61.042) dei bambini le cui madri avevano assunto acido folico e nello 0,21% (50/24.134) dei bambini le cui madri non avevano assunto tale supplemento. L’OR aggiustato per il disturbo autistico era di 0,61 (IC 95%: 0,41-0,90) nei bambini nati da madri utilizzatrici di acido folico. Tuttavia, l’associazione inversa non si osservava nelle successive settimane di gravidanza; infatti, l’OR aggiustato alla 22asettimana era di 0,96 (IC 95%: 0,60-1,55) nelle madri che assumevano ≥ 400 mg di acido folico e 1,02 (IC 95%: 0,62-1,67) nelle madri che assumevano < 400 mg. Un’analisi simile è stata condotta al fine di stabilire un’eventuale associazione tra il rischio di disturbo autistico e l’assunzione di integratori contenenti olio di pesce, ma in tal caso non è risultata alcuna correlazione (OR aggiustato=1,29; IC 95%: 0,88-1,89). La sindrome di Asperger e il PDD-NOS erano presenti rispettivamente nello 0,12% (21/17.218) e nello 0,15% (58/39.543) dei bambini le cui madri avevano assunto acido folico e nello 0,21% (27/12.899) e nello 0,17% (33/19.649) dei bambini le cui madri non avevano assunto tale supplemento. L’OR aggiustato per il disturbo autistico era rispettivamente di 0,65 (IC 95%: 0,36-1,16) e di 1,04 (IC 95%: 0,66-1,63) nei bambini nati da madri utilizzatrici di acido folico. L’analisi stratificata per livello di linguaggio e anno di nascita dei bambini ha, infine, mostrato che l’associazione inversa tra autismo e assunzione di acido folico diventa maggiore nei bambini con un grave ritardo del linguaggio rispetto a quelli con ritardo moderato o privi di ritardo, ma anche nei bambini con età maggiore (nati tra 2002-2004) rispetto a quelli più piccoli (nati tra 2005-2008).

Sulla base dei risultati di questo studio, si evidenzia che l'utilizzo materno di supplementi a base di acido folico nel periodo compreso tra le 4 settimane prima e le 8 settimane dopo il concepimento nella coorte MoBa è associato ad un rischio ridotto di sviluppare disturbo autistico (la forma più grave di ASD) nei bambini. 

I punti di forza dello studio riguardano il disegno, la grandezza del campione esaminato e la raccolta prospettica dei dati, così come la combinazione di più fonti (screening e Registro) per identificare i casi di ASD. I dati di esposizione numerosi e accurati hanno permesso la differenziazione tra le varie tipologie di supplementi e tra le varie fasi gestazionali. Tuttavia, un limite importante dello studio riguarda la determinazione incompleta, nella coorte in studio, dei casi di ASD. Secondo gli autori, i risultati ottenuti non stabiliscono una correlazione causale tra l’assunzione di acido folico e il disturbo autistico, ma forniscono un razionale per condurre ulteriori analisi, indagando anche su potenziali fattori genetici e altri meccanismi biologici che potrebbero spiegare l’associazione inversa.
Nell’editoriale di accompagnamento, gli autori sottolineano che con l’assunzione di 200-400 mg/die di acido folico (dosaggio tipico degli integratori multivitaminici venduti in Norvegia) la riduzione del rischio di disturbi autistici è limitato al periodo periconcezionale. Tuttavia, questo dato è in contrasto con l’incremento di diagnosi di ASD negli Stati Uniti da quando è stato avviato nel 1998 il programma per l’utilizzo di acido folico. Ciò può dipendere sia da cambiamenti relativi alle modalità di diagnosi e di sorveglianza che ad un reale incremento di ASD per esposizione a fattori di rischio ancora non identificati. Inoltre, negli Stati Uniti l’assunzione media di acido folico è di 150 mg/die, dose che potrebbe, pertanto, essere troppo bassa per contribuire ad abbassare la prevalenza di tale patologia. In conclusione, secondo gli autori, è rassicurante che lo studio in esame non abbia mostrato associazione tra acido folico e aumento del rischio di disturbi autistici o ASD. Al contrario, può essere provocatorio affermare che il supplemento nutrizionale riduca il rischio di tali disturbi e tale dato dovrebbe essere confermato da ulteriori studi di popolazione.

Parole chiave: disturbo autistico, bambini, esposizione materna all’acido folico.

Riferimento bibliografico:
Surén P, et al. Association between maternal use of folic acid supplements and risk of autism spectrum disorders in children. JAMA. 2013;309(6):570-7.

La dieta dei gruppi sanguigni non ha validità scientifica.


Attenzione ai Naturopati: non sono professionisti sanitari autorizzati ad elaborare e suggerire diete

sangue

La dieta dei gruppi sanguigni, o emodieta, è l’ennesima scorciatoia proposta a chi vuole ritrovare la salute tramite l’alimentazione. Si tratta di un regime ideato nel 1997 dallo statunitense Peter J. D’Adamo-Naturopata. L’idea di base è che la razza umana possa essere divisa in quattro gruppi, corrispondenti ai gruppi sanguigni formatisi durante l’evoluzione della specie, ognuno con esigenze alimentari diverse.
Per il “gruppo O”, corrispondente ai “cacciatori”, si consiglia una dieta ricca di carne e proteine e povera di cereali, il “gruppo A”, corrispondente agli “agricoltori”, dovrebbe preferire i vegetali, mentre il “gruppo B” o “nomade” può permettersi di variare. In coda troviamo il “gruppo AB”, di creazione più recente, con alcune limitazioni, come quella di preferire il pesce alla carne.
Secondo D’Adamo, che non è un medico ma un naturopata, questa dieta non serve a dimagrire ma a mantenersi in salute riequilibrando l’organismo. Nei molti saggi in cui promuove il suo metodo, l’inventore della dieta assicura che anche le persone desiderose di perdere peso possono riuscirci facilmente, tanto che negli Usa sono disponibili in commercio i prodotti alimentari “tarati” per i diversi gruppi.



Bello, se fosse vero: peccato che questo metodo abbia scarsa validità scientifica, come ci spiega Fabio Virgili, ricercatore dell’ex Inran specializzato nelle relazioni tra genetica e alimentazione.

«La distribuzione geografica dei gruppi sanguigni è assai complessa, e non possiamo ricollegarla in modo netto alla storia evolutiva e alle migrazioni storiche degli individui che ne sono portatori» spiega Virgili. Se è vero che i gruppi sanguigni più noti, e su cui si basa la dieta, sono quattro, «in realtà i fattori ematici che si dovrebbero prendere in considerazione, per voler tentare un’improbabile distribuzione della popolazione su questa base, sono almeno una ventina».

«Per validare un metodo servono evidenze epidemiologiche, cliniche, indagini con strumenti comprovati scientificamente che qui non ci sono» precisa Virgili. Tanto è vero che nel sito statunitense D’Adamo punta solo su una serie di testimonianze in cui persone dichiarano di aver risolto gravi problemi con questo regime alimentare. Se però si digita l’espressione “blood type diet” su motori di ricerca qualificati come Pub med (una delle principali banche dati mondiali specializzata nell’ambito scientifico), risulta evidente che D’Adamo non basa le sue ricerche su studi scientifici provati. Anche il ruolo delle “lectine”, proteine che secondo il naturopata sarebbero responsabili della diversa reazione degli individui agli alimenti, non è confermato da evidenze.





«Da quando abbiamo gli strumenti per indagare il genoma, la ricerca sulle relazioni tra genetica e alimentazione risulta sempre più complessa – spiega Virgili, – ci stiamo rendendo conto di quanti fattori, sia genetici che ambientali, concorrano a determinare il nostro rapporto con gli alimenti».

Un esempio noto (e ben diverso da quello dei gruppi sanguigni) riguarda l’incapacità di digerire latte o latticini che si riscontra negli adulti e che interessa maggiormente specifiche popolazioni.

«Nelle aree geografiche in cui il latte aveva una notevole importanza alimentare, si sono selezionati soggetti con la variante genetica che consente di metabolizzare il lattosio anche in età adulta, anche se per poterlo fare bisogna continuare a consumare abitualmente latte e latticini».

«Proporre una dieta specifica basata sui profili genetici affidandoci alle nostre ancora limitate conoscenze – sottolinea Virgili, – sarebbe come pretendere di conoscere una città d’arte in base a quanto vediamo dal buco della serratura dell’albergo che ci ospita». Oggi sappiamo che il fabbisogno nutrizionale varia nel corso della vita e anche delle circostanze «l’unica raccomandazione valida che possiamo dare a tutti, è limitare il consumo di grassi, abbondare con i vegetali e, soprattutto, scegliere una dieta quanto più possibile variata». Anche se le nostre interazioni con determinati cibi hanno sicuramente una base genetica, e forse un giorno conosceremo tutti i meccanismi di queste corrispondenze «oggi – conclude il ricercatore – piuttosto che cercare spiegazioni senza basi scientifiche, ha forse più senso imparare ad ascoltarsi».

giovedì 21 febbraio 2013

Neuroscienze e Nutrizione: succo di mirtillo e memoria

Blueberry Supplementation Improves Memory in Older Adults

Krikorian R, Shidler MD, Nash TA, Kalt W, Vinqvist-Tymchuk MR, Shukitt-Hale B, Joseph JA

ABSTRACT
The prevalence of dementia is increasing with expansion of the older adult population. In the absence of effective therapy, preventive approaches are essential to address this public health problem. Blueberries contain polyphenolic compounds, most prominently anthocyanins, which have antioxidant and anti-inflammatory effects. In addition, anthocyanins have been associated with increased neuronal signaling in brain centers, mediating memory function as well as improved glucose disposal, benefits that would be expected to mitigate neurodegeneration. This study investigated the effects of daily consumption of wild blueberry juice in a sample of nine older adults with early memory changes. At 12 weeks, improved paired associate learning (p = 0.009) and word list recall (p = 0.04) were observed. In addition, there were trends suggesting reduced depressive symptoms (p = 0.08) and lower glucose levels (p = 0.10). We also compared the memory performances of the blueberry subjects with a demographically matched sample who consumed a berry placebo beverage in a companion trial of identical design and observed comparable results for paired associate learning. The findings of this preliminary study suggest that moderate-term blueberry supplementation can confer neurocognitive benefit and establish a basis for more comprehensive human trials to study preventive potential and neuronal mechanisms.


Commento

L’assunzione di un drink al giorno di circa 500 ml di succo di mirtillo (l’equivalente di 6-9 ml per Kg di peso corporeo/die) per 12 settimane, è stata associata ad un migliore apprendimento ed un incremento della memoria nelle persone anziane con problemi di memoria, oltre che una riduzione di sintomi depressivi e dei livelli di glucosio. Lo studio in questione potrebbe rappresentare uno spunto per studi futuri, per esaminare se i cambiamenti a livello della funzione cognitiva possono essere associati al miglioramento osservabile a livello del metabolismo. Questo è il primo trial clinico per la valutazione dei potenziali benefici dei mirtilli sulla funzione cerebrale negli anziani aventi un aumentato rischio di demenza e Alzheimer. La supplemetazione con mirtilli, infatti, può prevenire o attenuare il processo di neurodegenerazione grazie agli effetti benefici dei flavonoidi contenuti nei mirtilli, in particolare di antociani e flavanoli. I flavonoidi attraversano la barriera emato-encefalica, esercitando i loro effetti benefici sull’apprendimento e la memoria, migliorando le connessioni neuronali esistenti, la comunicazione cellulare e stimolando la rigenerazione neuronale.

Integrazione Omega3 e aggressività

Aggressive Behavior. 36:117-126 

Effects of nutritional supplements on aggression, rule-breaking, and psychopathology among young adult prisoners 

Zaalberg A, Nijman H, Bulten E, Stroosma L, van der Staak C 

ABSTRACT 
In an earlier study, improvement of dietary status with food supplements led to a reduction in antisocial behavior among prisoners. Based on these earlier findings, a study of the effects of food supplements on aggression, rule-breaking, and psychopathology was conducted among young Dutch prisoners. Two hundred and twenty-one young adult prisoners (mean age=21.0, range 18-25 years) received nutritional supplements containing vitamins, minerals, and essential fatty acids or placebos, over a period of 1-3 months. As in the earlier (British) study, reported incidents were significantly reduced (P=.017, one-tailed) in the active condition (n=115), as compared with placebo (n=106). Other assessments, however, revealed no significant reductions in aggressiveness or psychiatric symptoms. As the incidents reported concerned aggressive and rule-breaking behavior as observed by the prison staff, the results are considered to be promising. However, as no significant improvements were found in a number of other (self-reported) outcome measures, the results should be interpreted with caution. 

Commento 
Secondo un trial clinico randomizzato e condotto in doppio cieco, integratori a base di omega-3, vitamine e minerali possono ridurre il numero di episodi violenti e aggressivi nei detenuti (riduzione del 34% degli episodi di violenza). Come già dimostrato in uno studio precedente condotto in Inghilterra, l’assunzione di integratori a base di acidi grassi e micronutrienti sono in grado di ridurre episodi di violenza da parte di oltre il 39% di giovani violenti. La supplementazione di queste sostanze, quindi, ha effetti benefici sulla salute mentale e sulla funzione cognitiva: esiste quindi uno stretto legame tra dieta e salute mentale.

sabato 16 febbraio 2013

Neuroscienze e Nutrizione: il cibo e le emozioni

Questa tesi vorrebbe essere solamente una breve relazione su quanto i cibi influenzano il nostro modo di agire, di comportarci e di vivere.

Il nostro cervello e’ un organo molto complesso, con molte funzioni , contenente miliardi di cellule, che comunicano tra loro e funzionano ad impulsi elettrochimici.


Una biochimica sana e naturaleproduce un funzionamento del cervello sicuro, integrato mentre invece una biochimica in cattivo stato disturba il funzionamento sia del sistema nervoso che il comportamento.

Il cibo di cui ci nutriamo influenza e determina la nostra composizione biochimica.Quando la nostra dieta e’ sbilanciata, squilibrata, innaturale, il funzionamento del cervello e’ disturbato.

Ne segue un disordine mentale e fisico, che si esprime nell’agire in un modo e nel pensare in un altro, nell’avere delle idee non in armonia con i modelli istintivi ed i ritmi biologici., delle prospettive limitate, uno scarso autocontrollo. Il risultato finale e’ lo stesso, la diminuzione delle prestazioni e del piacere, sentimenti di depressione, ansia, paura (nevrosi) e qualche volta, un senso di disorientamento e di smarrimento (psicosi).
La Neurodietologia, la scienza che si occupa delle connessioni tra cibo, mente e psiche, ha confermato da tempo che il menù quotidiano influenza i comportamenti e le emozioni. Dunque a ciascuno la sua dieta perché ognuno ha la propria anima da rinnovare e un corpo da tenere in salute, a partire dal cervello. Il nostro organismo pensante e’ infatti un divoratore di nutrienti, si ricarica con l’ossigeno e mantiene un’ottima forma con un regime alimentare ad Hoc.
Un chiaro esempio di tutto questo e’ la duplice funzione di vitamine., aminoacidi, etc. Da una parte nutrono il nostro corpo mentre dall’altra la nostra psiche.
Tra gli aminoacidi, costituenti essenziali delle proteine che fabbricano alcune strutture ex novo oppure rinnovano quelle da sostituire sono il Triptofano e la Tirosina che agevolano la comunicazione tra le cellule celebrali (neurotrasmettitori). Il Triptofano e la Tirosina infatti agiscono sulla sintesi della serotonina (ormone), incrementando padronanza di sé , concentrazione e memoria.
L’acido glutammico, invece, apporta vivacità di idee e chiarezza di pensiero.Per fare il pieno dei tre aminoacidi basta mangiare semi oleosi , fagioli, cavolfiori , patate, cereali, integrali , uova, latticini, latte di soia, tofu e polline.
A chi difetta di colina, fornita dagli alimenti sotto forma di lecitina (uova, soia, germe di grano), la memoria giocherà brutti scherzi. Per potenziare gli effetti della lecitina si useranno erbe come la stella di sera, l’iperico, l’erba medica, il ginseng, l’eleutorococco oppure le gemme di betulla verrucosa.
La perdita di memoria può indicare la carenza di vitamine e sali minerali. Vitamina B (lievito di birra, cereali integrali, verdure crude, polline), C (polline, rosa canina, agrumi, pomodoro, ortaggi e insalate crude, frutta acidula) ed E (ortaggi verdi, olio extravergine di oliva e di semi , polline); e tra minerali nella dieta, zinco, selenio, ferro, fosforo, magnesio e iodio (polline, cereali integrali, legumi, alghe, ortaggi e frutta). Guai poi a non fornire l’energia necessaria ai circuiti elettrici celebrali;

il glucosio e’ un carburante d’eccezione da cui attingere ogni giorno (cereali, legumi, miele, polline, ecc.).

BIBLIOGRAFIA
B. Vial- B. Mandrant La Medicina Affettiva, Ed. Xenia; Ercole Mellone Il genio della sogliola, Rivista Forma; Gianpiero Cara La Felicita’ in Tavola, Aura Web; Gudrun Dalla Via Alimentazione ed emozioni, Ed. Red; Gudrun Dalla Via Alimentazione Energetica, Ed. Red; Gudrun Dalla Via Le combinazioni alimentari, Ed. Red; Larry Blumenfeld Il Libro del relax, Pan edizioni; Lodispoto Medicina Somato-Psichica, Ed. Mediterranee; M. Halsey La Sanagola; M. Pandiani Manuale di nutrizione applicata, Ed. Tecniche Nuove
Michio Kushi Guardarsi dentro, Ed Mediterranee; Saul Miller e Jo Anne Miller Cibo per la mente, Ed Macro; Veith Canone di medicina interna dell’imperatore giallo, Ed. Mediterranee

Neuroscienze e Nutrizione: la Neurodietologia


La neurodietologia, la scienza che si occupa delle connessioni tra cibo, mente e psiche, ha confermato da tempo che il menù quotidiano influenza i comportamenti e le emozioni.

Dunque a ciascuno la sua dieta perché ognuno ha la propria anima da rinnovare e un corpo da tenere in salute, a partire dal cervello. Il nostro organo pensante è infatti un divoratore di nutrienti, si ricarica con l’ossigeno e mantiene un’ottima forma con un regime alimentare ad hoc. Tra gli aminoacidi, costituenti essenziali delle proteine che fabbricano alcune strutture ex novo oppure rinnovano quelle da sostituire, il magico apriti sesamo sono triptofano e tirosina: agevolano la comunicazione fra le cellule cerebrali (neurotrasmettitori). La prova?

Il triptofano agisce sulla sintesi della serotonina (ormone), incrementando padronanza di sé, concentrazione e memoria.

L’acido glutammico, invece, apporta vivacità di idee e chiarezza di pensiero. Per fare il pieno dei tre amminoacidi basta mangiare semi oleosi, fagioli, cavolfiori, patate, cereali integrali, uova, latticini, latte di soia, tofu e polline.

A chi difetta la colina, fornita dagli alimenti sotto forma di lecitina (uova, soia, germe di grano), la memoria giocherà brutti scherzi. Per potenziare gli effetti della lecitina via libera ad alcune erbe come la stella di sera, l’iperico, l’erba medica, il ginseng, l’eleuterococco oppure le gemme di betulla varrucosa.
Dimenticate nomi e numeri di telefono, perdete oggetti chissà dove e vi sentite inutili?

Ciò può nascondere la carenza di vitamine e sali minerali. Il cervello è affamato di vitamine B (lievito di birra, cereali integrali, verdure crude, polline), C (polline, rosa canina, agrumi, pomodoro, ortaggi e insalate crude, frutta acidula) ed E (ortaggi verdi, olio extravergine di oliva e di semi, polline); e tra i minerali, zinco, selenio, ferro, fosforo, magnesio e iodio (polline, cereali integrali, legumi, alghe, ortaggi e frutta).

Guai poi a non fornire l’energia necessaria ai circuiti elettrici cerebrali: il glucosio è un carburante d’eccezione da cui attingere ogni giorno (cereali, legumi, miele, polline, ecc).

sabato 9 febbraio 2013

Bevande Energetiche: a cosa realmente andiamo incontro?


Da tempo ormai si sente parlare dei rischi dati dall’assunzione di bevande energetiche, legati al contenuto particolarmente elevato di caffeina, che in questi prodotti può arrivare al 150 e fino al 300 per cento in più rispetto ad altre bevande che la contengono.

In particolare l’allerta ha riguardato l’associazione con l’alcol, che potrebbe comportare diversi rischi1 — che vanno dalla disidratazione, all’aumento del ritmo cardiaco fino all’alterazione della funzionalità renale — oltre che mascherare gli effetti dell’alcol in quanto la caffeina attenua il senso di stordimento, rendendo le ubriacature molto più pericolose perché meno percepite.

Considerato l’alto utilizzo degli energy drink da parte dei giovani, molti studi hanno anche analizzato il concomitante consumo di caffeina e di diversi tipi di psicostimolanti2. In particolare sono stati analizzati gli effetti tra la caffeina e la metilendossimetamfetamina (MDMA). I meccanismi con i quali la caffeina aumenta la tossicità di psicostimolanti includono le modifiche della regolazione della temperatura corporea, la cardiotossicità e l’abbassamento della soglia convulsiva. La co-somministrazione di caffeina potenzia l’acuta tossicità di MDMA nei ratti, come manifesta l’aumento della temperatura corporea, la tachicardia e l’aumento della mortalità.

Inoltre i risultati di un altro studio3 suggeriscono azioni sinergiche intracellulari sulla via di segnalazione del recettore D1 della dopamina quando vengono combinate caffeina e MDMA ma non quando vengono somministrate separatamente. Questo dovrebbe molto far riflettere sulla potenziale pericolosità delle bevande energetiche, consumate dai ragazzi prevalentemente in discoteche e pub e che spesso sono uno degli ingredienti di mix a base di droghe e alcol.

La pericolosità aumenta proprio nei soggetti giovani; infatti, secondo gli esperti, la dose giornaliera di caffeina ritenuta accettabile per gli adolescenti fino a 17 anni, in buone condizioni di salute, è di 100 mg. Considerando che queste bevande vengono consumate soprattutto dai ragazzi, questa soglia è facilmente superabile se a una bevanda energetica, viene aggiunto anche un solo caffè preparato in casa.

Per un adulto in buone condizioni di salute il valore invece sale a 400 mg, ma è importante sapere che la caffeina colpisce le persone in modo diverso, e grandi dosi possono avere effetti dannosi e imprevedibili.

Analizzando gli ingredienti troviamo:
acqua;
zucchero (27 g per lattina, circa 7 cucchiaini da caffè, o edulcoranti nelle versioni sugarfree);
sostanze stimolanti (ad esempio caffeina, guaranà);
aminoacido taurina (un grammo circa in una lattina) considerato uno stimolante cardiaco che, se assunto in eccesso, può causare ipertensione;
glucuronolattone, che dovrebbe stimolare memoria e concentrazione;
inositolo, poliolo che dovrebbe migliorare l’umore e anche l’utilizzo della serotonina;
vitamine del gruppo B che dovrebbero contribuire a mantenere le prestazioni mentali e a ridurre stanchezza e fatica (niacina, acido pantotenico, B6, B12).
Ingredienti che una persona inesperta potrebbe associare a un miglioramento delle prestazioni sportive, visti i costanti riferimenti dell’immaginario collettivo su sport e supplementi aminoacidici, vitamici e stimolanti.

Purtroppo in Italia non vengono pienamente riconosciuti i rischi, sia reali sia potenziali.
Su vari siti web, tra cui uno patrocinato dal Governo Italiano insieme ad AssoBibe (Associazione italiana tra gli industriali delle bevande analcoliche), si tende a sfatare i falsi miti e a trasmettere tranquillità sull’utilizzo, ricordando che queste bibite vengono vendute in oltre 160 Paesi, che contengono la caffeina di una tazza di caffè e che è comunque specificata l’indicazione «tenore elevato di caffeina».
Peccato che non si capisca che per un giovane, magari molto ambizioso e per natura attratto dalla trasgressione, l’indicazione «tenore elevato di caffeina» come richiesta dalla legge e scritta a caratteri minuscoli sul retro della lattina, dopo magari averla vista bere ai migliori sportivi e modelli di riferimento, non basti.

Nel frattempo in tv e sul web sta spopolando lo spot di una nota azienda produttrice di energy drink, dove vengono pronunciate queste parole:

Penso che sia nella natura umana il desiderio di esplorare.
Scoprire fin dove puoi arrivare e spingerti oltre.
L’unico limite è quello che tu poni a te stesso.

Sicuramente accattivante, sul web lo spot viene descritto come esaltante, liberatore di adrenalina, ma proviamo per un attimo ad andare oltre.
Purtroppo molti giovanissimi associano il successo e il riuscire a compiere alcuni sport estremi, in parte, all’uso di questo tipo di prodotti che, per di più, sono spesso commercializzate durante le manifestazioni sportive.

Inoltre ci sarebbe anche il rischio per dei facili bersagli, spesso dimenticati, come le persone anziane. Infatti, sentendosi senza forze ed essendo costretti a stare seduti, magari davanti alla tv per molte ore, questi spot potrebbero convincerli a fare uso di queste bevande. La caffeina potrebbe avere effetti dannosi e imprevedibili in particolar modo su persone anziane che magari soffrono anche di problemi cardiaci.


Fonti:

Arria AM, O’Brien MC — The “high” risk of energy drinks — JAMA. 2011 Feb 9;305(6):600-1. doi: 10.1001/jama.2011.109

Vanattou-Saïfoudine N, et al. — Caffeine provokes adverse interactions with 3,4-methylenedioxymethamphetamine (MDMA, ‘ecstasy’) and related psychostimulants: mechanisms and mediators — Br J Pharmacol. 2012 Nov;167(5):946-59. doi: 10.1111/j.1476-5381.2012.02065.x

Vanattou-Saïfoudine N, et al. — Dopamine D1 receptor-mediated intracellular responses in the hypothalamus after co-administration of caffeine with MDMA — Basic Clin Pharmacol Toxicol. 2012 Mar;110(3):283-9. doi: 10.1111/j.1742-7843.2011.00805.x

Ingredienti — Red Bull Energy Drink

Sito web patrocinato dal Governo Italiano — infoenergydrink.it

Youtube — World of Red Bull, spot 2013

venerdì 25 gennaio 2013

Invecchiamento mentale, prevenirlo si può

Nutrizione e Neuroscienze: Invecchiamento mentale, prevenirlo si può

Un gruppo di ricerca Italiano fra l'Università degli Studi di Milano e l'Università di Pavia coordinato dalla Prof. Mariangela Rondanelli (nella foto), condotto su pazienti MCI residenti presso l'Azienda di Servizi alla Persona di Pavia, ha indagato l'efficacia di un integratore alimentare a base di acido docosaesaenoico, triptofano e melatonina. Lo studio è stato pubblicato oggi su Nutritional Neuroscience.

E' noto che carenze alimentari specifiche in età avanzata possono aggravare i processi patologici nel cervello. Di conseguenza, il potenziale di un intervento nutrizionale volto a prevenire o a ritardare nel tempo l'insorgenza di un eventuale declino cognitivo e dello sviluppo di forme di demenza è un tema di stringente attualità, in una società che sta invecchiando a vista d'occhio.

Il gruppo di ricerca nato dalla collaborazione fra l'Università di Milano e l'Università di Pavia, grazie alla disponibilità della Azienda di Servizi alla Persona di Pavia ha potuto realizzare uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, su 25 persone anziane (di età 86 ± 6 anni, di cui 20 femmine e 5 maschi) affette da Mild Cognitive Impairment (MCI). Queste persone sono state assegnate con procedura randomizzata al gruppo sperimentale (che ha assunto nella dieta una emulsione oleosa di acido docosaesaenoico – DHA – e fosfolipidi contenenti melatonina e triptofano; per un totale di 11 soggetti) o al gruppo trattato con placebo (14 soggetti appaiati) per 12 settimane consecutive.

Obiettivo principale dello studio era quello di valutare l'efficacia di una integrazione dietetica sulle funzioni cognitive delle persone allo studio, mediante valutazione all'ingresso e successiva valutazione dopo le 12 settimane di trattamento. In particolare sono state misurate, con una batteria di test neurospicologici ampiamente accreditati nell'ambito della ricerca clinica, le seguenti abilità: orientamento e altre funzioni cognitive di base con il Mini-Mental State Examination (MMSE); memoria a breve termine con i test di “span” per numeri, verbale e spaziale; memoria a lungo termine verbale per materiale non strutturato con il test di apprendimento delle 15 parole di Rey, per materiale strutturato con il test del breve racconto, per materiale visuo-spaziale con il test della figura complessa di Rey-Osterrieth; attenzione con il test delle matrici attenzionali; funzioni esecutive con il test di Weigl; fluenza fonologica con il test FAS; abilità visuocostruttive e visuospaziali con la copia di disegni geometrici bidimensionali e tridimensionali e con la copia della figura complessa di Rey-Osterrieth; linguaggio con il test di fluenza semantica; umore con la Geriatric Depression Scale (GDS). Sono stati inoltre somministrati ai pazienti il test dell'olfatto “Sniffin' Sticks” e il test per la valutazione nutrizionale “Mini Nutritional Assessment (MNA)”.

Risultati: dopo 12 settimane è stato registrato un significativo miglioramento nei pazienti del gruppo sperimentale al MMSE (P < 0.001) e un effetto positivo al testi di fluenza semantica (P < 0.06). Un significativo miglioramento nel gruppo sperimentale si è osservato anche nella valutazione della sensibilità olfattiva (P < 0.009). Per quanto riguarda la valutazione nutrizionale, infine, i soggetti del gruppo sperimentale hanno mostrato un miglioramento anche al Mini Nutritional Assessment, con una differenza signficativa rispetto al gruppo di controllo (P < 0.005).

“Questo studio dimostra in primo luogo l'importanza di una diagnosi precoce dell'MCI e del suo trattamento, utile a rallentare la progressione del disturbo verso disordini cognitivi gravi quali l'Alzheimer, come dimostrano numerosi studi; inoltre evidenzia che i fattori nutrizionali risultano fondamentali quale aiuto al rallentamento del processo degenerativo. Una sana alimentazione, che deve prevedere l'assunzione almeno quattro volte la settimana di pesce, ricco di omega-3, è consigliabile, ma a volte può essere non agevole per diverse ragioni: è per questo che un integratore nutrizionale, in grado di concentrare in un unico dispositivo diversi nutrienti, può venire in aiuto a quanti vogliono prevenire queste malattie legate all'invecchiamento”, ha spiegato in esclusiva a BrainFactor Mariangela Rondanelli, professore associato di Scienze e tecniche dietetiche applicate all'Università di Pavia.