Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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venerdì 26 ottobre 2012

Effetti neurobiologici della Vitamina D: evidenze scientifiche e prospettive terapeutiche


Le vitamine, per definizione, non sono sintetizzate dal nostro organismo, ma sono sostanze naturali che devono essere assunte mediante l’alimentazione. La vitamina D, notoriamente conosciuta come "vitamina del calcio” non è una vera vitamina, ma un ormone, "l’ormone steroideo dell’omeostasi del calcio", dal momento che la maggior parte di essa è prodotta dal nostro organismo, in rapporto all’esposizione della pelle al sole. E’ noto, infatti, che la carenza di vitamina D provoca rachitismo nei bambini e può provocare osteoporosi e fratture ossee nei pazienti adulti. Oltre al suo ruolo nel mantenimento della salute delle ossa, la vitamina D è coinvolta nella differenziazione di tessuti durante lo sviluppo e nel corretto funzionamento del sistema immunitario. Evidenze scientifiche, in costante e continuo incremento, suggeriscono un ruolo benefico della vitamina D nella protezione contro le malattie autoimmuni, tra cui sclerosi multipla e diabete tipo I, così come verso alcune forme di cancro, in particolare del colon-retto e della mammella.


PUBBLICITÀ
Sta rapidamente diventando chiaro che la vitamina D svolge diversi ruoli nella regolazione della salute ottimale del sistema nervoso centrale sia durante lo sviluppo del sistema nervoso sia durante tutta la vita. La vitamina D aumenta di tre volte rapidamente in vitro l'espressione genetica della tiroxina-idrossilasi (l'enzima limitante la biosintesi delle catecolamine). Essa è, inoltre, ampiamente coinvolta nella funzionalità cerebrale con recettori specifici per tale sostanza, localizzati in neuroni e cellule gliali. I geni che codificano gli enzimi coinvolti nel suo metabolismo sono espressi nelle cellule del cervello. Gli effetti biologici riportati della vitamina D nel sistema nervoso includono la biosintesi di fattori neurotrofici, l'inibizione della sintesi dell’ossido-nitrico-sintasi inducibile ed aumento dei livelli di glutatione, suggerendo un ruolo di disintossicazione cerebrale per l'ormone, vitamina D.

La vitamina D nel cervello

È noto che la vitamina D attraversa la barriera emato-encefalica e che i recettori per la vitamina D si trovano in tutto il cervello. Alte concentrazioni di 3H 1,25 (OH) 2 vitamina D3 sono state osservate in alcuni neuroni nel nucleo interstiziale della stria terminale e nel nucleo centrale dell'amigdala, che nel loro insieme costituiscono un sistema di neuroni bersaglio collegati da una componente della stria terminale. Concentrazioni nucleari di 3H 1,25 (OH) 2 vitamina D3 sono state evidenziate anche nei neuroni del nucleo periventricolare della regione preottico-ipotalamica, compresa la sua estensione, il nucleo arcuato e paraventricolare parvocellulare, nel nucleo ventromediale del nucleo sovramammillare, nel nucleo reticolare del talamo, nell’ippocampo ventrale, nel nucleo caudato, nel grigio centrale mesencefalo-pontino, nel rafe dorsale, nei nuclei parabrachiali e nei nuclei motori dei nervi cranici, nella sostanza gelatinosa del nucleo sensoriale del trigemino, nelle cellule del Golgi tipo II del cervelletto ed in altre strutture. L’estesa distribuzione di neuroni bersaglio suggerisce che la 1, 25 (OH) 2 vitamina D3 regola la produzione di vari messaggeri aminergici e peptidergici e che influenza l'attività endocrino-autonomica di alcuni sistemi sensoriali e motori. La presenza di recettori specifici per la vitamina D in molte regioni del sistema nervoso centrale, nelle cellule ipofisarie, in una moltitudine d’organi periferici, insieme agli effetti conosciuti o alle funzioni ipotizzate, richiede una revisione dei concetti classici correnti circa il ruolo biologico della vitamina D. La vitamina D è molto più che "l’ormone steroide dell’omeostasi del calcio". Alla luce delle nuove più ampie informazioni derivate soprattutto dai risultati degli studi autoradiografici e istochimici, risulta che la vitamina D è un attivatore biologico completo, regolatore di diverse funzioni organiche. L’attivazione mediata della vitamina D3 è volutamente collegata e in sintonia con l'esposizione stagionale alla luce solare, con l’apparente obiettivo di ottimizzare e regolare all’ambiente lo sviluppo, la conservazione e la propagazione della vita. Ciò comporta la proliferazione e la maturazione di certi tessuti, l’omeostasi del calcio e il trofismo muscolare scheletrico per migliorare resistenza e movimento, e, infine, per facilitare la riproduzione. La regolazione del metabolismo del calcio è una, ma solo una componente dell’azione della vitamina D. Il "calci-triolo" potrebbe essere più appropriatamente chiamato "sol-triolo", l’ormone steroideo correlato alla luce del sole, l'attivatore e il regolatore stagionale, il messaggero steroide somatotrofico stimolato dalla luce solare.


La vitamina D importante per lo sviluppo e le funzioni del cervello

In una revisione critica definitiva, alcuni Autori hanno sostenuto che vi sono ampie prove biologiche a sostegno dell’ipotesi che la vitamina D svolga un ruolo importante nello sviluppo del cervello e nelle sue funzioni. Ciò giustificherebbe la supplementazione nei soggetti che presentano cronicamente bassi apporti dietetici di vitamina D. McCann e Ames hanno sostenuto che, mentre la vitamina D ha un ruolo importante nello sviluppo e nella funzione del cervello, i suoi specifici effetti sul comportamento rimangono non del tutto conosciuti. Pur sottolineando la necessità di ulteriori studi, gli autori sostengono la supplementazione di vitamina D nei soggetti a rischio. La vitamina D è nota da tempo promuovere la salute delle ossa, regolando i livelli di calcio nel corpo. La carenza di vitamina D nei bambini molto piccoli può indurre rachitismo, che può essere facilmente prevenuto con supplementi di vitamina D. Solo recentemente la comunità scientifica è venuta a conoscenza di un ruolo più ampio per la vitamina D. Ora sappiamo che, oltre al suo ruolo nel mantenimento della salute delle ossa, la vitamina D è coinvolta nella differenziazione dei tessuti durante lo sviluppo e nel corretto funzionamento del sistema immunitario. In realtà, più di 900 geni diversi sono ormai noti per essere in grado di legare il recettore della vitamina D, attraverso il quale la vitamina D media i suoi effetti. Oltre a proteggere contro il rachitismo, ci sono prove evidenti che confermano che un’abbondante assunzione di vitamina D aiuta a proteggere contro le fratture negli anziani. La vitamina D è presente soltanto in alcuni alimenti (ad esempio i pesci grassi) ed è anche aggiunta nel latte arricchito, ma la sua disponibilità biologicamente attiva è legata per lo più all’esposizione ai raggi ultravioletti (UVB) del sole. La radiazione UVB del sole nella pelle converte un precursore biochimico della vitamina D, nel calcitriolo, la forma attiva che svolge importanti effetti ormonali. La formazione di vitamina D attiva da parte della radiazione UVB può essere sei volte più efficiente in soggetti con la pelle chiara rispetto a chi ha la pelle scura. Fra gli afro-americani che vivono a latitudini settentrionali è, perciò, diffusa la carenza cronica di vitamina D. La pelle scura è stata selezionata nel corso dell'evoluzione perché protegge contro l’intensa radiazione UVB del sole ai tropici. La pelle bianca è stata selezionata per consentire nelle latitudini più settentrionali un’esposizione ai raggi UVB sufficiente alla sintesi di vitamina D. Così, i settentrionali di carnagione chiara sono a rischio nelle zone tropicali per le patologie, anche neoplastiche, della pelle indotte dai raggi UVB, mentre le persone di pelle scura nelle latitudini settentrionali con scarsa esposizione al sole sono a rischio di rachitismo, fratture ossee ed eventualmente di altre malattie, inclusi diversi tipi di cancro e di patologie neuro-psichiatriche a causa della mancanza di vitamina D. Per fortuna gli schermi solari e gli integratori di vitamina D sono economici. La vitamina D svolge importanti funzioni neurobiologiche in rapporto all'ampia distribuzione dei recettori della vitamina D in tutto il sistema nervoso. La vitamina D può influenzare la sintesi e l’espressione di alcune proteine nel cervello, di cui si conosce il diretto coinvolgimento nell'apprendimento, nella memoria, nel controllo motorio e forse anche sul comportamento materno e sociale. Molti esperti evidenziano che il livello attualmente raccomandato di vitamina D è troppo basso e deve essere incrementato per la protezione contro rachitismo, fratture ossee e forse contro alcune forme di cancro (2). Molti soggetti a rischio sembrano avere, infatti, bassi livelli di vitamina D nel sangue. Nonostante le attuali incertezze circa eventuali effetti deleteri di sovradosaggio della vitamina D, l'evidenza indica che l'integrazione è, tutto sommato, economica e prudente. Soprattutto nelle sottopopolazioni in cui i livelli di vitamina D possono essere eccezionalmente bassi, in particolare nella cura dei bambini, degli anziani e degli afro-americani (3).

Vit. D e patologie del sistema nervoso

La Vitamina D sembra avere un ruolo nei processi che possono essere importanti per il rischio di demenza, compresa la salute vascolare e la clearance dell’amiloide dal cervello. Date queste associazioni sembra "biologicamente plausibile" che ci possa essere un'associazione di bassi livelli di vitamina D con il rischio di demenza e di basse prestazioni cognitive nella popolazione generale. I risultati di una nuova analisi utilizzando i dati del Terzo National Health and Nutrition Survey (NHANES III) mostrano che la carenza di vitamina D è associata ad un aumentato rischio di declino cognitivo negli anziani americani. Alcuni investigatori hanno individuato un legame tra vitamina D e morbo di Parkinson. Utilizzando una coorte di oltre 3000 persone, i ricercatori hanno scoperto che bassi livelli di vitamina D aumentano il rischio di Parkinson, mentre alti tassi sembravano avere un effetto protettivo. Altri studi hanno evidenziato il ruolo di 1, 25 diidrossi-vitamina D3 nell’eziologia e terapia dei disturbi affettivi stagionali e di altri disturbi mentali, come schizofrenia, depressione e alcolismo. Esistono prove che la depressione maggiore è associata a bassi livelli di vitamina D e che la depressione è aumentata nel corso del secolo scorso durante il quale i livelli di vitamina D sono sicuramente diminuiti. Esistono prove che la depressione è associata a malattie cardiache, ipertensione, diabete, artrite reumatoide, cancro e bassa densità minerale ossea, tutte malattie che si pensano essere causate, almeno in parte, dalla carenza di vitamina D. La vitamina D, inoltre, ha profondi effetti sul cervello e sui neurotrasmettitori coinvolti nella depressione maggiore.

Vit. D e luce solare

Gli effetti della luce solare sui processi fisiologici e comportamentali sono mediati, in gran parte, attraverso il sistema pelle>vitamina D>sistema endocrino. Questi effetti sono probabilmente mediati attraverso azioni dirette della 1, 25 (OH) 2 vitamina D3 sul cervello e sugli organi endocrini, indipendentemente dagli effetti sui livelli di calcio. Ciò appare rilevante per l'attivazione e la modulazione dei processi mentali e del sistema endocrino, relativi, in particolare, al bioritmo circum-annuale (stagionale) e circum-diano (giornaliero). Tali azioni sono dirette, cioè mediate da recettori specifici, e sembrano essere dose-dipendenti, in rapporto all'intensità della luce ed alla durata dell'esposizione. Ciò fa della luce (fotoni) un farmaco attivo sul sistema nervoso ed endocrino. La 1, 25 (OH) 2 vitamina D3 sembra svolgere un ruolo nell'eziologia dei disturbi affettivi con ciclico esordio stagionale (disturbo affettivo stagionale). Incrementare false speranze di guarigione, da una devastante malattia mentale come la depressione maggiore, utilizzando la sola vitamina D non è corretto. Le evidenze suggeriscono che la vitamina D può migliorare il tono dell’umore, ma non abbiamo prove conclusive in merito ad effetti propriamente terapeutici sulla depressione maggiore. In quest’articolo di rassegna della vasta letteratura scientifica internazionale su questo tema, si evidenziano alcuni fattori chiave di cui i medici dovrebbero essere consapevoli.

Vitamina D e Depressione

La psichiatria è quella branca della medicina che spiega tutto, ma non prevede nulla. Questa è la definizione più in voga tra gli scienziati del National Institute of Mental Health (NIMH). “Cura la tua depressione con la vitamina D, la vitamina del sole!“ Nessun messaggio può essere più crudele di questo, creando aspettative inevitabilmente deluse tra i tanti soggetti affetti da depressione maggiore. La depressione maggiore non può essere curata semplicemente con quantità fisiologiche di vitamina D, così come non può essere curata con la vasta gamma di rimedi “naturali”, d’integratori alimentari o di placebo, magari in livrea. Non esiste la panacea. Indurre false speranze nella cura di una malattia devastante come la depressione maggiore non è, però, così grave se si confronta con alcuni dei più grandi crimini della psichiatria-psicoterapeutica del passato, come aver sostenuto che le madri degli schizofrenici avevano causato la malattia del loro bambino, oppure come aver indotto il recupero di falsi ricordi d’abuso sessuale, che tante famiglie innocenti ha distrutto. Ciò premesso, non è corretto e non è nostra intenzione indurre false speranze. Fatte queste premesse, potremmo chiederci che cosa sappiamo circa il rapporto tra depressione maggiore e vitamina D.

Luce e depressione

Nel 1989 W.E. Stumpf ha pubblicato un articolo pionieristico sul ruolo della 1, 25 diidrossi-vitamina D3 nell’eziologia e nella terapia dei disturbi affettivi stagionali e di altri processi mentali. (4) E’ noto da tempo che la luce intensa nello spettro visibile (senza la produzione di vitamina D attivata dagli UVB) migliora nettamente l'umore, anche se è difficile condurre bene gli studi a causa della mancanza di una condizione di controllo. Ci si deve, quindi, porre il quesito: la vitamina D ha un effetto sull'umore che differisce dall’effetto della luce o che è ad esso complementare?

Disturbo affettivo stagionale

Gli sbalzi d'umore tipici del disturbo affettivo stagionale possono essere gravi e sono legati oltre che alla stagione, anche alla latitudine e all’esposizione al sole. Harris e Dawson-Hughes hanno evidenziato su 125 donne che, rispetto al placebo, il trattamento con 400 UI d’ergocalciferolo (vitamina D2) al di non migliora le oscillazioni stagionali dell'umore. Gli autori non hanno valutato i livelli di 25 (OH) vitamina D, indotti dal trattamento. Sappiamo, però, che la dose di 400 UI d’ergocalciferolo utilizzata in questo studio è molto vicina a una dose omeopatica. Infatti, l’ergocalciferolo è una forma meno potente della vitamina D che in natura è la vitamina D3, il colecalciferolo. (5) Alcuni autori hanno sostenuto che la vitamina D non ha alcun effetto sul disordine affettivo stagionale, misurando nel sangue il metabolita sbagliato della vitamina D, cioè il calcitriolo (1, 25 diidrossi D3), i cui livelli possono variare in diverse e varie condizioni. Il solo test di laboratorio che dovrebbe essere utilizzato, per misurare le riserve di vitamina D, il suo deficit o i suoi livelli adeguati è il dosaggio di 25 (OH) vit. D, che questi autori non hanno misurato.(6) Nel 1998 in un esperimento controllato, alcuni ricercatori australiani hanno rilevato che 400 e 800 UI di colecalciferolo migliorano significativamente il tono affettivo, in soggetti sani. In uno studio randomizzato in doppio cieco, 44 soggetti sani hanno ricevuto 400 UI di colecalciferolo, 800 UI di colecalciferolo o placebo per 5 giorni, nel corso dell’inverno inoltrato. I risultati con misure d’auto-valutazione hanno evidenziato che la vitamina D3 incrementa l’affettività positiva di una piena deviazione standard con segni di riduzione dell’affettività negativa. Gli autori hanno concluso che la carenza di vitamina D3 fornisce una spiegazione convincente e semplice delle variazioni stagionali dell'umore. (7)
In uno studio ancora più interessante nel 1999, su un piccolo gruppo di pazienti con disturbo affettivo stagionale, 100.000 UI di vitamina D somministrate in singola dose orale hanno indotto miglioramenti delle scale di valutazione della depressione superiori a quelli indotti dalla light-therapy. Tutti i soggetti nel gruppo trattato con vitamina D miglioravano in tutte i sintomi valutati e, soprattutto, il grado di miglioramento del nucleo depressivo era correlato significativamente ai livelli misurati di 25 (OH) vitamina D. (8)
Alcuni autori tedeschi hanno trovato, in controlli sani, livelli medi nel siero di 25 (OH) vit. D di 46 ng / L, mentre, i soggetti depressi presentavano livelli medi serici di 37 ng / L. (9)
Autori finlandesi non hanno trovato differenze stagionali tra pazienti con disturbo affettivo stagionale e controlli normali, ma non hanno trovato neanche variazioni stagionali dei livelli di 25 (OH) vit. D negli stessi pazienti. (10)
Nel 2003 è stata evidenziata una diretta correlazione tra i livelli di 25 (OH) vit. D ed i punteggi di salute mentale in un gruppo di soggetti sani, adulti, anziani. In questo studio, però, 1.000 UI di colecalciferolo non hanno migliorato la valutazione della salute mentale di questi soggetti sostanzialmente sani. (11)

Meno luce solare, più depressione

L’ipotesi che una carenza di vitamina D possa causare alcune forme di depressione, viene rafforzata da alcune osservazioni epidemiologiche. L'incidenza di depressione è aumentata nelle società industrializzate d’occidente nel corso del secolo scorso. In quel periodo di tempo, infatti, si è progressivamente ridotta l’esposizione alla luce solare, per effetto dell’urbanizzazione, con la costruzione di edifici sempre più verticali e con sempre minore esposizione alle radiazioni ricche di ultravioletti. L’industrializzazione ha ridotto i lavori effettuati in ambienti esterni con conseguente minore esposizione ai raggi UVB. Le automobili (i vetri bloccano totalmente i raggi UVB), l’abbigliamento sempre più coprente (blocca la luce UVB), le creme solari e le sbagliate indicazioni mediche di non esporsi mai alla radiazione solare senza protezione hanno ridotto la fisiologica produzione cutanea di vit. D attiva e circolante. Tutti questi fattori contribuiscono a ridurre i livelli serici di 25 (OH) vit. D. La depressione maggiore è notevolmente aumentata negli ultimi 80 anni. Questo è uno dei risultati più famosi e controversi degli studi in epidemiologia psichiatrica moderna. (12)

Tra patologie organiche e depressione: chi è nato prima?

La depressione è associata ad altre condizioni che si pensa possano conseguire a una carenza di vitamina D, come le malattie cardiache, il diabete, l’ipertensione, l’artrite reumatoide, il cancro o l'osteoporosi. (13)
Ad esempio, vi è una forte associazione tra malattie cardiache e depressione, nonché numerose teorie per spiegarla. La più ovvia, cioè che la malattia cardiovascolare possa indurre in chiunque una depressione reattiva è l’unica che si è dimostrata non vera. La depressione, infatti, molto spesso precede la malattia di cuore, suggerendo l’esistenza di un terzo fattore con effetti etio-patogenetici su entrambi. Inoltre, è confermata una maggiore mortalità nei soggetti affetti da depressione, non solo per cardiopatie, ma anche per altre e diverse cause. (14-15)
Un rapporto d’associazione non è un rapporto di causalità. Se A è associato a B, allora A potrebbe causare B, B potrebbe causare A, o entrambi A e B potrebbero dipendere da un terzo fattore C, che “causa” sia A sia B. Quando la cardiopatia è associata alla depressione, le possibilità logiche sono: la depressione causa le malattie cardiache, le cardiopatie causano depressione, oppure un fattore sconosciuto (C), forse la carenza di vitamina D, causa, almeno in parte, sia la depressione sia la malattia di cuore. Mantenere il “dubbio sistematico” sui nessi di causalità, nella pratica clinica, in psichiatria come in medicina, è la vera chiave del successo. La maggior parte degli errori più gravi in medicina è stata effettuata quando le relazioni d’associazione sono state confuse con nessi di causalità, cioè quando si è confusa una successione temporale con un rapporto causa-effetto. L’errore è, quindi, confondere una sequenza con una conseguenza.
Che dire delle altre malattie associate a deficit di vitamina D? Cosa spiega la significativa associazione tra depressione e diabete, depressione e ipertensione arteriosa, depressione e artrite reumatoide, depressione e neoplasie, depressione e densità minerale ossea nelle donne in premenopausa? Alcuni recenti studi sull’associazione tra depressione maggiore e ridotta densità minerale ossea nelle donne suggeriscono che un fattore terzo sia potenzialmente responsabile tanto della bassa massa ossea quanto della depressione. Una possibile spiegazione può essere fornita proprio dalla constatazione che una carenza di vitamina D provoca, almeno in parte, tutte queste malattie. E’ ovvio come tutte queste malattie siano per loro natura a etio-patogenesi multifattoriale. Resta probabile, comunque che una parte della vulnerabilità possa conseguire a una carenza di vitamina D.
La vitamina D aumenta rapidamente, di tre volte, in vitro, l'espressione genetica di tiroxina-idrossilasi (l'enzima limitante per la biosintesi delle catecolamine). La luce del sole d’estate aumenta il turnover della serotonina cerebrale il doppio di quello che fa la luce del sole d'inverno. Uno studio recente presenta risultati positivi sul tono dell’umore interpretabili sia come effetti diretti della luce nello spettro visibile sia come azione della vitamina D. Le evidenze cliniche disponibili ad oggi suggeriscono che la vitamina D può migliorare il tono l'umore, anche se le prove al riguardo non sono ancora del tutto conclusive. Gli studi con risultati positivi, circa gli effetti antidepressivi della vitamina D, sono stati effettuati nel trattamento del disturbo affettivo stagionale, non della depressione maggiore. Sappiamo tutti come ci si sente dopo una settimana di vacanze in spiaggia, ma è l’effetto della luce solare, della vitamina D, dell’allontanarsi da lavoro e stress, dello stare con gli amici o di qualcos'altro? (13)
La vitamina D potrebbe essere utile nel trattamento della depressione maggiore, ma è ancora troppo presto per dirlo con certezza. Per saperlo con relativa sicurezza bisognerebbe studiare i pazienti con grave depressione maggiore, cui dovrebbe essere valutato il livello serico di base della 25 (OH) vit. D, che dovrebbero essere trattati per diversi mesi con dosi adeguate di vitamina D per innalzare il livello ad almeno 35 ng / mL, paragonando i risultati con un gruppo di controllo trattato con placebo. Nessuno ha mai pubblicato un tale studio. Tuttavia, non è presto per ascoltare i seguenti consigli. I pazienti depressi dovrebbero dosare i livelli serici di 25 (OH) vit. D. Se presentano livelli inferiori a 35 ng / mL (87 nM / L) sono in carenza di vitamina D e dovrebbero iniziare il trattamento. In condizioni di bassi livelli ematici di 25 (OH) vit. D, si è, di fatto, in carenza di vitamina D e si dovrebbe comunque, iniziare il trattamento, considerata la possibilità di poter prevenire oltre alla depressione molte altre gravi patologie non solo psichiatriche.

Bibliografia

1. McCann JC, Ames BN. FASEB J. 2008; 22: 982-1001.
2. Vieth R et al. Am J Clin Nutr 2007; 85: 649-50.
3. Bodnar LM et al. J Nutr 2007; 137: 447-52.
4. Stumpf WE, Privette TH. Psychopharmacology (Berl). 1989; 97(3): 285–94.
5. Harris S, Dawson-Hughes B. Psychiatry Res. 1993 Oct; 49 (1): 77–87.
6. Oren DA et al. Psychopharmacology (Berl). 1994 Dec; 116 (4): 515–6.
7. Lansdowne AT, Provost SC. Psychopharmacology (Berl). 1998 Feb; 135(4): 319–23.
8. Gloth FM et al. J Nutr Health Aging. 1999; 3(1): 5–7.
9. Schneider B et al. J Neural Transm. 2000; 107(7): 839–42.
10. Partonen T et al. Biol Psychiatry. 1996 May 15; 39(10): 865–72.
11. Kenny AM et al. J Am Geriatr Soc. 2003 Dec; 51(12): 1762–7.
12. Klerman GL, Weissman MM. JAMA. 1989 Apr 21; 261(15): 2229–35.
13. Zittermann A. Br J Nutr. 2003 May; 89 (5): 552–72
14. Rugulies R. Am J Prev Med. 2002 Jul; 23(1): 51–61.
15. Cuijpers P, Smit F. J Affect Disord. 2002 Dec; 72(3): 227–36.

giovedì 18 ottobre 2012

Il cervello dei neonati ha bisogno di omega-3 per svilupparsi


Neuroscienze e nutrizione: Il cervello dei neonati ha bisogno di omega-3 per svilupparsi





Supplementi di DHA per le donne che allattano al seno

L’Acido docoesaenoico (DHA) si ritiene essere un componente essenziale per il cervello e le guaine di rivestimento e protezione del sistema nervoso e, di conseguenza, indispensabile per la crescita e lo sviluppo del cervello dei bambini. In particolare quello dei nati prematuri che non potendo godere del terzo trimestre nella pancia della mamma, non possono beneficiare degli acidi grassi che si accumulano nei tessuti; ossia del DHA che ha un ruolo chiave nello sviluppo del suo cervello in formazione. In più, tenuto conto che il loro sistema gastrointestinale in genere è ancora immaturo, i problemi di salute possono aumentare il rischio di malnutrizione.

Per comprendere come una carenza di DHA (omega-3) avesse un impatto sulla salute dei neonati prematuri e come, nel caso, le madri che allattano al seno dovessero integrare questo acido grasso, i ricercatori canadesi del Centre Hospitalier Universitaire de Québec, guidati dalla professoressa Isabelle Marc dell’Università di Laval in Quebec, hanno condotto uno studio su 12 un gruppo di madri che pensavano di allattare al seno il proprio bambino una volta nato.
Queste neomamme sono state oggetto di una supplementazione ad alto dosaggio di DHA dalla 29ma settimana dal concepimento (o anche prima) fino alla 36ma settimana.
Durante il periodo e fino al parto, sono stati misurati i livelli nel latte materno del DHA, allo stesso modo sono stati analizzati i lipidi plasmatici sia nella mamma che nel bambino.
La supplementazione è durata fino a 49 giorni dopo il parto pretermine e i dati sono stati confrontati con un altro gruppo di controllo di madri con parti pretermine che, invece, non avevano assunto il DHA durante l’allattamento.

I risultati delle analisi hanno mostrato che i livelli di DHA nel latte materno delle madri che hanno ricevuto gli integratori sono stati quasi 12 volte superiore ai livelli nel latte delle madri nel gruppo di controllo. Inoltre, le concentrazioni plasmatiche di DHA nelle madri e neonati nel gruppo oggetto della supplementazione sono state 2-3 volte superiori a quelle del gruppo di controllo.
«I risultati hanno suggerito che una precoce supplementazione con DHA nell’allattamento in mamme con una dieta povera di DHA è riuscita ad aumentare lo stato di DHA in neonati molto prematuri», ha dichiarato la dottoressa Marc.
«I nostri risultati sottolineano l’urgente necessità di affrontare le raccomandazioni dietetiche per l’assunzione di DHA durante la lattazione delle madri di neonati pretermine per raggiungere il livello ottimale di DHA nel latte che deve essere offerto al bambino per una crescita ottimale e lo sviluppo neurologico, in quanto il contenuto di DHA nel latte materno delle madri che non consumano pesci durante questo periodo è molto probabilmente insufficiente», ha concluso Marc.
I risultati dello studio sono stati presentati il primo maggio alla riunione annuale della Pediatric Academic Societies (PAS) a Vancouver, Canada.

venerdì 12 ottobre 2012

Alcol in gravidanza, i danni neurologici al feto

Neuroscienze e Nutrizione: Alcol in gravidanza, i danni neurologici al feto

Una rassegna di oltre 500 pagine dei più recenti studi sullo spettro dei disordini feto-alcolici è stata realizzata e pubblicata dalla University of Canterbury per conto del Ministero della Salute della Nuova Zelanda (Elliott, L, Coleman, K, Suebwongpat, A, Norris, S. Fetal Alcohol Spectrum Disorders (FASD): systematic reviews of prevention, diagnosis and management. HSAC Report 2008). Il Fetal Alcohol Spectrum Disorder (FASD) descrive lo spettro di disabilità e di diagnosi associate all'esposizione prenatale all'alcol.

Questo gruppo di disturbi comprende la sindrome alcolica fetale (FAS), gli effetti alcolici sul feto (FAE), i danni congeniti alcol correlati (ARBD), i disturbi neuroevolutivi legati all'alcol (ARND). La FAS, forma di FASD clinicamente meglio riconoscibile, nel mondo occidentale è la principale causa di disabilità cognitiva non genetica (British Medical Association, 2007). La FAS consiste di deficit misurabili che includono caratteristiche malformazioni facciali, disturbi del cervello e del sistema nervoso, ritardo di sviluppo, mentre fra le condizioni associate vi sono malformazioni cardiache e renali, compromisisoni visive e uditive, difetti scheletrici e deficienze del sistema immunitario. L'azione teratogena dell'alcol può farsi sentire in qualsiasi fase della gravidanza. In particolare, l'esposizione all'alcol nelle prime tre settimane dal concepimento può danneggiare lo sviluppo iniziale del concepito e la formazione del tubo neurale. L'esposizione fra la quarta e la nona settimana può causare malformazioni del cervello e delle strutture craniche. Il modello di assunzione dell'alcol da parte della madre è fondamentale: l'assunzione intensiva di alcol (binge drinking) si associa con un più elevato tasso di anomalie FAS rispetto a un'assunzione dilazionata nel tempo. "La FASD - secondo gli Autori neozelandesi - è associata a un danno irreversibile dello sviluppo neurale e porta a conseguenze croniche per la persona, la sua famiglia e la società intera. Ma la FASD si può prevenire al 100% con astensione dall'assunzione di alcolici da parte delle persone in stato di gravidanza".