Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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lunedì 28 dicembre 2020

L'esposizione ai metalli può interferire con la gravidanza

| REDAZIONE DOTTNET |

Alcuni di essi possono disturbare il sistema endocrino che è responsabile della regolazione degli ormoni del corpo

L'esposizione a metalli come nichel, arsenico, cobalto e piombo può interferire con la gravidanza. 

Infatti, secondo uno studio della Rutgers University, pubblicato sulla rivista Environment International, può interrompere gli ormoni di una donna. L'esposizione ai metalli è stata già associata a problemi alla nascita come parti pretermine e basso peso nei bambini e preeclampsia nelle donne.  Questa nuova ricerca mostra invece come alcuni metalli possono disturbare il sistema endocrino che è responsabile della regolazione degli ormoni del corpo e contribuire alla successiva salute dei bambini e al rischio di malattie. Nello studio i ricercatori hanno analizzato campioni di sangue e urina di 815 donne incinte di Porto Rico, zona individuata proprio per la sua alta concentrazione di aree inquinate. Gli studiosi hanno scoperto che i metalli possono agire come interferenti endocrini, alterando le concentrazioni di ormoni prenatali durante la gravidanza. Secondo quanto accertato, le alterazioni degli ormoni steroidei sessuali durante la gestazione sono state associate a una crescita fetale inadeguata, conseguenza di un basso peso alla nascita. Questa, spiegano gli studiosi, è fortemente associata alla crescita sana di un bambino e al rischio di malattie croniche, tra cui obesità e cancro al seno.

mercoledì 23 dicembre 2020

Declino cognitivo: formaggio e vino rosso potrebbero rallentarlo

Formaggio e vino a tavola possono rallentare il declino cognitivo. 


A dirlo è una ricerca dell’Iowa State University che è stata pubblicata sulla rivista scientifica Journal of Alzheimer’s Disease. Lo studio, realizzato su 1.787 persone dai 46 ai 77 anni, ha dimostrato come il formaggio sia l’alimento più protettivo contro i problemi cognitivi legati all’età, anche quando si è molto in là con gli anni. Il consumo quotidiano di alcol, in particolare di vino rosso, è stato inoltre correlato ai miglioramenti della funzione cognitiva. Gli studiosi hanno anche scoperto come il consumo settimanale di carne di agnello (e non di altre carni rosse), riesca a migliorare le capacità cognitive a lungo termine.


“A seconda dei fattori genetici che si hanno, alcuni individui sembrano essere più protetti dagli effetti dell’Alzheimer, mentre altri sembrano essere maggiormente a rischio. Detto questo, credo che le giuste scelte alimentari possano prevenire la malattia e il declino cognitivo”, spiega Brandon Klinedinst, uno dei ricercatori che ha condotto l’analisi. I ricercatori hanno valutato in questa ricerca il consumo di frutta fresca, frutta secca, verdure crude e insalata, verdure cotte, pesce azzurro, pesce magro, carne lavorata, pollame, manzo, agnello, maiale, formaggio, pane, cereali, tè e caffè, birra e sidro, vino rosso, vino bianco e champagne e liquori.

Redazione nutri & previeni.

sabato 19 dicembre 2020

La nostra nuova collaborazione con il Centro di Neuroscienze Cliniche di Verona

Siamo lieti di comunicare la nostra collaborazione con


Il Centro si occupa di diagnosi e trattamenti di vari disturbi di origine neuropsichica e di natura psicocomportamentale, utilizzando la disciplina delle neuroscienze cliniche e un approccio multidisciplinare.

Si tratta di un modello integrato ed innovativo, finalizzato ad una migliore comprensione del funzionamento cerebrale e del comportamento correlato, al fine di mettere a punto trattamenti personalizzati dei vari disturbi e patologie rilevate. 

I medici utilizzano anche la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), di cui si occupano fin dal 2007, oltre che di altre tecniche finalizzate al ripristino delle normali funzioni cerebrali, dei comportamenti e alla promozione di stili di vita sani.

Il Centro, vista l’attuale emergenza, è impegnato anche nel fornire supporto medico internistico domiciliare in telemedicina ai pazienti con COVID-19 in fase precoce.

Per informazioni consultate il nostro sito web https://www.neuroscienze.online


La modificazione del microbiota intestinale all'origine della depressione

Un intestino in salute contribuisce alla normale funzione cerebrale

PSICHIATRIA | REDAZIONE DOTTNET | 17/12/2020 16:59

Uno squilibrio nella flora batterica intestinale può causare il collasso di alcuni metaboliti responsabili della depressione. Dunque, un intestino in salute porta a contribuire alla normale funzione cerebrale. A dirlo è uno studio francese dell'Istituto Pasteur, dell'Inserm e del Cnrs pubblicato su Nature Communications

Il microbiota intestinale è il più grande serbatoio di batteri del corpo. I ricercatori hanno appena scoperto come una modificazione del microbiota intestinale, causata da stress cronico, possa essere all'origine di uno stato depressivo, in particolare provocando un collasso dei metaboliti lipidici nell'organismo. La loro diminuzione si traduce in un grave malfunzionamento del sistema di comunicazione derivato da loro stessi. Questi metaboliti, infatti, si legano ai recettori che sono anche l'obiettivo primario del Thc, il componente attivo più noto della cannabis.  I ricercatori hanno scoperto che quando gli endocannabinoidi non erano più presenti in una regione chiave del cervello che partecipa alla formazione di ricordi ed emozioni, l'ippocampo, si verifica uno stato depressivo. Grazie al lavoro di ricerca, poi, hanno identificato alcune specie batteriche che sono notevolmente ridotte negli animali con disturbi dell'umore. Al contrario, hanno dimostrato che con il trattamento orale con questi stessi batteri è possibile ripristinare un livello normale dei derivati ;;lipidici e, di conseguenza, curare lo stato depressivo. Ecco perché gli studiosi francesi parlano di "psicobiotici".

venerdì 18 dicembre 2020

Il glutammato tra i responsabili delle emicranie

NEUROLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 16/12/2020 13:56

Grandi e numerosi "sbuffi" di glutammato nel cervello potrebbero aiutare a spiegare l'insorgenza dell'emicrania con aura

Grandi e numerosi "sbuffi" di glutammato nel cervello potrebbero aiutare a spiegare l'insorgenza dell'emicrania con aura - e potenzialmente essere coinvolti in un'ampia fascia di malattie neurologiche, tra cui ictus e lesioni cerebrali traumatiche. Lo dice uno studio condotto da un team di ricercatori guidato dalla prof.ssa Daniela Pietrobon dell'Università di Padova e dal prof. K.C.   Brennan dell'Università dello Utah. È ormai chiaro che l'emicrania è una malattia del cervello, ma le disfunzioni cerebrali che la causano rimangono in gran parte misteriose. Lo studio, condotto su topi da laboratorio, ha evidenziato che un aumento anomalo di glutammato nello spazio extracellulare - l'area tra le cellule cerebrali - può innescare onde di depolarizzazione simili a tsunami che si diffondono nel cervello causando emicrania e altri disturbi del sistema nervoso.

"Questi topi - dice Pietrobon - mostrano una aumentata suscettibilità alla "cortical spreading depolarization (Csd)", un'onda di depolarizzazione che insorge spontaneamente nel cervello degli emicranici e dà origine alla cosiddetta aura emicranica. Abbiamo dimostrato che nel cervello di questi topi c'è una rallentata e poco efficace rimozione del glutammato durante l'attività cerebrale, e che questo difetto è responsabile dell'aumentata suscettibilità alla Csd". Brennan ha implementato una nuova tecnica che permette di misurare otticamente il glutammato che viene rilasciato durante l'attività cerebrale di un topo sveglio e ha collaborato con Pietrobon per studiare le variazioni di glutammato durante l'attività cerebrale nei topi modello di emicrania in cui la rimozione del glutammato alle sinapsi eccitatorie è rallentata. Ha così scoperto che nella corteccia cerebrale dei topi mutati ci sono di tanto in tanto degli "sbuffi"di glutammato, cioè aumenti localizzati di glutammato, che non sono presenti nei topi selvatici non mutati.

Lo studio ha poi dimostrato che l'insorgenza della Csd è preceduta da una raffica di questi sbuffi di glutammato. Inibendo gli sbuffi di glutammato viene inibita anche l'insorgenza della Csd. Gli 'sbuffi' potrebbero perciò svolgere un ruolo chiave nell'insorgenza dell'attacco di emicrania con aura nell'uomo. "Non abbiamo alcuna evidenza diretta che questi sbuffi di glutammato siano presenti nella corteccia cerebrale umana - osserva Pietrobon -. Però ci sono dati nei pazienti emicranici che mostrano un alto livello di glutammato nel liquido cerebrospinale rispetto ai controlli sani. Bloccando il rilascio di glutammato inibendo localmente i canali del calcio dei terminali sinaptici neuronali abbiamo bloccato gli sbuffi e anche l'insorgenza della Csd nei topi modello di emicrania, ma non è pensabile un trattamento sistemico con tali bloccanti nell'uomo in quanto si andrebbe a bloccare la trasmissione sinaptica fisiologica del cervello. Sembra migliore la strategia di andare ad inibire specifici recettori del glutammato o andare ad aumentare la velocità e l'efficacia di rimozione del glutammato rilasciato". 

mercoledì 9 dicembre 2020

Sclerosi multipla, le cellule sono sane ma danneggiate da infiammazione

 

NEUROLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 07/12/2020 13:44

Lo rivela Science Advances che ha pubblicato due studi internazionali nati dal programma BRAVEinMS dell'Università Vita-Salute San Raffaele.

Arriva una svolta nella ricerca sulla sclerosi multipla: la scoperta - pubblicata sulla rivista Science Advances in due studi internazionali nati dal programma BRAVEinMS, coordinato da Gianvito Martino, prorettore alla ricerca e alla terza missione dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano - per la prima volta indica che le cellule finora indicate come responsabili della malattia perché danneggiate sono invece sane, ma la loro attività è compromessa dall'infiammazione dell'ambiente in cui si trovano.

Le cellule in questione sono quelle che producono la sostanza che riveste e protegge le connessioni fra le cellule nervose, la mielina, e i nuovi dati indicano che sono indistinguibili nelle persone con la malattia e in quelle sane. I nuovi risultati confermano quelli di una ricerca pubblicata lo scorso settembre dagli stessi ricercatori sulla rivista Acta Neurologica e sono stati ottenuti facendo regredire nello sviluppo cellule nervose prelevate da tre persone con la sclerosi multipla e da tre persone sane. Si sono ottenute così delle cellule immature, chiamate “staminali pluripotenti indotte”, ed è emerso che erano indistinguibili fra loro, mentre la loro capacità di produrre la mielina era compromessa solo quando le cellule si trovavano a contatto con cellule infiammatorie.

"Si tratta di una svolta importante nella comprensione dei meccanismi alla base della sclerosi multipla", ha osservato Martino. "La sclerosi multipla - ha proseguito Martino - è sempre stata considerata una malattia della mielina, cioè una malattia che peggiora progressivamente proprio perché le cellule che producono mielina (gli oligodendrociti) non riescono più a produrne di funzionante. La causa di tutto ciò si era pensato potesse essere dovuta ad un difetto intrinseco degli oligodendrociti". I nuovi risultati indicano adesso "che non è così - ha rilevato Martino - e che le cellule che producono mielina delle persone con SM non sono difettose in sé, anzi sono in grado di produrre mielina sana e funzionante. È l'ambiente infiammato in cui si trovano che ne condiziona l'efficienza rigenerativa”.

L’obiettivo del programma internazionale che Martino dirige, sostenuto dalla Progressive MS Alliance (PMSA) con il contributo dell'Associazione Italiana Sclerosi Multipla (Aism) con la sua Fondazione, è sviluppare nuove terapie per la sclerosi multipla con il contributo di otto centri di ricerca. Ai due studi appena pubblicati hanno contribuito, con il San Raffaele, University Hospital di Münster, Icm (Institut du Cerveau et de la Moelle épinière, l'Hôpital Pitié Salpêtrière) e McGill University di Montreal.