Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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martedì 28 aprile 2020

L'obesità è un ulteriore fattore di rischio per COVID-19


SANITÀ PUBBLICA | REDAZIONE DOTTNET | 27/04/2020 15:20

Il riconoscimento dei fattori di rischio di morbidità e mortalità è importante per determinare le strategie di prevenzione e per indirizzare i pazienti verso terapie adeguate.

I fattori di rischio associati a COVID-19 comprendono ipertensione, età avanzata, diabete e stato di immunodepressione. Uno studio condotto a New York su 3.615 pazienti sintomatici SARS-CoV-2 positivi ha mostrato che il 21% aveva un indice di massa corporea (BMI) compreso tra 30 e 34 ed il 16% >35. Il 51% delle persone visitate è stato dimesso dal pronto soccorso, il 37% ospedalizzato ed il 12% è stato direttamente ammesso o trasferito in terapia intensiva dopo il ricovero. Una differenza significativa per quanto riguarda l’ospedalizzazione e l’assistenza in terapia intensiva è stata riscontrata solo nei pazienti di età inferiore a 60 anni: quelli con un valore di BMI tra 30 e 34 mostravano circa il doppio di probabilità di essere ammessi in terapia intensiva rispetto agli individui con un BMI <30. Quelli con BMI >35 avevano fino a 3,6 volte più probabilità. Nelle persone al di sotto dei 60 anni - generalmente meno colpite da Covid-19 rispetto a quelle di età più avanzata - l’obesità sembra essere un ulteriore fattore di rischio, sinora non identificato, di ospedalizzazione e terapia intensiva.

Autori: Jennifer Lighter, Michael Phillips, Sarah Hochman et al

Titolo: Obesity in patients younger than 60 years is a risk factor for Covid-19 hospital admission

Rivista: Clinical Infectious Diseases, Published: 09 April 2020

giovedì 23 aprile 2020

Covid e animali domestici: tutto quello che bisogna sapere

Esiste la possibilità che gli animali da compagnia possano contrarre l’infezione attraverso il contatto con persone affette da Covid-19 e sviluppino occasionalmente la malattia. 
Al contrario non esistono evidenze che gli animali da compagnia svolgano un ruolo nella diffusione del virus all’uomo. 
Le persone positive al Covid-19 dovrebbero quindi evitare di avere contatti con gli animali e non dovrebbero, nei limiti del possibile, occuparsi del loro accudimento. 

I nostri animali domestici sono a rischio Covid-19? E possono trasmettere il virus all'uomo? A far luce e definitiva chiarezza sulla controversa questione è l'ultimo rapporto tecnico dell'Istituto superiore di sanità. Qui si spiega innazitutto che gli animali da compagnia possono essere potenzialmente esposti al virus Sars-CoV-2 in ambito domestico e contrarre l’infezione attraverso il contatto con persone infette. Ciononostante, allo stato attuale, non esistono evidenze che gli animali da compagnia svolgano un ruolo epidemiologico nella diffusione all’uomo di Sars-CoV-2. 

"La diffusione dell’infezione da virus Sars-CoV-2 nell’uomo avviene per contatto interumano - si spiega nel rapporto -. Tuttavia, i gatti, i furetti e, in misura minore, i cani sono suscettibili all’infezione con Sars-CoV-2. Non esistono evidenze che gli animali da compagnia abbiano un ruolo epidemiologico nella diffusione del virus all’uomo ma esiste la possibilità che gli animali da compagnia possano contrarre l’infezione attraverso il contatto con persone affette da Covid-19 e sviluppino occasionalmente malattia".

A tal proposito si chiaresce come, a fronte di oltre 2,3 milioni di casi di Covid-19 riportati nell’uomo, in tutto il mondo sono stati segnalati solo quattro animali (due cani e due gatti) con diagnosi certa per Sars-CoV-2 in condizioni naturali. "Ciononostante, occorre agire con un principio di precauzione ed evitare che gli animali possano contrarre l’infezione ed eliminare il virus, analogamente a quanto accade nell’uomo e come suggerito dalle infezioni sperimentali".

Dall'Istituto superiore di sanità spiegano poi che ridurre l’incertezza sulla caratterizzazione del rischio Sars-CoV-2 negli animali da compagnia "consentirà di formulare raccomandazioni più efficaci e di adeguare le misure di gestione del rischio Covid-19 con un approccio One-Health. Seguendo un criterio di rischio, la sorveglianza epidemiologica negli animali da compagnia dovrebbe concentrarsi sui soggetti esposti a persone affette da Covid-19, in particolare su quei soggetti che sviluppano malattia clinica e sugli animali morti. Per poterla realizzare, occorre una stretta e attiva collaborazione tra tutte le figure coinvolte nell’accudimento, cura e tutela sanitaria degli animali".

Quanto invece al rischio di esposizione a Sars-CoV-2 per gli animali da compagnia, questo nel rapporto viene conseiderato "assimilabile a quello cui sono esposte le persone che vivono nel medesimo nucleo abitativo. Nei nuclei con persone con sospetta o confermata Covid-19, occorre adottare misure di riduzione del rischio di esposizione, anche per gli animali".

Le persone positive al Covid-19 dovrebbero quindi evitare di avere contatti con gli animali presenti nel contesto domestico e non dovrebbero, nei limiti del possibile, occuparsi del loro accudimento. "Questo dovrebbe essere assicurato prioritariamente grazie all’aiuto di un familiare o convivente e in caso di necessità, prevedendo il ricorso ad aiuti esterni. Gli aiuti esterni dovrebbero adottare misure di protezione individuali e procedure che permettano di minimizzare il rischio di esposizione diretto (contatto con le persone presenti nel nucleo abitativo) o indiretto (contatto con l’ambiente abitativo). Gli aiuti esterni devono essere informati in anticipo se l’animale di cui si prendono cura appartiene ad un nucleo in cui vivono o hanno vissuto persone con sospetta o confermata Covid-19".

Si spiega inoltre come, in corso di epidemia Covid-19, "occorre evitare gli spostamenti non necessari, compresi quelli presso il medico veterinario di fiducia o, viceversa, da parte del veterinario per le visite domiciliari. Le visite veterinarie ambulatoriali e domiciliari, in particolar modo se condotte su animali provenienti da contesti abitativi con persone con diagnosi sospetta o confermata di Covid-19, devono essere realizzate con l’impiego di DPI e di procedure atte a minimizzare il rischio di esposizione. L’eventuale ricovero presso cliniche veterinarie, di animali provenienti da contesti abitativi con persone con diagnosi sospetta o confermata di Covid-19, deve prevedere la presenza di strutture e procedure atte a garantire la minimizzazione del potenziale rischio per il personale e gli altri animali eventualmente ricoverati".

"L’allontanamento temporaneo dell’animale dall’abitazione - si spiega nel Rapporto - deve avvenire solo per motivi di benessere, bisogni fisiologici (passeggiata) o di urgenza (cure veterinarie urgenti). L’affidamento esterno dell’animale è previsto solo nel caso di impossibilità a provvedere alla salute e al benessere dell’animale da parte del proprietario e dei familiari. Per il ricollocamento dell’animale si dovrebbe tenere conto del rischio di esposizione a Sars-CoV-2 nel contesto domestico da cui si allontana. La possibilità di eseguire un test diagnostico consente, qualora il risultato sia negativo, il trasferimento in qualsiasi contesto. Gli animali con diagnosi di infezione da Sars-CoV-2 devono essere segnalati alla Asl, posti in apposita struttura e sottoposti a monitoraggio".

In ogni caso, si sottolinea come le risorse per la diagnostica di Sars-CoV-2 (tamponi, reagenti, capacità organizzativa e di laboratorio) debbano essere prioritariamente destinate alla diagnostica in campo umano.

Arriviamo così al capitolo DPI. "La scelta dei DPI da parte di proprietari, volontari, veterinari, ecc., dovrebbe essere orientata da una valutazione del rischio relativamente allo stato sanitario dell’animale, al contesto nel quale si opera e alla tipologia di attività svolta".

In conclusione, si chiarisce che chi si prende cura degli animali in contesti abitativi con persone con sospetta o confermata Covid- 19, dovrebbe prestare particolare attenzione all’insorgenza di sintomi respiratori o gastroenterici (difficoltà respiratorie, tosse, vomito, diarrea, inappetenza, febbre) a carico dell’animale. "L’insorgenza di questi sintomi andrebbe tempestivamente segnalata per via telefonica al veterinario di fiducia. I casi di malattia per i quali sono state escluse le diagnosi differenziali che potrebbero spiegare la condizione clinica dell’animale andrebbero segnalati al Servizio Veterinario della Asl ed eventualmente sottoposti a test per Sars-CoV-2, da parte di un laboratorio autorizzato".

"Gli animali che dovessero venire a morte nei contesti domiciliari in cui vivono persone con sospetta o confermata Covid-19, dovrebbero essere segnalati al Servizio Veterinario della Asl e inviati all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale territorialmente competente, per gli accertamenti diagnostici del caso. Gli animali positivi ai test diagnostici per Sars-CoV-2 dovrebbero essere segnalati al Servizio veterinario della Asl ed essere posti in isolamento presso una struttura idonea dedicata, fino alla guarigione. Nei contesti abitativi in cui vivono persone con sospetta o confermata Covid-19, è possibile valutare l’opportunità di mantenere l’animale presso l’abitazione, solo se si realizzano condizioni abitative tali da consentire di limitare in modo efficace il contatto dell’animale positivo con altri animali e persone presenti nell’abitazione". 

Fonte:
Quotidiano Sanità
Rapporto ISS

mercoledì 8 aprile 2020

Riapertura al pubblico dello Studio Nutrizionistico

Gentili Pazienti, 

vi comunico la riapertura al pubblico dello Studio Nutrizionistico. 

La nostra attività rientra tra quelle ritenute essenziali da ultimo DPCM pertanto dopo aver sanificato e riordinato logisticamente l'ambulatorio per far fronte alle normative vigenti in fase di emergenza sanitaria siamo tornati operativi e pronti ad accogliere i pazienti. 

Info e prenotazioni al 349.6674360. 


Vi auguriamo Buona Pasqua!

lunedì 6 aprile 2020

Dieta personalizzata nel trattamento del cancro

Le diete su misura potrebbero un giorno svolgere un ruolo chiave nel trattamento del cancro, “affamando” i tumori di nutrienti chiave e persino aumentando l’efficacia di alcuni farmaci. 

Kanarek e colleghi, con il loro lavoro, hanno approfondito tre aree: come la limitazione di alcuni nutrienti influisce sul metabolismo cellulare e sull’interazione con le vie di segnalazione; come la supplementazione di alcuni nutrienti o l’esaurimento degli stessi potrebbe essere usato per curare il tumore e, infine, come dieta e terapia possono fornire un trattamento del cancro su misura.

Le restrizioni dietetiche del glucosio e del fruttosio, che alimentano la crescita del tumore, sono probabilmente utili nel trattamento di molti tipi di cancro, osservano gli autori. Sebbene non vi siano prove sufficienti per raccomandare, ad esempio, una dieta chetogenica, “ridurre il consumo di glucosio, monitorare i suoi livelli nel sangue e la secrezione di insulina nei pazienti e aiutare i pazienti a mantenere una dieta a basso contenuto di carboidrati probabilmente migliorerà la sopravvivenza a molti pazienti con il cancro”.

Altri potenziali approcci discussi da Kanarek e dal suo team comprendono la restrizione dietetica di aminoacidi come metionina e serina; l’integrazione con istidina o mannosio; e l’esaurimento farmacologico di asparagina, arginina, cistina, acido folico.

Altri possibili obiettivi trattati nella revisione includono glutammina e glutammato, aspartato, alanina e acidi grassi.

“Sebbene la manipolazione dietetica di molti dei metaboliti esaminati qui abbia mostrato un chiaro beneficio pre-clinico e alcuni di essi abbiano mostrato risultati promettenti negli studi clinici, non ci sono ancora linee guida chiare o regimi raccomandati di modificazione dietetica per i pazienti con cancro – conclude Kanarek – Occorre un maggior lavoro clinico e più ricerca preclinica sulla comprensione di come le modifiche dietetiche inibiscono il cancro in vivo prima che gli interventi dietetici diventino un approccio comune alla terapia contro il cancro”.


Fonte: Nature
Anne Harding
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Nutri&Previeni)