Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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martedì 30 gennaio 2018

Zucchero e dolci accelerano il declino cognitivo

Il diabete o comunque lo scarso controllo dei livelli di zucchero nel sangue (glicemia) potrebbe accelerare l'invecchiamento del cervello. Infatti uno studio pubblicato sulla rivista Diabetologia mostra che avere diabete o prediabete (condizione di scarso controllo della glicemia che precede esordio malattia vera e propria) è associato ad accelerato declino cognitivo. Lo studio ha coinvolto 5139 soggetti (diabetici, prediabetici e sani) ed è stato condotto da Wuxiang Xie dell'Imperial College London. La ricerca mostra che, indipendentemente o meno dalla diagnosi di malattia, chi ha difficoltà a mantenere il controllo dello zucchero nel sangue a lungo termine, presenta un accelerato declino delle funzioni mentali globali e in particolare di abilità quali memoria e funzioni esecutive (ad esempio abilità di pianificazione, risoluzione dei problemi etc) rispetto a coetanei che hanno un buon controllo glicemico.

Gli esperti hanno analizzato a più riprese (mediamente 5 volte nell'arco di diversi anni) le funzioni cognitive del campione e misurato il loro controllo glicemico a lungo termine con un test classico, quello dell''emoglobina glicata' nel sangue (emoglobina legata a molecole di zucchero). Più erano elevati i valori di emoglobina glicata (indice di un pessimo controllo glicemico), più rapido era il declino cognitivo dell'individuo rispetto a coetanei con migliore controllo glicemico. Questo è risultato vero sia per chi già soffre di diabete, sia per chi non ha ancora sviluppato la malattia. Significa che ritardare il più possibile l'esordio del diabete o comunque gestire bene la malattia con un impeccabile controllo glicemico nel tempo possono essere strategie utili a rallentare il declino cognitivo.

Diabetologia | Redazione DottNet | 28/01/2018 19:51

giovedì 25 gennaio 2018

Batteri dell'intestino e geni per la prevenzione oncologica

I batteri intestinali provenienti dalla digestione di frutta e verdura possono produrre un segnale chimico che colpisce il genoma umano, innescando cambiamenti che aiutano a prevenire il cancro. A far luce sul meccanismo con cui i batteri "buoni" nell'intestino possono controllare l'espressione dei geni nelle nostre cellule, e di conseguenza sul meccanismo protettivo innescato da una dieta sana, è uno studio pubblicato su Nature Communications, a cui hanno collaborato anche ricercatori italiani. Scienziati del Babraham Institute, vicino a Cambridge, in collaborazione con colleghi dell'Università statale di Campinas a San Paolo e dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, hanno dimostrato che le sostanze chimiche prodotte dai batteri nell'intestino dalla digestione di frutta e verdura, chiamate acidi grassi a catena corta, possono influenzare la composizione del genoma delle cellule che compongono il rivestimento intestinale e quindi influenzarne il comportamento.
Aumentano infatti il numero di marcatori chimici (crotonilazioni) su alcune regioni del genoma, bloccando una classe di proteine chiamate HDAC, tra cui HDAC2, implicata nello sviluppo delle neoplasie. Comunicando in questo modo, i batteri possono influire sulla risposta dell'organismo al tumore e aiutare a prevenire così alcuni tipi di cancro. Studiando i topi che avevano perso la maggior parte dei batteri nel loro intestino, i ricercatori hanno infatti mostrato che le loro cellule contenevano più proteina HDAC2 rispetto al normale, caratteristica che altri studi hanno collegato ad un aumentato rischio di cancro del colon-retto. "Il nostro studio offre un nuovo interessante target di farmaci da studiare ulteriormente", ha dichiarato il primo autore della ricerca, Rachel Fellows.

Fonte: Nature Communications

Il cervello regola il peso corporeo

Sembra essere in una 'antenna' presente sulle cellule nervose il segreto che consente al cervello di regolare il peso corporeo. Ad evidenziare una possibile chiave per capire l'obesità è uno studio su topi condotto da ricercatori della UC San Francisco e pubblicato su Nature Genetics. La scoperta, i cui risultati suggeriscono potenziali nuovi approcci terapeutici al problema, è avvenuta studiando un raro difetto genetico che provoca malattie accompagnata da obesità estrema. L'inclinazione a un aumento di peso malsano è dovuta per il 60-70 per cento ad alterazioni genetiche che interessano i livelli di leptina, ormone che regola l'appetito. Fondamentale nel corretto funzionamento del "circuito della fame" è il ruolo del recettore MC4R, le cui mutazioni rappresentano la più frequente causa di obesità grave.

La nuova ricerca mostra il ruolo, precedentemente trascurato, svolto dal cilio primario neuronale, struttura che sporge dalla superficie dei neuroni agendo come una sorta di antenna. Per capire se vi fosse un legame tra difetti su MC4R e alterazioni al ciglio primario (frequenti in malattie rare collegate ad obesità estrema come la sindrome di Bardet-Biedl), i ricercatori hanno reso fluorescente la proteina MC4R nel cervello dei topi di laboratorio e scoperto che è concentrata in modo univoco nel cilio primario. Inoltre, in casi di obesità estrema, MC4R non riesce a raggiungere il cilio primario, impedendo al cervello di "tirare il freno" per evitare l'aumento eccessivo di peso. I neuroscienziati sono abituati a pensare come responsabili delle segnalazione al cervello la comunicazione elettrica tra i neuroni (sinapsi) mentre la ricerca evidenzia il ruolo cilio nella segnalazione neuronale. "Abbiamo scoperto un nuovo principio biologico attraverso il quale i neuroni possono comunicare", sottolinea Jeremy Reiter, Capo Dipartimento di Biochimica della UCSF.



Nutrizione | Redazione DottNet | 08/01/2018 21:53