Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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martedì 9 maggio 2017

Cibo salato stimola la fame


Alcuni ricercatori del Centro Max Delbrck di Berlino e della Vanderbilt University, nel Tennessee, approfittando dell’occasione di un viaggio simulato su Marte, hanno condotto uno studio a bordo della navicella disponibile per le simulazioni, che ha mostrato come i cibi salati, contrariamente a quanto si è sempre creduto, non farebbero venire sete, ma fame. I cosmonauti che mangiavano più sale infatti, trattenevano più acqua, e pertanto non avevano particolare sete ma bisogno di più energia.

Lo studio
Gli scienziati hanno osservato due gruppi di 10 volontari (il primo esaminato per 105 giorni, il secondo per 205), cui sono state fornite diete uguali ma con diversi livelli di sale nel cibo. Coloro che avevano assunto più sale hanno urinato maggiormente ma questo non li ha portati a bere di più. Hanno anzi bevuto di meno poiché il sale ha innescato un meccanismo per conservare l’acqua. Prima si riteneva che gli ioni di sodio da cui è composto il sale si legassero alle molecole di acqua e la trasportassero nelle urine.

I nuovi risultati, pubblicati sul Journal of Clinical Investigation, mostrano invece che il sale viene trasportato nelle urine, mentre l’acqua resta immagazzinata nei reni, provocando minor necessità di bere. Secondo ricerche svolte sui topi è emerso che ciò potrebbe esser dovuto all’urea, sostanza che contrasta la tendenza delle molecole di acqua ad esser trascinate via dagli ioni di sodio. Ma la produzione di urea richiede molta energia, il che spiega perché i topi con una dieta con più sale mangiavano di più, così come i cosmonauti con dieta salata lamentava di essere più affamati.

Steatosi epatica non alcolica: il DHA in aiuto del fegato grasso

Uno dei grassi del gruppo degli omega-3, chiamato acido docosa-esa-enoico (DHA) è un grasso ‘buono’ presente ad esempio in pesci come salmone e tonno. Questo grasso sembra proteggere gli obesi da gravi danni e malattie del fegato come cirrosi o cancro. Lo rivela uno studio condotto presso la Oregon State University e pubblicato sulla rivista PLOS ONE.


Gli obesi vanno spesso incontro a una grave malattia del fegato, la steatosi epatica non alcolica (più comunemente detta fegato grasso) che sfocia spessissimo in cirrosi o cancro e per la quale ad oggi non esiste alcuna cura farmacologica. L’unica possibilità terapeutica è data dall’intraprendere una dieta molto stretta e portarla a termine fino in fondo, cosa che però pochi riescono veramente a fare.


Gli esperti hanno fornito del DHA a topi obesi con fegato grasso e visto che questa integrazione blocca la progressione della malattia e previene l’insorgenza di cirrosi o cancro anche se gli animali continuano a seguire una dieta sbagliata (la cosiddetta dieta occidentale), troppo ricca di grassi e zuccheri.


Infine gli esperti hanno visto che pazienti obesi con fegato grasso hanno pochi omega-3 nel sangue e che quando le quantità di questi grassi sani sono aumentate la progressione della steatosi si è fermata.


Nella situazione attuale in cui non esiste alcuna cura per la steatosi epatica, avere un nutriente così facilmente disponibile come il DHA potrebbe essere fondamentale per fermare la diffusione di gravi e spesso mortali malattie epatiche.