Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


Studio Borgo Roma - Via Santa Teresa 47 (ingresso Via Bozzini 3/A), 37135, Verona.

Info. e prenotazioni - Segreteria: 349.6674360

e-mail: info@tedesconutrizionista.it

e-mail pec: vincenzo.tedesco@pec.enpab.it

web: www.tedesconutrizionista.it

giovedì 22 ottobre 2015

Anoressia: mangiare poco è un’abitudine


Le persone che soffrono di anoressia nervosa, non sembrano doversi trattenere per mangiare poco, ma hanno ormai acquisito questo comportamento come se fosse un’abitudine. Questo è il risultato di uno studio pubblicato su Nature Neuroscience, che spiega come mai è molto difficile guarire da questa grave malattia, che si ripresenta entro un anno nel 50% dei pazienti che apparentemente sono migliorati.

I ricercatori hanno analizzato il cervello di 21 donne con anoressia e 21 sane mentre sceglievano quale cibo mangiare. Le donne anoressiche, nonostante la volontà dichiarata di guarire, avevano una probabilità maggiore di scegliere cibi a basso contenuto calorico, e una minore propensione a definire ‘gustosi’ i cibi invece ricchi di grassi. La scansione del cervello delle pazienti ha rivelato che in entrambi i gruppi, al momento di scegliere, si attivava un’area del cervello chiamata striato ventrale, che fa parte dell’area dedicata alle ricompense.

“Ma nelle anoressiche – scrivono gli autori – “ si notava una maggiore attività nello striato dorsale, un’area coinvolta nei comportamenti abituali, e questo suggerisce che questi soggetti agiscano automaticamente e in base alle esperienze passate”.

Integratori alimentari: sono davvero innocui?

Che siano vitamine, sali minerali, amminoacidi, prodotti erboristici, prodotti dimagranti o energizzanti, gli integratori alimentari vanno assunti con cautela, perché possono provocare fastidi che richiedono un pronto soccorso, come rivelato in un’indagine americana pubblicata sul New England Journal of Medicine da Andrew Geller dei Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta.

Molti americani sono finiti al pronto soccorso dopo aver assunto integratori: sia i bambini che li ingeriscono senza il controllo dei genitori, sia gli anziani (per incidenti mentre li ingoiano – soffocamento), ma anche i giovani con complicanze e sintomatologia cardiovascolare.

Gli esperti hanno analizzato un database di eventi avversi dopo l’assunzione di integratori, riferiti da 63 ospedali evidenziando 3.667 casi di accesso al pronto soccorso legati all’uso di integratori. Da queste evidenze i ricercatori USA hanno estrapolato una stima annuale di 23.005 eventi avversi per la popolazione americana, legati all’uso di integratori.

Il 21,6% di tali eventi riguarda bambini sotto i 5 anni che hanno assunto integratori senza il controllo dei genitori. Il 28% riguarda invece adulti di età 20-34 anni, nella maggior parte dei casi legati all’assunzione di integratori alimentari con effetti dimagranti o prodotti per body builder o per prodotti (maschili) venduti per il potenziamento sessuale. Anche gli anziani sono coinvolti, soprattutto per problemi legati all’ingestione delle pillole (il 40% dei casi di accesso al pronto soccorso).

Lo studio evidenzia, sostanzialmente, come anche gli integratori alimentari – spesso assunti senza consultare il medico – possono comportare rischi di diversa gravità per la salute.

Tra i problemi più spesso riferiti, soprattutto nella fascia di età 20-34 anni, vi sono complicazioni cardiache (dolore toracico, palpitazioni, tachicardia) nel 71,8% dei casi imputabili a un eccesso di prodotti dimagranti o sostanze usate dagli amanti del body building.

venerdì 9 ottobre 2015

Frutta per combattere Alzheimer e Parkinson

Gli antiossidanti presenti nella frutta aiutano a prevenire le malattie legate all’invecchiamento cellulare, come il morbo di Parkinson e l’Alzheimer.

Lo confermano i risultati di uno studio, cominciato nel 2010, e condotto dai ricercatori della Fondazione Mach (Fem) nei laboratori di metabolomica di San Michele all’Adige, in Trentino. La ricerca ha monitorato l’effetto dei metaboliti della frutta sull’organismo umano esplorando le loro eventuali interazioni con i meccanismi cellulari.
E i risultati sono stati pubblicati sulla rivista dell’American Chemical Society, “Acs Chemical Neuroscience” in un articolo dal titolo: ”Polifenoli della frutta e il loro destino nei mammiferi” .

In particolare, lo studio ha approfondito gli effetti dell’acido gallico, presente nel vino e nei piccoli frutti (frutti di bosco), dimostrando che quantità significative di questo polifenolo si depositano proprio nel cervello, e potrebbero così agire come fattori di prevenzione di alcune malattie legate all’invecchiamento dei neuroni e, di conseguenza, anche alla neuro-degenerazione.

Il lavoro, condotto in collaborazione con l’Università di Trento, è stato realizzato da Mattia Gasperotti nell’ambito di un progetto di dottorato, coordinato dalla ricercatrice e ambasciatore per la scienza in Slovenia, Urska Vrhovsek.

giovedì 1 ottobre 2015

Pesce spada probiotico

È stato realizzato da ricercatori dell’Istituto di scienze delle produzioni alimentari (Ispa) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) un filetto di pesce spada pronto da mangiare e in grado di veicolare nell’intestino umano probiotici selezionati, senza subire alterazioni nel suo contenuto proteico. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Functional Foods.

Potenziare l’effetto barriera della mucosa intestinale, stimolare la risposta immunitaria umorale e modulare i componenti del sistema immunitario intestinale. Queste le principali funzioni terapeutiche dei probiotici, prodotti funzionali che contengono microorganismi in grado di coadiuvare le attività delle popolazioni dei batteri lattici che risiedono nell’intestino.

In virtù di questa relazione tra salute e batteri benefici, il mercato degli alimenti funzionali probiotici ha subito negli ultimi anni un forte impulso orientandosi sull’individuazione di alimenti della dieta quotidiana in grado di agire da carrier (trasportatori) biologici per il trasporto di cellule vive e attive nell’intestino.

In quest’ambito, un gruppo di ricercatori dell’Istituto di scienze delle produzioni alimentari del Consiglio nazionale delle ricerche (Ispa-Cnr) di Bari e Torino ha realizzato, in collaborazione con l’Azienda Copaim Spa di Albinia (Grosseto), un filetto di pesce spada pronto da mangiare e in grado di trasportare nell’intestino umano un’adeguata concentrazione di un microorganismo probiotico selezionato. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul Journal of Functional Foods.

“Abbiamo condotto un trial nutrizionale”, spiega Paola Lavermicocca, autrice del lavoro e coordinatrice della ricerca, “su 8 soggetti sani a cui sono stati somministrati a giorni alterni 100 grammi di filetto probiotico per un totale di 20 giorni. Dopo il consumo di sole 5 porzioni di pesce, l’intestino risultava già colonizzato dai microorganismi, fornendo quindi gli stessi benefici di un’assunzione quotidiana che è generalmente suggerita per gli alimenti probiotici.

Inoltre, il ceppo probiotico selezionato sopravvive nel prodotto nel corso della conservazione in una marinatura a ridotto contenuto di sale ed è risultato efficace nel preservare le proprietà nutrizionali del pesce, mantenendo inalterati il contenuto di amminoacidi ed il profilo proteico”.
Il filetto di pesce probiotico amplia l’offerta di alimenti funzionali rappresentando una valida soluzione anche per consumatori che seguono un regime dietetico a basso contenuto di colesterolo e/o lactose-free (senza lattosio). “I risultati sono stati ottenuti – aggiunge Francesca Valerio dell’Ispa-Cnr – grazie alla ricerca condotta in questi anni che ci ha portato a isolare, selezionare e caratterizzare un ceppo probiotico di Lactobacillus paracasei con ottime performance tecnologiche, utilizzato per realizzare olive e carciofi probiotici la cui efficacia è stata confermata da trials nutrizionali condotti in collaborazione con il Reparto di gastroenterologia dell’Ircss Saverio De Bellis di Castellana Grotte”.
La ricerca svolta dall’Ispa è una delle tematiche di interesse della rete Nutrheff – Nutraceutical Health Enhancing Functional Foods, il network promosso dal Dipartimento di scienze bio-agroalimentari del Cnr volto a favorire l’interazione, la crescita e la diffusione della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico nel campo degli alimenti funzionali e dei nutraceutici.

La dieta che fa male al cervello

Una dieta abituale malsana, di stile “occidentale”, caratterizzata da carne, hamburger, patatine fritte e bevande analcoliche zuccherate e colorate, sembra ridurre il volume dell’ippocampo sinistro (regione del cervello che presiede i processi di apprendimento e memorizzazione delle informazioni ricevute e sovraintende il senso dell’olfatto), mentre una dieta sana di verdure fresche e pesce può aumentare il volume ippocampale.

Questo è quanto, in sostanza, si evidenzia in uno studio che ha coinvolto oltre 250 soggetti, pubblicato online su BMC Medicine. I ricercatori hanno riscontrato che nel corso di un periodo di 4 anni, c’era una differenza di più di 200 millimetri cubi nel volume ippocampale tra gli individui che avevano condotto una dieta abituale sana e coloro che avevano consumato una dieta malsana.

“A nostra conoscenza, questo è il primo studio a dimostrare nell’uomo le associazioni tra dieta e il volume ippocampale, ed è coerente con i dati precedentemente osservati negli studi su animali”, hanno scritto i ricercatori guidati da Felice N. Jacka, professore della Division of Nutritional Psychiatry Research presso la Deakin University (Geelong, Australia) e presidente della Iternational Society for Nutritional Psychiatry Research.

“Questi risultati suggeriscono la possibilità di interventi dietetici per promuovere la salute dell’ippocampo, diminuire l’atrofia cerebrale (riduzione del peso, del volume e delle funzioni) correlata all’età, e prevenire le conseguenze negative sulla salute associate con l’atrofia ippocampale” hanno aggiunto.