Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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giovedì 18 giugno 2015

Rischio di diabete di tipo 2 in presenza di grasso corporeo e familiarità


Lo studio ha analizzato la popolazione METSIM, un gruppo di 10.197 soggetti di mezza età, scelti a caso, per i quali sono state raccolte una serie di informazioni tra cui fenotipizzazione estesa e familiarità al diabete. Tali soggetti sono stati analizzati al basale e dopo un periodo di follow-up di 6 anni. Un sottogruppo di 158 individui sani sono stati inoltre analizzati per valutare le conseguenze metaboliche di un aumento del grasso viscerale rispetto a quello sottocutaneo.

Al basale gli individui con parenti di primo e/o secondo grado con diabete (FH+) avevano un aumento di circa 2 volte nella prevalenza di diabete di tipo 2 rispetto a individui senza familiarità al diabete (FH-). Soggetti con parenti di primo grado affetti da diabete erano più spesso obesi o in sovrappeso rispetto a soggetti FH-. Essi inoltre avevano un più alto rischio di sviluppare diabete di tipo 2 o malattie cardiovascolari rispetto a soggetti FH- e, anche se non obesi, erano maggiormente suscettibili alle conseguenze negative di un aumento del grasso corporeo. L’analisi per sottogruppi ha mostrato che le conseguenze metaboliche dell’aumento di grasso corporeo erano per lo più dovute al grasso ectopico/viscerale rispetto al grasso sottocutaneo. In ultimo, l’aumentato profilo di rischio osservato in individui FH+ non risultava alterato aggiustando i risultati per i 43 geni noti per essere maggiormente correlati al rischio di diabete.


In conclusione la familiarità al diabete, in particolare la presenza di parenti di primo grado con diabete di tipo 2, è associata sia a un maggiore rischio di diventare sovrappeso o obesi, sia ad una maggiore suscettibilità alle conseguenze negative dell’aumento del grasso corporeo, probabilmente dovute a una maggiore propensione ad accumulare grasso ectopico e non sottocutaneo.

Articolo originale
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/joim.12289/abstract

venerdì 5 giugno 2015

Passare troppo tempo su Facebook facilita la depressione.

Uno studio polacco, condotto all'Università di Lublino su 672 utenti del social rivela che gran parte degli utenti più accaniti ha mostrato disordini come depressione, solitudine, disturbi della sfera sessuale. 

Giovane, uomo, disposto a trascorrere molto tempo on line: ecco l’identikit della persona che ha un’insana dipendenza da Facebook. Agata Blachnio e un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica “Giovanni Paolo II” di Lublino (Polonia) hanno sottoposto 672 utenti – di età compresa tra i 15 e i 75 anni, per una media di 28 – a una serie di questionari, compresi alcuni test cognitivi. L’obiettivo principale dello studio era quello di valutare la potenziale relazione fra l’uso di Internet – e in particolare di Facebook – e la depressione.

“Gran parte degli utenti più accaniti ha mostrato disordini come depressione, solitudine, disturbi della sfera sessuale”, hanno commentato gli autori dello studio. Il team di ricerca ha scoperto anche che la quantità di tempo trascorsa ogni giorno on line era correlata positivamente a frequenti accessi a Facebook, e la navigazione su questo sito era legata a picchi più alti di depressione. “Un eccessivo coinvolgimento nel social media provoca distrae dalle attività quotidiane e dalle relazioni interpersonali” concludono i ricercatori.

giovedì 4 giugno 2015

Cervello e sistema immunitario: individuato l'anello mancante.

Una nuova scoperta relativa al corpo umano e al suo funzionamento annuncia che il cervello sembra collegato in maniera diretta al sistema immunitario attraverso vasi linfatici la cui presenza nel cervello era ‘sconosciuta’ fino ad oggi. Proprio questi vasi, che erano ‘sfuggiti’ alla mappatura del sistema linfatico a causa della difficoltà nel rintracciarli, rappresenterebbero l’anello di congiunzione tra il cervello e il sistema immunitario. Lo afferma uno studio, guidato dalla University of Virginia(UVA) School of Medicine (University of VirginiaHealth Sistem), che è stato pubblicato** sulla prestigiosa rivista Nature.

Lo studio è svolto su modello animale di topo e i risultati potrebbero avere profonde implicazioni per varie malattie neurologiche con componente immunitaria, dall’autismo all’Alzheimer fino alla sclerosi multipla, affermano gli autori dello studio.

Secondo gli scienziati, il risultato colma un importante ‘gap’, cioè una mancanza di conoscenze, nella comprensione del funzionamento dell’organismo umano; inoltre, la scoperta apre nuove aree di ricerca, modificando l’assetto di settori di studio già esistenti. “I libri di testo dovranno essere modificati”, aggiunge Kevin Lee, chairman del Dipartimento di Neuroscienze della University of Virginia,

“Invece di domandarsi: ‘in che modo studiamo la risposta immunitaria del cervello?’ e ‘perché i pazienti con sclerosi multipla presentano attacchi immunitari?’, ora possiamo adottare un approccio automatico. Questo avviene perché il cervello è come qualsiasi altro tessuto connesso al sistema immunitario periferico attraverso i vasi linfatici meningei”, ha affermato Jonathan Kipnis, PhD, Professore al Dipartimento di Neuroscienze e Direttore del Centro BIG (Center for Brain Immunology and Glia) presso la stessa Università, “Questo dato cambia interamente il modo di percepire l’interazione neuro-immunitaria”.

Kevin Lee aggiunge che finora “non è mai esistito un sistema linfatico per il sistema nervoso centrale. È risultato molto chiaro, fin dalla prima particolare osservazione – e a partire da quella i ricercatori hanno svolto molti studi per sostenere il risultato – che le modalità con cui si guarderà al rapporto tra sistema nervoso centrale e sistema immunitario cambieranno in maniera radicale”.

Il sistema linfatico è costituito da un’intricata trama di vasi e rappresenta un’importante struttura del nostro organismo. Esso assume diversi ruoli, tra cui uno di essi riguarda la funzione di raccogliere i fluidi tra gli interstizi dei tessuti per drenarli e trasportarli verso regioni centrali del corpo. Il sistema linfatico, inoltre, svolge anche una funzione di selezione e eliminazione delle parti di rifiuto e delle sostanze ‘nemiche’ dell’organismo (come i patogeni) ed è collegato al sistema immunitario.

Il risultato* e le prospettive
Lo studio è stato condotto in laboratorio sul topo.Finora, la mancata osservazione dei vasi linfatici del cervello è probabilmente dovuta al fatto che essi erano “nascosti molto bene”, spiega Jonathan Kipnis. Oggi, questi vasi sono stati ‘fotografati’ tramite tecniche di imaging (generazione di immagini) in un’area molto difficile da visualizzare, nei ‘sinus’, cavità la maggior parte delle quali si trova nelle ossa del viso ed è connessa con le cavità nasali. Quest’area “è così vicina ai vasi sanguigni che puoi perderla”, aggiunge l’esperto. “Se non sai cosa stai cercando, la perdi”.
Nell’immagine in calce al testo si può trovare la mappa del sistema linfatico prima (immagine sulla sinistra) dello studio odierno e dopo (immagine di destra) il risultato odierno ottenuto dalla University of Virginia pubblicato su Nature.

Ed ora l’identificazione della presenza di questi vasi linfatici apre un enorme numero di questioni relative sia al funzionamento del cervello che alle malattie che lo colpiscono, tra cui ad esempio l’Alzheimer, secondo i ricercatori. “Nell’Alzheimer, si verificano accumuli di grandi frammenti di proteine”, spiega Kipnis. “Riteniamo che tali frammenti potrebbero accumularsi a causa del fatto che non vengono rimossi in maniera efficace da questi vasi sanguigni”. Questi vasi, inoltre, cambiano aspetto all’aumentare dell’età dell’individuo, dunque il ruolo che essi giocano nella fase dell’invecchiamento rappresenta un’altra strada da esplorare. Altre malattie verso le quali rivolgere l’attenzione alla luce di questo risultato sono l’autismo e la sclerosi multipla. “Riteniamo che per ciascuna malattia neurologica che ha una componente immunitaria, tali vasi sanguigni possano giocare un ruolo centrale”, ha affermato il Professore. “È difficile immaginare che questi vasi non siano coinvolti in una malattia [neurologica] con una componente immunitaria”.

Kipnis è inizialmente rimasto molto sorpreso. “Non credevo davvero che ci fossero strutture nel corpo ancora non conosciute. Pensavo che il corpo umano fosse stato mappato”, prosegue l’esperto, inizialmente sorpreso del risultato”, afferma. “Ritenevo che queste scoperte avessero trovato una conclusione nella metà del secolo scorso. Ma apparentemente non è così”.