Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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mercoledì 23 dicembre 2015

Ami il Natale? Merito delle “aree neurali” del cervello

Perché alcuni sono in sintonia col Natale e si lasciano trascinare dal suo spirito e altri, invece, hanno la ”sindrome di Scrooge”, (il personaggio del racconto ”Il canto di Natale” che odiava questa festa), con indifferenza e ostilità? La risposta si nasconderebbe in un meccanismo del cervello individuato con un lavoro pubblicato sul British Medical Journal. Scienziati danesi hanno infatti localizzato lo spirito del Natale in diverse aree neurali. Secondo quanto riferito da Bryan Haddock dell’Università di Copenaghen, queste aree si attivano in maniera più intensa di fronte a immagini legate al Natale, ma solo nel cervello di persone che amano festeggiarlo e ne vivono lo spirito. Per il cervello dei tanti Scrooge, invece, il Natale resta una ”sciocchezza” e l’attivazione di quelle regioni neurali è molto meno intensa. Tutti conoscono il personaggio dickensiano di Scrooge (ne Il canto di Natale) e il suo odio verso il Natale; si è coniato addirittura il termine “sindrome di bah humbug” che significa proprio “Eh via! sciocchezze!,” la risposta arcigna di Scrooge agli auguri di Natale del nipote. I ricercatori hanno voluto vedere se vi fosse una differenza nel cervello di persone che amano il Natale e di chi invece non ne segue la tradizione. Così hanno coinvolto 20 individui, dieci amanti della tradizione natalizia e dieci no. Li hanno sottoposti a una risonanza magnetica mentre mostravano loro richiami natalizi. L’attivazione del cervello di amanti del Natale e di Scrooge è risultata molto diversa. Nei primi si attivano molto intensamente aree neurali non a caso già collegate in precedenti ricerche alla predisposizione alla spiritualità, alla tendenza all’autotrascendenza (a vedere oltre se stessi, vedersi parte di un tutto), all’empatia, immedesimarsi negli altri. Queste aree sono regioni della corteccia motoria e premotoria (importanti per l’empatia), parte dei lobi parietali (per la spiritualità), parte della corteccia somatosensoriale (importante nella percezione di sensazioni come odori e sapori).

venerdì 4 dicembre 2015

Obesità: dimagrire con i batteri del gelo

L’esposizione al freddo modifica la flora batterica intestinale e questo scatena una serie di alterazioni a livello dell’intestino, che possono portare alla perdita di peso e ad una miglior risposta all’insulina. L’Akkermansia muciniphila, un batterio della flora intestinale somministrato come ‘farmaco’, potrebbe determinare una perdita di peso.

Uno studio condotto dall’Università di Ginevra, dimostra che l’esposizione al freddo provoca una repentina alterazione della flora batterica intestinale, che porta ad un’attivazione del grasso bruno e, almeno negli animali da esperimento, a perdita di peso e ad una migliore sensibilità all’insulina. Trapiantando questo microbioma modificato dall’esposizione al freddo in un animale senza flora intestinale (germ-free) si determina nel ricevente un aumento dei livelli di grasso bruno e la sua sensibilità all’insulina migliora. Senza che sia necessario esporlo al freddo.

Tuttavia, fanno notare gli stessi autori, una prolungata esposizione al freddo può attenuare questa propensione a perdere peso, poiché l’organismo si adatta a questa condizione e comincia ad assorbire un maggior numero di calorie dal cibo ingerito. Tutto ciò sarebbe dovuto alla scomparsa di un batterio chiave, l’Akkermansia muciniphila, che influenza il modo con cui i nutrienti vengono assorbiti dall’organismo. La somministrazione di questo batterio dall’esterno, ripristina la perdita di peso.

E’ una serie di esperimenti molto complessi e di grande interesse, pubblicati su Cell dal gruppo di Mirko Trajkovski dell’Università di Ginevra (Svizzera), che suggeriscono una modalità inedita per combattere l’obesità.

La temperatura corporea dei mammiferi si mantiene in genere costante; ma l’esposizione al freddo ne provoca una rapida riduzione di qualche grado, al quale l’organismo si oppone facendo risalire piano piano la temperatura fino a livelli normali. Questo meccanismo adattativo è mediato dal cosiddetto grasso bruno, che ha appunto la funzione di generare calore, bruciando calorie. Sia il freddo che l’esercizio fisico favoriscono la comparsa, all’interno del grasso bianco, di cellule adipose che condividono alcune delle caratteristiche del grasso bruno, il cosiddetto grasso ‘beige’ che svolge un’azione protettiva anche contro l’eccessivo aumento di peso.

Lo studio appena pubblicato offre una chiave di lettura per comprendere come questo fenomeno possa essere collegato all’alterazione della flora batterica intestinale. Esponendo per un mese al freddo un gruppo di topi e riducendo gradualmente la temperatura ambientale da 20 a 6 gradi, i ricercatori svizzeri sono andati a studiare le variazioni del loro microbioma intestinale. In una seconda parte dell’esperimento, hanno trapiantato questo microbioma modificato dal freddo nell’intestino di topi resi germ-free.

“Le alterazioni che abbiamo osservato nella composizione del microbioma dei topi esposti al freddo – affermano Claire Chevalier e Ozren Stojanovic, coordinatori di questa ricerca - sono risultate anche più drammatiche delle differenze in precedenza riscontrate tra microbioma dei soggetti obesi e di quelli normopeso. Ancor più sorprendente è risultato il fatto che i topi germ free, ai quali era stato trapiantato il microbioma modificato dal freddo, sono diventati immediatamente resistenti al freddo; la loro temperatura corporea non si abbassava cioè, suggerendo così la flora trapiantata fosse in grado di governare questo meccanismo adattativo”. In altre parole, il trapianto di questa flora batterica modificata dal freddo è in grado di conferire resistenza al freddo. Ma non solo. I topi trapiantati mostravano anche un miglior profilo metabolico, una migliore sensibilità all’insulina e un aumento di grasso ‘beige’.

In genere i topi tendono ad aumentare di peso gradualmente; ma se esposti al freddo, tendono piuttosto a perdere peso, poiché bruciano calorie per trasformarle in calore. Come visto però, questo meccanismo adattativo è di breve durata e dopo un po’ gli animali, anche se ancora esposti al freddo, ricominciano a prendere peso. Questo è dovuto al fatto che si modifica l’assorbimento dei nutrienti.

“Siamo rimasti molto sorpresi – afferma Trajkovski – nel notare che le modificazioni del microbioma indotte dall’esposizione al freddo, provochino l’allungamento dei microvilli e dell’intestino. Entrambi questi effetti determinano un aumento della superficie assorbente dell’intestino e dunque facilitano l’assorbimento dei nutrienti dal cibo ingerito. Sembra incredibile insomma ma il microbioma è addirittura in grado di modificare la morfologia dell’intestino”.

Ma come si modifica il microbioma intestinale in risposta ad una prolungata esposizione al freddo? L’alterazione principale è rappresentata dalla drastica riduzione di un batterio, l’Akkermansia muciniphila. La somministrazione esogena di questo batterio provoca il ripristino della normale lunghezza dell’intestino che si ‘restringe’ per così dire; questo dimostra il suo ruolo fondamentale all’interno di questo meccanismo adattativo. La somministrazione di questo batterio ai topi ormai ‘abituati’ all’esposizione al freddo, ripristinare la perdita di peso.

E’ interessante notare come il microbioma degli individui obesi risulta ‘impoverito’ proprio di questo stesso batterio, che governa l’assorbimento dei nutrienti a livello intestinale. Gli scienziati svizzeri stanno dunque pensando di somministrare questo batterio per valutarne l’efficacia come possibile strategia anti-obesità; se questo dovesse funzionare ci si troverebbe di fronte ad un modo del tutto inedito di combattere questa condizione.

“L’intestino è anche il nostro più esteso tessuto endocrino – spiegaTrajkovski – Secerne infatti una serie di ormoni che agiscono a livello di diverse parti del corpo. Modificando la morfologia dell’intestino, il microbioma va dunque ad influenzare una serie di organi, cervello compreso”.

giovedì 3 dicembre 2015

Il grasso si mangia il cervello

Seguire una dieta abituale troppo ricca di grassi porta all’obesità; forse, però, non tutti sanno che in questa condizione si iniziano a consumare le connessioni tra i neuroni, provocando un decadimento della memoria e delle funzioni cognitive. Per fortuna, però, ritornando a una dieta povera di grassi e a un peso normale, si può invertire questa tendenza.

Lo dimostra uno studio sulle cavie condotto presso il Medical College of Georgia e pubblicato sulla rivista Brain, Behavior and Immunity, che fornisce alcune delle prime prove del motivo per cui il grasso fa male al cervello.

Le cellule della microglia sono costituite essenzialmente da macrofagi, specializzati nel proteggere i neuroni del sistema nervoso centrale ingerendo rifiuti e contribuendo, così, a garantirne la corretta funzione. Ma, quando i topi diventano obesi, il troppo grasso accumulato nel corpo produce un’infiammazione cronica, che stimola una risposta autoimmune da parte di queste cellule che cominciano a “mangiare” le sinapsi e non permettono più di apprendere in modo efficace. I ricercatori hanno sottoposto un gruppo di topi a una dieta col 10% delle calorie provenienti da grassi saturi e un secondo gruppo a una dieta con un apporto di grassi del 60%.

Dopo 12 settimane, nell’ippocampo di quelli diventati obesi si notava una riduzione del numero e della funzione delle sinapsi e un aumento di citochine infiammatorie, che le cellule della microglia producono quando sono iperattivate. Dopo due mesi di una dieta controllata e povera di grassi mostravano, però, di aver invertito la tendenza, mentre il gruppo rimasto con dieta ricca di grassi continuava a perdere sinapsi.