Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

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Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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giovedì 14 maggio 2015

Cancro al colon. I batteri intestinali promuovono la malattia.


I batteri intestinali crescerebbero e si organizzerebbero servendosi di particolari sostanze, chiamate poliammine. In particolare di una di esse, la N1-N12 diacetilspermina, sovrabbondante nei pazienti con cancro al colon. Secondo i ricercatori, la rimozione di queste strutture batteriche attraverso trattamento antibiotico potrebbe prevenire lo sviluppo del cancro. Lo studio su Cell Metabolism

Uno studio scientifico spiega qual è il meccanismo che lega i biofilm - particolari conglomerazioni – di batteri e il cancro al colon: queste strutture batteriche sembrerebbero promuovere lo sviluppo della malattia attraverso meccanismi biologici specifici, oggi messi a fuoco dai ricercatori. Lo studio è stato condotto dal the Scripps Research Institute (Tsri) e la Johns Hopkins University School of Medicine ed è pubblicato* su Cell Metabolism.
Il risultato suggerisce che la rimozione dei biofilm di batteri attraverso trattamento antibiotico potrebbe rappresentare uno strumento importante per prevenire il cancro al colon, che è la quarta causa di decesso tra le malattie tumorali.

Già all’interno di uno studio precedente, il gruppo di ricerca guidato da Cynthia L. Sears e colleghi ha dimostrato che il tessuto all’interno ed intorno al tumore del colon ascendente, sul lato destro dell’addome, ospita quasi sempre questi biofilm.
Nello studio odierno, gli scienziati si spingono oltre per “determinare se c’è un collegamento a livello metabolico tra i biofilm di batteri e il cancro al colon”, ha dichiarato Caroline H. Johnson, dello Scripps Center for Metabolomics e co-primo autore dello studio insieme a Christine M. Dejea del Johns Hopkins.

I ricercatori hanno analizzato campioni di tessuti umani di tumore del colon e di tessuti istologicamente sani, sia in presenza che in assenza di biofilm.
Gli scienziati mettono in luce una relazione tra alcuni tipi di metaboliti e lo sviluppo della malattia. In generale, i metaboliti sono sostanze, abbondantemente presenti nell’organismo, (nell’uomo esistono più di 10mila tipi diversi), che assumono un ruolo in numerosi processi biologici.
In base ai risultati, alcuni metaboliti si dimostrano importanti nel promuovere la malattia: si tratta delle poliammine, un gruppo di sostanze coinvolte nella crescita cellulare che sono sovra-regolate nel tumore e in altri tessuti a rapida crescita.
In particolare, una di esse, N1-N12 diacetilspermina, è risultata particolarmente abbondante nel caso del cancro al colon, in una concentrazione ben nove volte superiore nel tessuto canceroso rispetto al tessuto sano.
In precedenza, questa sostanza era già risultata in eccesso nel cancro del colon e per questo è considerata come un potenziale biomarcatore della malattia nelle primissime fasi per una diagnosi precoce.

Ma qual è il collegamento tra le poliammine e i batteri? Questi ultimi si servono di tali sostanze, spesso utilizzando quelle provenienti dall’organismo animale che li ospita, per crescere e per costituire le strutture note come biofilm. In questo modo, i biofilm di batteri promuovono lo sviluppo del tumore nel colon inducendo un’infiammazione cronica e la proliferazione delle cellule associata ad essa: così si crea un vero e proprio ‘circolo vizioso’, dato che i batteri utilizzano le poliammine presenti in eccesso per costruire un numero sempre maggiore di biofilm, dando vita ad un meccanismo di crescita che si auto-alimenta.
Nel futuro, i ricercatori continueranno a studiare questo meccanismo e in particolare il ruolo delle poliammine nella crescita tumorale e cercheranno di capire perché questi biofilm batterici sono spesso associati a tumori del colon ascendente più che del colon discendente.
"Ci piacerebbe osservare da campioni provenienti da altre popolazioni, con bassa incidenza di cancro al colon e abituate a varie diete tradizionali, dato che sappiamo che la dieta può influenzare i livelli delle poliammine”, ha dichiarato Johnson.
L’utilizzo degli antibiotici può rappresentare una strategia di intervento per rimuovere i biofilm di batteri e il rischio tumorale associato, secondo i ricercatori: infatti, in un gruppo di pazienti che avevano assunto l’antibiotico 24 ore prima di essere sottoposti ad intervento chirurgico, i campioni di tessuto tumorale non favorivano la proliferazione di tali strutture batteriche e presentavano una minore quantità di N1, N12-diacetylspermine.

Per ottenere i risultati odierni, i ricercatori hanno utilizzato tecniche sofisticate di analisi in ‘metabolomica’, combinando la cromatografia liquida avanzata, la spettrometria di massa e la piattaforma metabolomica XCMS. Inoltre, i ricercatori hanno messo a punto una tecnica chiamata "global isotope metabolomics" (metabolomica a isotopo globale), utilizzando un isotopo (composto chimico con massa differente) della N1, N12-diacetilspermina.
Queste analisi sono state svolte all’interno di una collaborazione tra Gary Siuzdak, professore di Chimica, Biologia molecolare e computazionale e senior Director dello Scripps Center for Metabolomics al TSRI, Cynthia L. Sears, professore di Medicina, Oncologia, Microbiologia molecolare e immunologia alla Johns Hopkins University School of Medicine e Bloomberg School of Public Health, e David Edler, professore associato al Karolinska Institut.

Dieta sana riduce il rischio di declino cognitivo.


Uno studio canadese rivela che i soggetti over 55 che seguono diete più sane tendono a risultare più attivi, hanno meno probabilità di fumare e presentano un minor BMI; un’evidenza che indica come una dieta sana sia una pratica associata ad uno stile di vita sano in generale.

Gli anziani che mangiano in modo sano, includendo nella propria dieta maggiori quantità di frutta e verdura, frutta con guscio e pesce, hanno minori probabilità nel tempo di andare incontro a un declino delle facoltà cognitive e della memoria. Secondo Andrew Smyth della McMaster University di Hamilton (Canada), autore principale di uno studio internazionale su 27.000 soggetti in materia, è probabile che una dieta sana abbia effetti sui fattori di rischio cardiovascolare e sulle patologie cardiovascolari stesse, e che questo possa rappresentare un importante meccanismo per ridurre il rischio di declino cognitivo.

Il campione preso in esame comprendeva uomini e donne di 55 anni e oltre, con una storia di patologie coronariche, cerebrali, della circolazione periferica o ad alto rischio di diabete ed erano stati seguiti fino al verificarsi di eventi come morte, ictus, infarto o ricovero ospedaliero. La metà dei partecipanti è stata seguita per meno di cinque anni. I risultati dello studio non sono stati influenzati dalla successiva esclusione di soggetti con eventi clinici conclamati come gli ictus, il che suggerisce che il beneficio possa anche ridurre il rischio di declino cognitivo per i soggetti in cui non sono presenti indicatori tanto chiari di patologie cardiovascolari avanzate. Poiché lo studio era di natura osservazionale, è stato possibile soltanto accertare come una dieta sana sia connessa ad una riduzione del rischio di declino cognitivo e non si è potuta stabilire una definitiva correlazione causale. Lo studio ha però rivelato che i soggetti che seguono diete più sane tendono a risultare più attivi, hanno meno probabilità di fumare e presentano un minor BMI; un’evidenza che indica come una dieta sana sia una pratica associata ad uno stile di vita sano in generale.

Secondo il dottor Smith, è importante focalizzarsi sulla qualità complessiva della dieta piuttosto che su alcuni cibi in particolare: ad esempio, alcuni dei benefici collegati alle scelte alimentari sane potrebbero essere vanificato da altre scelte meno sane. Alcuni esperti comunque rimarcano che l’effetto protettivo individuato sia legato eminentemente al 20% di pazienti che aderisce maggiormente ad una dieta sana, e sembra scomparire per percentuali inferiori. Inoltre, i partecipanti allo studio avevano tutti un’anamnesi di malattie cardiovascolari o diabete, e potrebbero aver modificato la propria dieta dopo la diagnosi, oltre ad essere esposti ad un maggiori rischio generale di declino cognitivo durante il monitoraggio. I risultati dello studio, dunque, potrebbero non essere generalizzabili al resto della popolazione.