Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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venerdì 12 ottobre 2018

Dieta. Mai escludere del tutto i carboidrati.

I carboidrati, se esclusi per un lungo periodo dalla dieta, rischiano di essere responsabili di un aumento del rischio di morte prematura per tutte le cause. Un introito pari al 50-55% di tutte le calorie inverte questa tendenza. È quanto emerge da uno studio pubblicato da The Lancet Public Health

Le persone che riducono fortemente i carboidrati nella dieta rischiano di vedere aumentare il loro rischio di morte prematura se riempiono i loro piatti di carne e formaggio invece che di verdute e noci. E, in ogni caso, un introito di carboidrati pari al 50-55 delle calorie non abbassa l’aspettativa di vita. È quanto emerge da uno studio americano pubblicato da The Lancet Public Health.

La premessa. 
Una ricerca precedente a questo studio aveva associato una dieta povera di carboidrati a un maggior successo nella perdita di peso a breve termine e a miglioramenti nei fattori di rischio (come per esempio il diabete) di morte prematura. Si sa ancora poco, invece, sui risultati a lungo periodo dell’esclusione dei carboidrati dalla dieta,

Lo studio
. Per il lavoro pubblicato da Lancet i ricercatori hanno seguito oltre 15.000 adulti tra i 45 e i 65 anni d’età per circa 25 anni. In questo periodo, 6.283 partecipanti sono morti. Chi ha assunto tra il 50 e il 55% delle calorie dai carboidrati ha avuto rischio di morte più basso per tutte le cause durante il periodo dello studio, rispetto alle persone che avevano una dieta molto più povera o molto più ricca di carboidrati.
Le persone che hanno assunto meno carboidrati hanno mangiato, per compensare, cibi molto diversi da cui sono emersi risultati differenti.

“Chi ha sostituito i carboidrati con proteine o grassi animali ha fatto registrare un maggior rischio di mortalità, mentre questa associazione è risultata opposta in chi ha compensato i carboidrati con proteine o grassi vegetali”, sottolinea Sara Seidelmann del Brigham and Women’s Hospital and Harvard Medical School di Boston, autrice dello studio. “Il messaggio chiave di questo studio è che non è sufficiente concentrarsi solo sul taglio dei carboidrati, quanto piuttosto è utile focalizzarsi sui cibi che li sostituiscono”, ha continuato l’esperta.

I ricercatori hanno calcolato che, a partire dai 50 anni, l’aspettativa di vita media era di 33 in chi aveva avuto una dieta con una moderata quantità di carboidrati (che rappresentavano cioè il 50 e il 55% delle calorie complessive assunte). Un’assunzione elevata di carboidrati (oltre il 70% delle calorie) è stata invece associata a un’aspettativa di vita di circa 32 anni. Una dieta povera di carboidrati (meno del 40% dell’apporto calorico complessivo) ha restituito un’aspettativa di vita di 29 anni.

Fonte: Lancet Public Health 2018, Lisa Rapaport

Obesità materna e complicanze dei neonati

I bambini nati da madri obese hanno maggiori probabilità di fronteggiare complicazioni alla nascita, anche se la mamma non ha ipertensione o diabete.
Sono i risultati di un nuovo studio pubblicato da Obstetrics and Gynecology.

Lo studio
Brock Polnaszek e colleghi, del Barnes-Jewish Hospital and Washington University di St. Louis, hanno studiato 3.311 donne obese e 3.147 non obese che hanno avuto parti vaginali a termine. Nessuna di loro aveva diabete o ipertensione. Circa il 9% dei bambini nati da madri obese ha avuto complicanze, rispetto al 7% dei figli nati da donne non obese. In particolare, questi bambini hanno fatto registrare maggiori probabilità di sviluppare sepsi, benché i risultati della coltura batterica mostrassero che i tassi di sepsi effettiva non variavano tra i due gruppi. Inoltre, i nati da madri obese avevano maggiori probabilità di avere un’encefalopatia ipossico-ischemica e necessitavano del trattamento con ipotermia.
Le donne obese, infine, avevano una maggiore probabilità di dover essere indotte al parto, di un cesareo pregresso, di vivere una prima parte del travaglio più lunga. I loro figli hanno fatto registrare un più alto peso alla nascita.

Fonte: Obstet Gynecol 2018

Probiotici bocciati, sarebbero inutili


I tanto millantati probiotici o batteri buoni, come Lactobacillus e Bifidobacteria, non avrebbero nessun effetto particolare sull’intestino e anzi sarebbero quasi inutili. A rivelarlo è uno studio israeliano del Weizmann Institute of Science pubblicato su Cell.

I ricercatori hanno analizzato attentamente cosa accade nell’organismo quando si consumano probiotici, provando un ‘cocktail’ con 11 comuni batteri buoni, tra cui ceppi di Lactobacillus e Bifidobacteria, che poi hanno dato a 25 volontari sani per un mese. Dopo di che li hanno sedati e gli hanno prelevato, chirurgicamente, dei campioni dallo stomaco e dall’intestino per vedere dove i batteri erano riusciti a colonizzare e se avevano prodotto dei cambiamenti nell’attività dell’intestino. Si è così visto che in metà dei casi i batteri buoni erano andati nella bocca e poi direttamente fuori. Nel resto dei casi hanno resistito brevemente prima di essere tolti dai microbi esistenti.

Miliardi di batteri vivono nel nostro intestino, ma “è sbagliato aspettarsi che i probiotici da banco funzionino su tutti – commenta Eran Elinav, uno dei ricercatori – In futuro dovranno essere fatti su misura per i bisogni dei singoli pazienti”. Gli studiosi hanno valutato l’impatto dei probiotici anche dopo un ciclo di antibiotico, che aveva spazzato via batteri buoni e cattivi. Nella sperimentazione su 46 persone hanno visto che ritardavano il ristabilirsi dei normali batteri sani. “Contrariamente a quanto pensano tutti che i probiotici non siano dannosi, c’è invece un nuovo potenziale effetto avverso con gli antibiotici, che può avere conseguenze nel lungo periodo”, continua Elinav. I probiotici hanno invece un effetto positivo dimostrato nel proteggere i bambini prematuri dalla entecolite necrotizzante.