Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


Studio Borgo Roma - Via Santa Teresa 47 (ingresso Via Bozzini 3/A), 37135, Verona.

Info. e prenotazioni - Segreteria: 349.6674360

e-mail: info@tedesconutrizionista.it

e-mail pec: vincenzo.tedesco@pec.enpab.it

web: www.tedesconutrizionista.it

venerdì 22 gennaio 2016

L'eccesso di zucchero “manda in tilt” cervello, apprendimento e memoria

Ecco come un eccessivo e prolungato consumo di zuccheri, una dieta squilibrata o il diabete possono gravare sulle performance del nostro cervello: ricercatori della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore presso la sede di Roma hanno scoperto, infatti, che in presenza di concentrazioni elevate di zucchero (simili a quelle che possono verificarsi in caso di del diabete) le cellule staminali del cervello - fondamentali per i processi di apprendimento e memoria nonché per la riparazione dei danni cerebrali - non riescono più a riprodursi e, quindi, a garantire il necessario ricambio di neuroni nell'ippocampo, centro nevralgico della formazione dei ricordi.

In un lavoro pubblicato oggi online sulla rivista Cell Reports, i ricercatori hanno inoltre osservato che nel cervello di animali sottoposti a restrizione calorica (dieta ipocalorica comparabile a una dieta di circa 1500 calorie al giorno) aumenta il numero di cellule staminali cerebrali. Le cellule staminali neurali sono fondamentali per il mantenimento nel tempo delle funzioni cerebrali, e un loro difetto di numero e/o di funzione è oggi considerato tra le cause del declino cognitivo nell’anziano. Lo studio, svolto dai gruppi di ricerca di Giovambattista Pani (Patologia Generale) e di Claudio Grassi (Fisiologia Umana), in collaborazione con ricercatori dell’Istituto di Fisica, mostra che un eccesso di glucosio (come quello che, per esempio, si genera nel diabete) compromette la funzione di tali cellule, riducendo la loro capacità di moltiplicarsi. La ricerca svela dunque uno dei motivi per cui, come oggi largamente riconosciuto dalla comunità scientifica, una dieta scorretta e troppo ricca di zuccheri deteriora le performance cognitive.

“Abbiano inizialmente esaminato - spiega Pani, ideatore dello studio - cosa avviene in provetta quando le cellule staminali neurali sono esposte a un eccesso di zucchero. Ebbene questa condizione sembra impedire alle staminali - normalmente presenti nell’ippocampo, sede della memoria - di autorinnovarsi. In sostanza, un eccesso di zucchero brucerebbe le riserve cellulari che servono al cervello per produrre nuovi neuroni. Quindi, temiamo che chi consuma troppo zucchero presenti una minore rigenerazione neurale con un conseguente impatto negativo sulle performance cognitive”.

Partendo da tale osservazione il lavoro ha esplorato nel dettaglio il meccanismo molecolare che sta alla base dell’effetto del glucosio sulle cellule staminali, rivelando un complesso sistema di “percezione dei nutrienti”, che coinvolge due molecole note ai neuroscienziati: il fattore di trascrizione CREB e la Sirtuina 1, quest’ultima conosciuta per i suoi effetti sulla longevità.

Infine il team di ricercatori, tra cui Salvatore Fusco e Lucia Leone, ha cercato di confermare le osservazioni compiute in provetta in animali da esperimento mantenuti in regime di restrizione calorica (dieta ipocalorica) per un periodo di tempo di circa quattro settimane. In accordo con i risultati ottenuti in vitro, si è osservato che le cellule staminali nell’ippocampo di questi animali sono più numerose (indice di un più efficace autorinnovamento) rispetto a quelle presenti nel cervello di animali nutriti senza alcuna restrizione. È peraltro noto da tempo come la restrizione calorica migliori le performance cognitive dell’animale, anche se i meccanismi cellulari e molecolari che sono alla base di tale fenomeno sono rimasti per molto tempo ignoti.

“Il nostro lavoro - conclude Grassi - ha svelato un nuovo meccanismo di regolazione delle cellule staminali cerebrali che, probabilmente, rappresenta un meccanismo generale di controllo del compartimento staminale in risposta a diversi stimoli. Le vie molecolari da noi individuate potrebbero essere bersaglio di interventi nutrizionali e farmacologici volti a preservare e potenziare questa importante «riserva cellulare» presente nel nostro cervello, soprattutto nel corso dell’invecchiamento e nelle malattie neurodegenerative. Vorrei, infine, sottolineare che le nostre ricerche si iscrivono in un impegno globale della nostra Facoltà di Medicina e chirurgia sulla prevenzione e cura delle malattie connesse alla nutrizione, tema che è stato oggetto della Giornata per la Ricerca 2015 e che sarà riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica nella primavera 2016.”

giovedì 21 gennaio 2016

Dieta sbagliata altera per sempre l’ecosistema intestinale

Nell’intestino alberga un’abbondante flora batterica in buona parte costituita da batteri ‘buoni’ che controllano le molteplici funzioni intestinali e per la parte restante da batteri ‘cattivi’ che possono arrivare a danneggiare l’equilibrio delicato dell’ecoambiente intestinale. La cattiva notizia è che molte delle specie di batteri ‘buoni’ che colonizzano l’intestino appaiono, oggi, in via di estinzione a causa della dieta sbagliata seguita nel mondo occidentale negli ultimi decenni.

Questo è quanto dimostra uno studio delle università di Stanford, Harvard e Princeton pubblicato sulla rivista Nature secondo cui, anche tornando ad un’alimentazione più corretta, è impossibile ripristinare le specie perdute. Il cosiddetto ‘microbioma intestinale’, spiegano gli autori, contribuisce a regolare diverse funzioni dell’organismo, compreso il buon funzionamento del sistema immunitario. Studi sul campo hanno dimostrato che nelle popolazioni di cacciatori-raccoglitori moderni c’è il 30% in più di specie rispetto a chi segue la dieta occidentale e questo potrebbe essere alla base del fatto che in queste popolazioni non ci sono allergie. A causare l’impoverimento è soprattutto l’abbandono di diete ricche di fibre in favore di carboidrati semplici e grassi.

I ricercatori hanno simulato il processo nei topi da laboratorio, sottoponendoli ad una dieta povera di fibre. Così si è visto che non solo nelle cavie il microbioma risultava impoverito, con il 60% delle specie presenti che ha visto un dimezzamento della popolazione, ma anche nella prole non erano presenti tutte le specie.

Il fenomeno rilevato, scrivono gli esperti, risulta irreversibile e anche il ritorno a una dieta ‘favorevole’ non ripristina la composizione originaria. “Questo è un ecosistema complesso, ed difficile predire quale sarà l’effetto di una perdita della biodiversità così grande – afferma Erica Sonnenburg, l’autore principale – ma è probabile che queste estinzioni avranno dei grandi effetti”.

L’enzima che “taglia via” lo zucchero in eccesso

Una importante e promettente scoperta potrebbe costituire la base per realizzare nuovi farmaci contro l’obesità e il diabete. Si tratta di un nuovo enzima che si comporta come un “antidoto” liberando l’organismo dagli effetti nocivi dello zucchero in eccesso. Resa nota sulla rivista PNAS, la scoperta si deve ad un gruppo di ricercatori dell’Università di Montreal diretto da Marc Prentki che ne spiega l’importanza rilevando che enzimi così importanti per il metabolismo degli zuccheri non vengono isolati dagli anni ’60 e probabilmente questo nuovo enzima, chiamato G3PP, sarà inserito nei libri di testo dei corsi di biochimica.

Lo zucchero, quando è in eccesso, subisce varie trasformazioni biochimiche e viene immagazzinato ad esempio sotto forma di grasso nelle cellule adipose o in forma glicogeno nel fegato. I ricercatori canadesi erano alla ricerca di meccanismi per rendere capaci le cellule del pancreas di liberarsi dello zucchero in eccesso e così si sono imbattuti nell’enzima G3PP che hanno poi scoperto essere attivo anche in altre cellule del corpo. Fondamentalmente, il G3PP è una sorta di ‘forbice molecolare’ che taglia via un gruppo chimico (un fosfato) da un composto che si forma come risultato dello zucchero in eccesso, il glicerolo 3-fosfato che è una molecola di base, per esempio, nella formazione dei grassi (dei trigliceridi). Tagliando il glicerolo 3-fosfato, l’enzima G3PP ‘libera’ il glicerolo che può poi essere espulso dalle cellule. Tale meccanismo di detossificazione è stato osservato nel pancreas, ma G3PP funziona allo stesso modo anche in altre cellule, evitando così gli effetti dannosi di un eccesso di zucchero in varie parti del corpo. I ricercatori sono al momento alla ricerca di composti attivatori di G3PP per potenziare questo processo e quindi sviluppare nuovi farmaci contro obesità e diabete.

giovedì 14 gennaio 2016

Anziani: perdere grasso aiuta il cervello

Nelle persone anziane, sembra che una piccola perdita di peso, non tanto in termini di chili persi, quanto in riduzione del grasso accumulato, specialmente a livello addominale, possa rallentare il declino delle funzioni cognitive, dovuto all’età. E’ quanto suggerisce uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism e condotto da Nidia Celeste Horio dell’Università di San Paolo. Lo studio ha coinvolto un gruppo di anziani di età media 68 anni, tutti obesi e con declino cognitivo lieve, ovvero colpiti da un deficit delle capacità cognitive associato a maggior rischio di ammalarsi di demenza senile.

Gli accumuli di grasso (adiposità), specie in sede addominale, sono stati collegati nel corso di precedenti ricerche a danni cerebrali (ridotto volume cerebrale in diverse aree neurali). A partire da queste acquisizioni l’idea dei medici brasiliani era di verificare se riducendo un po’ di peso nell’anziano con declino cognitivo lieve fosse possibile recuperare una parte delle sue capacità cognitive perdute. Per scoprirlo gli esperti hanno coinvolto 80 anziani obesi e a metà di loro hanno chiesto di ridurre di circa 500 calorie quelle assunte quotidianamente per un anno, offrendo loro una serie di strategie nutrizionali ad hoc. Nel corso di 12 mesi a tutto il campione è stato suggerito di fare un po’ di movimento fisico.

Trascorsi i 12 mesi il gruppo di anziani cui era stata fatta la raccomandazione di ridurre l’apporto calorico giornaliero ha perso relativamente poco peso rispetto ai coetanei, però a quella perdita ponderale minima è corrisposto un miglioramento delle loro performance cognitive (memoria verbale, linguaggio, capacità di ragionamento, etc.) misurate con test ad hoc. L’aspetto più significativo, secondo i ricercatori, è che il recupero delle funzioni cognitive è risultato tanto maggiore quanto più gli anziani hanno perso adiposità addominale, indipendentemente dai chili persi.

lunedì 4 gennaio 2016

L'ormone che “frena” la voglia di zuccheri

Un ormone prodotto dal fegato farebbe da “freno” al desiderio e alla quantità dei consumi di alcol e zuccheri. Lo hanno scoperto due diversi studi condotti sui mammiferi, uno dell’Università dell’Iowa e l’altro del Southwestern Medical Center dell’Università del Texas, pubblicati sulla rivista Cell metabolism.

Questo ormone, chiamato FGF21, riduce la voglia e il consumo di zucchero e alcol, in alte quantità, parallelamente al calo del livello di dopamina, un neurotrasmettitore che gioca un ruolo molto importante nei comportamenti associati a premi e ricompense.

Precedenti studi avevano già messo in luce l’impatto di alcuni ormoni sull’appetito, ma nessuno di questi agisce su specifici nutrienti, come carboidrati, proteine o grassi, e sono prodotti da altri organi. Questo è invece il primo ormone prodotto dal fegato che si è scoperto avere tali effetti e che potrebbe aiutare a migliorare la dieta nei pazienti con problema di diabete e obesità. Ma come funziona? Nei topi si è visto che il fegato lo produce in risposta al consumo di zucchero, per poi entrare nella circolazione sanguigna dove manda un segnale al cervello cui ‘impone’ lo stop alla voglia di zucchero. L’ormone è associato a stress ambientali, come una dieta estrema o l’esposizione a temperature fredde. Viene anche prodotto, nei mammiferi, quando si consumano carboidrati. Da oltre 50 anni si sa che il fegato è un importante regolatore del consumo e preferenza per alcuni cibi. E poiché questo ormone viene prodotto a livello epatico, si può supporre, dicono i ricercatori, che il suo scopo sia quello di migliorare la qualità della dieta, evitare il consumo di cibo spazzatura o proteggere il fegato dall’eccesso di alcol. Qualunque sia la sua origine, questa sua capacità potrà essere sfruttata a livello terapeutico per diabete e obesità.