Dott. Vincenzo Tedesco

Nutrizionista e Neuroscienziato

Dottore in Biologia Cellulare e Molecolare

Dottore di Ricerca in Biomedicina Traslazionale e Farmacogenomica


Diete personalizzate

Nutrizione neuropsichiatrica e neurodegenerativa

Nutrizione estetica

Nutrizione sportiva per agonisti ed amatori

Intolleranze alimentari


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venerdì 23 settembre 2016

Quando c’è lo stress mangiare sano non basta

I molti che credono che per la salute sia sufficiente seguire una dieta sana, dovrebbero sapere che questa precauzione non basta, se la giornata è veramente stressante. Lo stress, infatti, può vanificare l’effetto positivo del consumo di grassi buoni (insaturi, come quelli di semi e frutta secca, o quelli del pesce) come dimostra uno studio pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry. La ricerca è stata condotta presso la Ohio University da Jan Kiecolt-Glaser ed è, secondo gli autori, il primo studio che dimostra che lo stress può cancellare gli effetti positivi sulla salute che provengono dal consumo di grassi buoni.

Lo studio
Gli esperti hanno coinvolto un campione di donne e hanno servito loro due tipi di colazioni, una tipica americana con biscotti e salsa grassa o salsicce, l’altra ricca di olio di girasole e semi; i ricercatori erano all’oscuro di chi mangiava la colazione ‘pesante’ e ricca di grassi cattivi e chi quella sana ricca di semi e oli salutari. Dopo il pasto tutte le donne sono state sottoposte a esami del sangue e dai risultati i ricercatori hanno intuito chi aveva mangiato ”pesante” e chi no.

Le donne che avevano avuto la colazione sana ricca di grassi insaturi presentavano valori del sangue migliori rispetto alle altre. Ma quando lo stress entra in scena, la situazione cambia. Se il giorno precedente le donne avevano vissuto condizioni di stress (giornata difficile a lavoro o a casa), anche dopo la colazione sana i risultati dell’esame del sangue non lasciavano intravedere niente di buono.

In altri termini quando lo stress entra in gioco i valori ematici delle donne che avevano mangiato i grassi saturi erano assolutamente indistinguibili da quelli delle altre che avevano consumato un pasto sano (valori elevati di quattro sostanze legate a infiammazione e rischio di placche sulle pareti dei vasi). I risultati, conclude Kiecolt-Glaser, vanno letti però come un ulteriore invito a mangiare bene, sì da non farsi cogliere impreparati quando qualche fonte di stress si affaccia all’orizzonte.

mercoledì 21 settembre 2016

Steatosi epatica: arriva un test del sangue per identificarla


Un semplice prelievo di sangue per sapere con esattezza se e quanto il nostro fegato è ‘grasso’. Presto tutto questo sarà possibile grazie ad uno studio dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, pubblicato sulla rivista scientifica Plos One. Una novità più che interessante perché di questa temibile malattia, la steatosi epatica non alcolica (NAFLD), soffrirebbe nel mondo circa un miliardo e mezzo di persone. In Italia il 25% della popolazione e tra questi sempre più bambini.

La steatosi epatica non alcolica
La malattia in se è ‘benigna’ eppure preoccupante, perché può rappresentare un fattore predisponente a patologie epatiche più gravi, quali la steatoepatite, caratterizzata da infiammazione e necrosi del fegato, e può condurre successivamente alla fibrosi e cirrosi epatica. Il 5-10% dei pazienti con cirrosi del fegato sviluppano l’epatocarcinoma, terza causa di morte per cancro nel mondo. Attualmente la NAFLD può essere diagnosticata con precisione solo attraverso la biopsia epatica, un esame invasivo e costoso, consistente in un prelievo del tessuto epatico da sottoporre a esame istologico, o tramite ultrasonografia, un test di screening.

Lo studio
L’Università Campus Bio-Medico di Roma ha invece realizzato una possibilità inedita: un chip, ovvero una piattaforma 3D in grado di ‘funzionare’ come un fegato umano vero. E questo permetterà fra qualche tempo di verificare con un semplice prelievo ematico, grazie a questa piattaforma, la presenza patologica di grasso nel fegato. Permettendo di somministrare terapie tempestive e mirate per la cura di questa sindrome. Con questo speciale approccio, destinato a superare gli attuali limiti delle sperimentazioni in vitro e su modelli animali, sarà ora possibile, secondo i ricercatori, indagare l’origine della steatosi epatica non alcolica, una delle patologie epatiche più diffuse dei Paesi sviluppati. L’obiettivo è quello di individuare biomarcatori utili alla diagnosi precoce e alle terapie, riconoscibili grazie a un semplice prelievo di sangue.

Diabete: scoperto ormone che aiuterà nella diagnosi precoce


Si chiama betatrofina, ed è un ormone prodotto nell’uomo dal fegato che ‘misura’ la funzionalità delle beta cellule del pancreas e si candida per questo a diventare un biomarcatore per la diagnosi precoce di diabete. E un giorno, secondo i ricercatori, per la sua capacità di stimolare la formazione di nuove cellule produttrici di insulina, potrebbe diventare anche una possibile ‘cura’ per il diabete tipo 1 e tipo 2.
La scoperta è frutto di una ricerca condotta dai ricercatori della Società Italiana di Diabetologia (SID) e presentata al Congresso dell’Associazione europea per lo studio sul diabete (Easd) in corso a Monaco di Baviera. Il diabete mellito, con le sue complicanze, è uno dei maggiori problemi sanitari dei Paesi economicamente evoluti e la sua prevalenza è in continuo aumento, al punto da indurre gli esperti a parlare di epidemia mondiale di diabete.

Nel corso dell’ultimo decennio le conoscenze sulla patogenesi e la storia naturale del diabete sono cresciute notevolmente per quanto riguarda epidemiologia, predizione, funzione delle cellule beta del pancreas e potenziali nuove forme di immunoterapia per salvaguardare quelle ancora attive al momento della diagnosi. “Questi dati si inseriscono in un importante area di ricerca sulla prospettiva sulla possibilità di identificare dei biomarcatori della funzione delle beta cellule pancreatiche – commenta Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) – e di identificare precocemente la malattia”.

giovedì 15 settembre 2016

Verdure a foglia verde potenziano forza muscolare




Grazie alla presenza dei nitrati, le verdure a foglia verde, come gli spinaci che ne contengono in buone quantità, sembrano giovare alla forza muscolare migliorando le performance sportive. Lo dimostra uno studio condotto dall’Università di Leuven, in Belgio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Physiology.
Lo studio
Gli studiosi hanno preso in esame un campione ristretto di 27 persone moderatamente allenate, ad alcune delle quali è stato dato un supplemento di nitrati (che però appunto possono essere acquisiti anche con l’alimentazione), prima di uno specifico programma di allenamento per giunta in alcun casi a bassi livelli di ossigeno, una situazione simile a quella riscontrabile in altitudine.

Dopo sole cinque settimane è stato osservato un cambiamento della composizione delle fibre muscolari che è collegato a un miglioramento delle performances sportive. Anche se il messaggio che arriva dallo studio è quello che mangiare verdure o comunque acquisire i nitrati possa aiutare nello sport, gli studiosi avvertono tuttavia che è meglio non esagerare: la sicurezza di queste sostanze a quantità troppo elevate per l’uomo non è stata ancora provata.

giovedì 8 settembre 2016

Ovaio policisitico: pochi ginecologi monitorano tolleranza al glucosio e profilo lipidico


Sono pochi i ginecologi che richiedono il test di tolleranza al glucosio a due ore e il profilo lipidico alle donne con sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), anche se sono due test altamente raccomandati. A sottolinearne l’importanza anche l’ACOG (American Congress of Obstetricians and Gynecologists), che ha raccomandato a tutti i clinici di richiedere sempre questi due esami: ogni due/cinque anni la curva glicemica e ogni due anni i test per valutare la dislipidemia.

Il sondaggio
In una ricerca condotta online da Amy Dhesi del Kaiser Permanente Medical Center di Los Angeles e dai suoi colleghi, è stato chiesto ai ginecologi quali test avrebbero richiesto per i pazienti con PCOS ad una prima visita e come avrebbero poi gestito il follow-up.

Il team di ricerca ha ottenuto una risposta da 157 medici. Di questi circa la metà ha dichiarato che almeno il 10% dei propri pazienti soffre di PCOS. Il 22% dei medici intervistati non richiederebbe un qualsiasi test di screening durante la prima visita per almeno la metà delle loro pazienti con PCOS.

Tra i test comuni più prescritti per lo screening della tolleranza al glucosio ci sono l’emoglobina A1C e i livelli basali di glucosio nel sangue a digiuno, secondo quanto riportato nel lavoro pubblicato dall’ American Journal of Obstetrics and Gynaecology. Solo il 7% degli intervistati avrebbe prescritto un test di tolleranza al glucosio a due ore nel corso della prima visita. Più alta la percentuale dei ginecologi attenti ai valori del colesterolo: il 54% ha infatti detto di richiedere un profilo lipidico a digiuno alle proprie pazienti con PCOS. Solo nove medici tra quelli intervistati è solito prescrivere entrambe le analisi alle donne con la sindrome dell’ovaio policistico.

Tra i principali motivi per cui il test a due ore non viene richiesto la scomodità d’esecuzione per la paziente e, secondo più di un ginecologo su cinque, la scarsa influenza che il risultato avrebbe sulle modalità di trattamento proposto.

Fonte: Am J Obster Gynecol 2016